Alla fine siamo arrivati anche lì, nel cuore del gruppo industriale più importante con ENI ed ENEL, del capitalismo di Stato; lo scandalo che travolge ENAV e Finmeccanica è l’ultimo tassello, per ora, del mosaico drammatico della corruzione politica ed economica del nostro Paese. C’è chi si chiede se queste vicende sono esplose ora per ragioni particolari, magari per intralciare il cammino del governo Monti. Non si può escluderlo: è certo che i fatti in parte risalgono anni agli scorsi e sono continuati fino a tempi più recenti, se sono venuti fuori ora, è perché sono saltate le coperture che avevano garantito l’impunità.
Possiamo dire che nel nostro Paese, questa malattia della corruzione è ben difficile da estirpare e non va dimenticato che abbiamo avuto per oltre quindici anni il dominio quasi incontrastato di un sistema di potere costruito intorno alla figura di Berlusconi, per tanti un emblema del concetto d’impunità. L’arroganza di considerare le istituzioni proprietà personale e privata della maggioranza, l’odio verso le regole e i controlli di legalità, l’insofferenza verso la funzione della magistratura, il predominio della logica dell’affarismo e del profitto a ogni prezzo, ha fatto da sedime della proliferazione di ogni tipo malaffare.
Come dimenticare le vicende del terremoto dell’Aquila, con la Protezione civile ridotta a centro di smistamento di appalti e favori agli amici e ai sodali; oppure il recente scandalo delle assunzioni nell’azienda di trasporti di Roma che ha travolto la giunta Alemanno, restato in piedi solo per l’appoggio incondizionato di Berlusconi.
Allo stesso tempo non si può tacere della vicenda di Milano che ha coinvolto Penati e il suo sistema d’affari con corredo, presunto o vero, di tangenti alla sinistra. Non è il caso di stilare in quest’occasione un elenco degli scandali nostrani perché richiederebbe troppo tempo e sarebbe anche molto triste. Occorre riflettere sul fatto che la politica ha raggiunto il livello più basso di autorevolezza e di consenso nell’opinione pubblica e che il nostro Paese è oggi considerato tra i meno affidabili in Europa.
Del resto come non considerare, a prescindere dal condividerla o meno, la scelta del governo Monti come una dolorosamente necessaria, sospensione della politica, in ragione del suo totale fallimento? Come si è giunti a questo disastro? Penso che dovremmo compiere una seria analisi di quel che è successo in Italia, e non solo nell’arco di tempo degli ultimi trent’anni, per riuscire forse a cogliere il senso di tutto ciò.
L’inizio di questa crisi si data convenzionalmente ai primi anni Novanta, con l’altro grande evento che travolse la prima repubblica: “tangentopoli”, la scoperta di un diffuso sistema di corruzione politica e di tangenti pagate ai partiti per ottenere appalti e favori; lo scandalo coinvolse tutti i vertici dei partiti, da quella crisi sorse un nuovo sistema politico , scomparirono la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, quelli Socialdemocratico e Liberale. Mentre il PCI, che non era stato coinvolto con la stessa intensità degli altri dalla gravità degli scandali, decise in quegli anni di cambiare nome e identità, abbandonando la sua matrice originaria.
Ritengo invece che le cause profonde sono più lontane nel tempo e risalgono alla crisi economica della metà degli anni Settanta che pose fine alla fase precedente di sviluppo democratico e civile iniziata dal dopoguerra ed in Italia dalla ricostruzione. Negli anni Ottanta nel mondo si affermò un’ideologia liberista che affidava totalmente al mercato ed all’impresa ogni potere di decidere la produzione, l’occupazione, i salari, i licenziamenti: cominciava in quegli anni una rimonta capitalistica che metteva in discussione i capisaldi del compromesso sociale e politico che aveva dominato per trent’anni, garantendo sviluppo e welfare.
L’ideologia alla base di questo processo era il cosiddetto “pensiero unico” dell’ultradestra americana ed occidentale, ben rappresentato soprattutto in Italia dalle posizioni di Edward Luttwack teorico, insieme all’utilità della guerra, della subordinazione degli stati nazionali agli interessi del grande profitto privato.
Quegli anni videro l’affermazione di nuovi leader della destra estrema – Reagan, la Thatcher, Pinochet – che non ebbero scrupoli ad usare i mezzi più spietati per ottenere la totale libertà del capitale industriale, militare e soprattutto finanziario. Iniziò la liberalizzazione dei mercati finanziari che portò alla crescita di nuove borse titoli ed alla proliferazioni di società che avevano la speculazione come codice genetico.
E’ in quegli anni che il concetto di denaro cessa di essere considerato, come nell’economia classica, “mezzo di scambio” per diventare “bene in sè”: la produzione e la riproduzione di denaro, nelle forme contanti e soprattutto virtuali, attraverso la libera proliferazione degli intermediari e delle attività di compravendita di titoli allo scoperto, di future, di option, di derivati, fino ai cosiddetti hedge fund, ha creato un’economia di carta, si dice oggi venti o più volte più grande della ricchezza prodotta dalle nazioni con la produzione di merci e servizi reali. L’enorme massa di denaro, falso e reale insieme, ha finito per condizionare la finanza, l’economia, la politica, gli stati e soprattutto le coscienze.
