Tunisia ed Egitto hanno aperto la strada, con conseguenze già visibili nel cambio di marcia di molti paesi arabi: sussidi alla disoccupazione e nuovi posti di lavoro in diversi paesi del Golfo, fine dello stato d’emergenza in Algeria, aperture all’opposizione in Giordania, spinte riformiste in Iraq. Cambiano i tempi e i modi, non tutti hanno società dinamiche come quella egiziana e tunisina, ma tutti sono interessati dal vento del cambiamento e la Libia è una questione con sue caratteristiche specifiche.
“Sono due gli elementi propri del caso libico” dice alla MISNA Adel Jabbar. “La presenza del petrolio, fattore di attrazione per potenze che vogliono posizionarsi per il dopo-Gheddafi, è il primo e spiega le differenze fatte dalla comunità internazionale rispetto per esempio allo Yemen che vive una situazione per alcuni aspetti simile ma non ha la stessa attenzione mediatica né subisce le stesse interferenze. In Libia, inoltre – aggiunge il sociologo – c’è meno società e più comunità con l’interesse particolare che spesso prevale su una visione di insieme”. La stessa opposizione libica, prosegue lo studioso, non esprime quella coscienza e consapevolezza viste in Tunisia ed Egitto, non ha prospettive ampie e, anche per questo motivo, sta chiedendo l’intervento di potenze straniere”.
L’eventualità di un intervento militare, paventato in queste ore dalla diplomazia occidentale, avrebbe secondo Jabbar tre possibili conseguenze: “Una deriva di tipo somalo, con un paese in preda all’anarchia; una replica dell’Iraq, con un governo corrotto e incapace di governare, privo di una visione di insieme; la riproposizione di un modello di Stato ricalcato sulle monarchie del Golfo con l’impiego dei proventi del petrolio in infrastrutture e grandi opere”.
Sulla Libia, è il parere dell’esperto sentito dalla MISNA, c’è stata in effetti tanta disinformazione, soprattutto nelle prime settimane, veicolata da alcuni canali televisivi satellitari arabi che hanno messo in circolazione notizie poi non confermate e anzi chiaramente false: “Ma Gheddafi – aggiunge – ha fatto il suo tempo, non gode più di sostegno all’estero, ha governato 40 anni e il suo modello di un potere gestito dai comitati popolari è fallito”. E in effetti, conclude Jabbar, “la rivolta libica non parte da motivazioni economiche, ma dal desiderio di alcuni gruppi di contare di più a livello decisionale, da rivendicazioni di potere”.
Gianfranco Belgrano, giornalista, è uno studioso di questioni arabo-islamiche e ha soggiornato a lungo a Damasco, dove si è occupato di diritti umani presso il Segretariato Internazionale di Amnesty International a Londra. Collabora con Misna News Agency.