Marie-Sabine Roger, Una testa selvatica, Ponte alle Grazie, 2009.
Ci sono persone che, a lasciarle fare, ti cambiano la vita. Certo, alcuni incontri vorresti che non ci fossero mai stati, ma per altri rimpiangi che non siano avvenuti prima. È questo che pensa Germain in quella sua testa selvatica (vedi: non coltivata) quando, in un giorno come tanti, mentre è intento a contare i piccioni del parco, gli accade di condividere la stessa panchina con Margueritte. Tra un gigante quarantenne e semianalfabeta e una vecchina dai capelli violetti non sarà una storia d’amore (anche se forse qualcuno ricorda Harold e Maude di Hal Ashby), piuttosto una storia di educazione all’amore. Quella di Germain, infatti, non è solo la fatica a leggere e scrivere di quanti non hanno ricevuto un’istruzione scolastica, ma è una lacuna ben più grave: l’analfabetismo sentimentale di chi, in vita sua, non ha mai avuto tenerezza, affetto e fiducia. «I sentimenti non sono innati, no davvero. Mangiare, bere, sì: è istinto. Se non lo fai, crepi. I sentimenti, invece, puoi tenerteli come optional, o anche vivere senza. Io lo so. Vivi male, come un coglione, non molto più cosciente di una bestia, ma in compenso puoi campare a lungo»: questo, prima di incontrare Margueritte.
Ed è con le poche e pittoresche parole che conosce (il che non gli impedisce di coltivare una propria personalissima filosofia di vita) che Germain racconta tutta la sua sorpresa nel sentirsi considerato da quella donnina – in apparenza fragile come un animaletto di vetro – e apprezzato al punto da diventare il suo compagno di lettura. Lui, proprio lui, il tipo strano guardato con distratta commiserazione dai compaesani, ora trascorre interi pomeriggi ascoltando Margueritte leggergli pazientemente La peste di Camus o i romanzi di Sepúlveda. E insieme al significato delle nuove parole che cerca diligentemente sul dizionario, impara anche a conoscerne il senso, che riscopre con sorpresa dentro di sé. Così, senza alcun preavviso, si trova a fare i conti con sentimenti mai espressi, e ai quali riesce finalmente a dare un nome: come se d’improvviso, da miope che era, avesse potuto inforcare gli occhiali adatti a lui.
Affascinato dalla straordinaria vitalità di Margueritte e contagiato dalla sua inesauribile curiosità («la sua vita deve avere un gusto di marmellata per metterle tutta quella fame negli occhi»), Germain inizia al suo fianco un nuovo cammino, avviandosi a passi sempre più sicuri verso una maturità affettiva che si esprime nel bisogno di prendersi cura di questa nonna adottiva e nella scelta di assumersi delle responsabilità, ché «affezionarsi a una nonna non è più riposante che innamorarsi. Proprio il contrario».
Un libro davvero bello, deliziosamente sorprendente ad ogni pagina, e tre personaggi che resteranno impressi nella mente: Germain, e la precoce, impietosa saggezza di chi è stato strattonato dalla vita; Margueritte, e la svagata levità di chi è in pace col mondo; la parola, e il suo potere assoluto di creare o distruggere. Da leggere in treno, per antonomasia il luogo in cui la parola si fa – spesso e fin troppo volentieri – chiacchiera.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.