L’impossibilità di proseguire all’infinito in questa finta crescita, racchiusa in un’enorme bolla speculativa, è la causa della grave crisi strutturale che stiamo vivendo. Solo che questa situazione ha determinato un tale potere in chi ha in mano le leve finanziarie, da rendere il controllo di legalità e la politica del tutto inefficaci ad intervenire per correggere la situazione: i detentori delle leve decisionali delle politiche finanziarie mondiali, sono ancora tutti o quasi ai loro posti, decisi a non pagare alcun prezzo per le conseguenze del loro operato.
Tutto il mondo occidentale è stato coinvolto nell’enorme processo di appropriazione di potere da parte del capitalismo finanziario ma ovviamente ogni paese ha risposto secondo le sue strutture ed inclinazioni. I Paesi con le istituzioni più solide e classi dirigenti più selezionate, hanno retto meglio ma non sono mancati scandali clamorosi come il caso o Enron negli Stati Uniti o quelli dei trader truffatori in altri paesi, nessuno però con la pervicacia che in Italia
L’Italia ha risposto con la sottomissione totale della politica ai voleri del mercato, producendo Berlusconi come massimo esponente di questa economia surreale: impresario del mattone, della comunicazione e della pubblicità, ha incarnato il prototipo del potere moderno, privo di ogni remora o di ogni rispetto delle regole, un anarchico individualista, nichilista, estraneo ad ogni concetto di bene comune e di democrazia.
Il potere del denaro e sul denaro, incarnato nella sua persona, associato al potere politico, ha rotto ogni barriera di resistenza morale alla corruzione, quel che ha consentito a due imprenditori, intercettati, subito dopo il terremoto dell’Aquila di felicitarsi reciprocamente per i sicuri conseguenti affari o a quelle ragazze dell’Olgettina di affermare candidamente che un bel corpo è una dote che può consentire ogni tipo di carriera
La sinistra Italiana, così come Clinton negli USA e Blair in Inglhilterra, ha cercato, grazie alle sue disinvolte circonvoluzioni alla ricerca dell’affermazione, d’inseguire il modello liberista, restando totalmente catturata in questa cultura rampante ed individualista, perdendo quasi tutti i connotati di rappresentanza dei lavoratori e dei ceti deboli. La sinistra è rimasta così invischiata nella crisi del sistema senza essere in grado d’indicare alcuna diversa prospettiva.
Ora la crisi finanziaria ed economica mondiale, conseguente il crollo del modello consumistico dell’economia e della società, ha fatto implodere il sistema politico, determinando per il momento la caduta di Berlusconi.
Non si possono escludere ulteriori gravi sviluppi: la crisi derivante dalla globalizzazione della produzione e quindi dalla forte concorrenza dei paesi emergenti, è contemporaneamente in Europa e negli USA, crisi da sovrapproduzione e da calo dei redditi e sta determinando una disoccupazione dilagante; la crisi finanziaria tende a diventare recessione e forse in un prossimo futuro, se non si trova una via d’uscita, anche depressione economica.
In questo quadro le soluzioni che si stanno adottando i Italia con il governo Monti ed in Grecia con l’omologo Papademos, non a caso i due paesi più in crisi dal punto di vista delle struttura politico-istituzionale, sono il frutto dell’emergenza e della sfiducia generale nelle capacità della classe dirigente attuale di risolvere per via elettorale la crisi in atto.
L’intervento deciso di Monti di queste ultime ore, per risolvere la situazione rapidamente con le dimissioni del gruppo dirigente Finmeccanica, fa ben sperare, nonostante le perplessità che si possono nutrire: in questa fase sono necessarie determinazione, chiarezza ed etica pubblica per sconfiggere la mala pianta della corruzione in tutte le sue forme.
Vivremo nei prossimi mesi comunque ed in effetti stiamo già affrontando, una fase di crisi ancora maggiore, dalla quale si potrà uscire solo con un progetto di trasformazione economica e sociale di ampio e lungo respiro che sia fondata su un diverso modello economico, ambientale e sociale.
Le forze progressiste e di sinistra devono ben vigilare sugli atti del governo e sull’intervento delle istituzioni europee, in primo luogo della BCE, per evitare che la manovra anticrisi sia scaricata a danno dei percettori di redditi da lavoro dipendente e dalle classi più deboli. Solo una radicale svolta nella politica economica e fiscale che colpisca le grandi rendite finanziarie ed immobiliari e garantisca una redistribuzione più equa della ricchezza prodotta, soprattutto per combattere la precarietà, sono la ricetta per uscire in modo socialmente più equo da questa grave situazione.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà