Saviano vuole scappare? Non sono d’accordo: Falcone, Impastato e migliaia di italiani “normali” sono rimasti per salvare la democrazia
08-07-2010
di
Pietro Ancona
Non condivido le cose dette da Roberto Saviano alla giornalista di El Pais. Ha dichiarato che l’Italia è un paese feroce dal quale vorrebbe andarsene. È vero che l’Italia è un paese feroce. Certo ognuno ha il diritto di pensare ad una vita diversa, non blindata, non oppressa dalle restrizioni imposte dalle minacce e dalla persecuzione della criminalità. Ricordo una malinconica fotografia di Giovanni Falcone affacciato alla finestra del retro della sua abitazione dalla quale non poteva uscire se non protetto dalla scorta.
Scorta che a volte non voleva disturbare per i suoi spostamenti non legati al suo ufficio. La vita blindata è dura, durissima specialmente quando si hanno meno di trenta anni e si ha diritto naturale alla più assoluta libertà. Certo, l’Italia è un paese in gran parte controllato dalle mafie che hanno avuto e continuano ad avere tanto potere perché complici ed alleate a grossi pezzi dello Stato. Nel governo italiano siede un sottosegretario inseguito da un mandato di cattura per collaborazione con la camorra che il Presidente del Consiglio appoggia ed un Parlamento protegge dall’arresto. Ed è anche vero che in Italia non c’è ricambio delle classi dirigenti come in altre democrazie. Ma questo perché l’Italia non è più da molto tempo una democrazia.
È una Oligarchia controllata da un ceto di professionisti della politica che si è impadronito di tutte le cariche istituzionali ricavandone di che vivere lautamente. Tutte le amministrazioni pubbliche, dai consigli di quartiere al Senato, sono gestite da un ceto politico stipendiato e ricco di privilegi. Migliaia e migliaia di famuli di questo ceto sono diventati amministratori di società create ad hoc per loro o consulenti. Il peso del ceto politico e parapolitico sull’erario italiano è enorme ed aumenterà ancora con il federalismo. Inoltre ed è cosa che Saviano non rileva e forse non gli interessa l’Italia è nelle mani di una Confindustria che con la complicità dei sindacati ha spogliato i lavoratori di quasi tutti i loro diritti ed a Pomigliano voleva inaugurare l’era dell’operaio-mulo ridotto a macchinario vivente. L’Italia ha la legge Biagi per la quale sei milioni di giovani sono stati condannati alla infelicità del precariato e di bassi salari. Salari bassi fino all’infamia di pagare ad un giovane ingegnere o avvocato o meccanico salari di 400 euro al mese. Trattamenti che gridano vendette come dover lavorare a cottimo in un call center che è diventato il mattatoio di tante speranze giovanili e di tanti studi fatti con entusiasmo ora amaramente spento.
L’analisi che fa Saviano della realtà italiana è parziale, ma non importa. Ha dato un contributo importante diventando l’icona della lotta alla camorra. Proprio per questo, per il fatto di essere diventato una star massmediatica a livello mondiale, non ha il diritto di esprimersi come ha fatto con El Pais. Se vuole andarsene dall’Italia, vada pure ma senza annunziarlo a tutte le agenzia di stampa e alle televisioni. Se ne vada in silenzio, sparisca dalla circolazione. Non lanci un messaggio di irredimibilità del Paese. Altri resteranno a fare battaglie. Tanti altri bravi e valorosi come lui ma senza i riflettori che lui ha quasi monopolizzato.
È di questi giorni il coraggioso libro “Agenda Nera” di Vittorio Lo Bianco e Sandra Rizza che esplora circostanze del perverso intreccio mafia-Stato facendo nomi e cognomi. Nomi e cognomi che non si leggono in nessuna pagina del fortunatissimo romanzo “Gomorra”. Una cosa è fare la guerra alla mafia ben altra cosa è fare la guerra al mafioso. La guerra al mafioso è sempre cruenta. La guerra alla mafia a volte si ed a volte no.
A nessuno si può chiedere di diventare eroe. Ma vorrei ricordare il martirio di giornalisti come Giuseppe Fava, Giuseppe Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Beppe Alfano. Tantissimi altri sono caduti per avere testimoniato la verità e lottato per una Italia libera dalla oppressione mafiosa. Questi martiri per una Italia civile e libera che ancora non c’è hanno avuto il coraggio di intervenire su interessi specifici del potere mafioso. Non vorrei che per trattenere Roberto Saviano in Italia dobbiamo fare di lui un uomo politico. Magari per attivare il ricambio di classe dirigente che ha reclamato nell’intervista ad El Pais. Vorrei chiudere ricordando la vita blindata di Roberto Scarpinato e di quanti assieme a lui conducono una lotta mortale alla mafia. Invito a leggere il suo bellissimo e istruttivo libro “Il ritorno del principe” nel quale viene spiegato perché l’Italia è quella dalla quale oggi Saviano vorrebbe fuggire.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.