Mia madre, che ha iniziato come autodidatta la fotografia a oltre 40 anni e che oggi, dopo 25 di artigianato puro, è una delle fotografe di arte contemporanea più stimate, fu amica discreta e ultima ritrattista di Meret Oppenheim, unica donna di spicco del movimento surrealista.
Il suo contributo all’immaginario trasgressivo del femminismo, nel 1959, ben prima delle drammatiche performances di Marina Abramovich, con la sua camminata/corsa in piena nudità verso un uomo, fino a sanguinare entrambi nell’impatto violento dei corpi, fu la messa in scena di un banchetto nel quale la tavola imbandita era il suo corpo.
Su di sè, stesa immobile, aveva disposto cibo e bevande a cui si poteva attingere con le mani, una sorta di finger food party al quale parteciparono tre coppie.
Il senso che la Oppenheim voleva dare a questa irriverente proposta artistica era chiaro: il corpo delle donne è giunto ad essere talmente mercificato che può essere benissimo trasformato, all’occorrenza, in un piano utile sul quale appoggiare cibo per mangiare. Questo, tanto per ricordarlo, lo affermava nel lontano 1959.
Altro che femminile nutrice e poetica, così come voleva la retorica sul materno idilliaco: uno strumento, puro e semplice, ci ricordava l’artista, che dall’uso sessuale a quello di supporto può tranquillamente e in modo versatile essere utilizzato.
Ho moltissimi dubbi sul fatto che i gestori e la giovane che si è prestata come tavolino del locale vicentino nel quale la ragazza è stata usata come appoggia-tramezzini conoscessero la storia del banchetto artistico della Oppenheim.
Forse pensavano che fosse fico, come si dice oggi in mancanza di sinonimi, piazzare una bella tosa in posizione orizzontale coperta solo da paninetti: che trovata geniale per attirare simpatici avventori, già avezzi ai bar topless e stanchi di cotanta banalità, si saranno detti.
Nella storia umana, circa dal 1400, nulla di nuovo si inventa più, lavorando infatti l’intelligenza umana al perfezionamento della tecnologia disponibile.
Sempre domandandosi di fondo come può, pur ammettendo il bisogno di denaro (ma ci sono sempre alternative, almeno qui e ora in Italia), una giovane donna pensare che sia solo un gioco leggero il prestarsi a fare da tavolino nuda con cibarie, l’altra domanda potrebbe essere questa: ci sarà mai fine al cattivo gusto e all’estetica pornografica della grettezza e della volgarità.
Monica Lanfranco è giornalista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto. Ha fondato il trimestrale di cultura di genere MAREA. Ha collaborato con Radio Rai International, con il settimanale Carta, il quotidiano Liberazione, con Arcoiris Tv. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici). Insegna Teoria e Tecnica dei nuovi media a Parma.
Il suo primo libro è stato nel 1990 "Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi". Nel 2003 ha scritto assieme a Maria G. Di Rienzo "Donne disarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi" e nel 2005 è uscito il volume "Senza Velo - donne nell’Islam contro l’integralismo". Nel 2007 ha prodotto e curato il film sulla vita e l’esperienza politica della senatrice Lidia Menapace dal titolo "Ci dichiariamo nipoti politici". Nel 2009 è uscito "Letteralmente femminista – perché è ancora necessario il movimento delle donne" (Edizioni Punto Rosso).