Ecco le famiglie che controllano i lavori: clan Castrovillari; clan Sibarite e Cirò, Cosenza; clan Lamezia e Iannazzo; Mancuso, Pesce; Piromalli; Alvaro e Tripodi. Chi sono i politici che fanno finta di non sapere?
Feste natalizie e molti italiani in viaggio per passare la ricorrenza con le famiglie. Un occasione lieta per molti, un incubo per chi si vedrà costretto a viaggiare lungo l’autostrada delle polemiche, la A3 Salerno-Reggio Calabria.
L’idea dell’autostrada nacque negli anni 60 come naturale proseguimento dell’autostrada del Sole, nei progetti avrebbe dovuto collegare la regione calabra al resto dell’Italia ma nella realtà dei fatti è stata data vita ad un opera ben differente per caratteristiche e qualità dalle restanti arterie autostradali della penisola, cantieri infiniti, appalti truccati e inchieste della magistratura hanno scandito la costruzione prima e l’ammodernamento ora di questi 443 km di asfalto.
Il 21 gennaio 1962 l’ANAS apre ufficialmente il cantiere dei lavori, l’appalto viene affidato ad aziende del nord Italia ma molti subappalti finiscono quasi immediatamente nelle mani della ‘ndrangheta. L’ultimo cantiere conclude i lavori il 13 giugno 1974 e restituisce al paese un autostrada che somiglia troppo ad una strada statale di cattiva qualità. Le profonde carenze tecniche portano ben presto alla consapevolezza della necessità di ammodernare l’opera, nuovi cantieri entrano in attività nel 1997 e ancora oggi, a distanza di 12 anni, i lavori non sono stati completati. Nel 1997 la fine dei lavori era prevista per il 2003, poi è stata rinviata al 2008 (ndr: promessa del ministro Lunardi “sarà finita in undici mesi”) e ora nuovamente posticipata al 2013.
Allo stato attuale circa metà del tratto calabro della Salerno-Reggio Calabria prevede una sola corsia per ogni senso di marcia a causa della presenza di numerosi cantieri, si prospetta ancora una spesa di oltre 5,5 miliardi di euro prima di poter completare tutti i lavori e probabilmente al termine di questa titanica impresa sarà già ora di ricominciare con nuovi, improrogabili, lavori di adeguamento. Lungo circa un terzo dei 443 km totali che compongono l’autostrada si sono terminati i lavori, per un terzo sono in corso d’opera e l’ultimo terzo è ancora in attesa che si cominci l’attività.
Il tratto autostradale dove i lavori sono già terminati può vantare tre corsie per senso di marcia di cui una d’emergenza ma il fondo stradale denuncia già un grave stato di sofferenza e la segnaletica stradale è quasi assente o logorata al punto tale da essere invisibile per gli automobilisti.
Il tratto ancora interessato dai lavori garantisce una sola carreggiata a doppio senso di marcia. Le aree ora in fase di ammodernamento sono i tratti Padula – Lauria Nord, Altilia – Falerna, Serre – Rosarno e Gioia Tauro – Reggio Calabria. Come se non bastasse l’amministrazione ha deciso inspiegabilmente che lungo la strada interessata dai lavori non sono necessari interventi di manutenzione ordinaria perciò ai disagi dei lavori si aggiunge la precarietà della condizione strutturale e il progressivo deterioramento della struttura a grave danno della sicurezza.
Per quanto riguarda le tratte ancora in attesa di cominciare i lavori gli automobilisti possono usufruire di due corsie senza carreggiata d’emergenza dove gli interventi di manutenzione sono stati sostituiti da sommari rattoppamenti in attesa che cominci la radicale ristrutturazione. Nei giorni di traffico congestionato non è raro vedere sostare nelle piazzole carri-attrezzi pronti ad intervenire per evitare che un auto in panne paralizzi tutta l’arteria autostradale.
Durante tutti questi anni di lavori interminabili le ‘ndrine locali hanno avuto modo di spartirsi per competenza ogni singolo chilometro che compone l’autostrada tanto da poterne tracciare una chiara mappa. Il collaboratore di giustizia Antonio Di Dieco, ex mammasantissima di Castrovillari, l’ha così disegnata:
- Dal confine della Basilicata fino a Mormanno i lavori sono sotto il controllo della famiglia Castrovillari
- La tratta Mormanno -Tarsia cade sotto il controllo delle famiglie della Sibaride e quelle di Cirò
- La tratta Tarsia – Falerna sotto le famiglie di Cosenza
- La tratta Falerna – Pizzo sotto le famiglie di Lamezia, Iannazzo
- La tratta Pizzo – uscita Serre sotto il clan Mancuso
- La giurisdizione di Serre e Rosarno sotto il clan Pesce
- La giurisdizione di Gioia Tauro sotto i Piromalli
- La tratta Palmi – Reggio Calabria sotto gli Alvaro e i Tripodi
Interi cantieri sono stati posti sotto osservazione da parte della magistratura giudicante, indagate le ditte che hanno partecipato alla costruzione, indagate singole persone che hanno inquinato con tangenti, estorsioni e truffe il compiersi dell’opera.
Nella relazione della commissione parlamentare antimafia del 2008 un intero capitolo è dedicato all’autostrada Salerno – Reggio Calabria che viene descritta come una “mulattiera”, viene affermato che la sua costruzione è stata da sempre segnata dalla presenza delle organizzazioni mafiose e dal loro intervento.
L’operazione Tamburo, datata 2002, era diretta dalla DDA di Catanzaro e coordinata dal sostituto procuratore Eugenio Facciolla, concentrò la sua attenzione sugli abusi messi in atto nel tratto che congiunge Castrovillari a Rogliano, in totale risultarono una decina le cosche coinvolte. Le indagini portarono all’arresto di 40 persone con l’accusa di associazione per delinquere di stampa mafioso finalizzata alle estorsioni, violazione della normativa sugli appalti e truffa, oltre a prevedere il sequestro di varie imprese di materiale edile e stradale. Il pentito Di Dieco spiegò che la ‘ndrangheta decise di applicare agli appalti una particolare tassa definita “d’impatto ambientale calabrese” i cui proventi, quantizzabili in 24 miliardi di lire, andavano spartiti equamente tra i mafiosi di Castrovillari, quelli di Rosarno e Dino Posteraro che li doveva utilizzare per ammorbidire funzionari dell’Anas e politici collusi.
È seguita l’operazione Arca nel cui ambito sono state già arrestate quindici persone e interdette ai lavori altrettante imprese. Il tratto autostradale esaminato è quello compreso tra gli svincoli di Mileto e quelli di Rosarno – Gioia Tauro. Nel corso del processo l’accusa ha sostenuto che i gruppi Giacobbe, Morogallo, Tassone, Pesce e Mancuso sono interessati a fornire manodopera e calcestruzzo a prezzi gonfiati. Nel luglio di quest’anno sono state comminate 8 condanne in primo grado per associazione mafiosa.
Entrambi i procedimenti hanno reso evidenti le gravi carenze di controllo degli organi preposti che in qualche caso hanno fatto sospettare l’esistenza di un accordo tra ‘ndrangheta e ambienti interni all’Anas.
Nel 2009 si è sviluppata l’operazione “Autostrada” che prende in esame la zona che ricade sotto l’egemonia del clan Mancuso. “Controllano le loro zone come i cani quando fanno pipì, e da lì non si passa” dice il magistrato Nicola Gratteri. Secondo gli atti giudiziari i materiali utilizzati per la realizzazione dei manufatti e delle opere civili sarebbero di qualità scadente e non conformi ai capitolati d’appalto, questo determina rischi concreti per la sicurezza della viabilità. I reati ipotizzati sono estorsione, associazione mafiosa, imposizione delle ditte fornitrici e fornitura di materiali scadenti.
Alla fine di tutto sembra che l’unico beneficiario di questa monumentale e mal riuscita opera sia la ‘ndrangheta, di sicuro non i cittadini calabresi che vengono invece penalizzati avendo dovuto subire lavori durati più di quarant’anni per non avere in cambio un’autostrada degna di questo nome. E’ per questo che ancora di più appare senza senso la decisione presa dal Governo di proseguire in un opera già perdente da principio come il ponte sullo stretto di Messina, continuazione inutile non solo della A3 ma anche del contributo finanziario alla malavita, in queste zone quasi monopolista delle ditte di movimentazione terra. Questa realtà è una certezza per molti ma non per i governanti che vogliono ignorare il fatto che più che unire due “coste” questo ponte riuscirà solo a collegare due “cosche”, la mafia e la ‘ndrangheta.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.