Voce narrante, conclusione del film: «Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Cechov, Gorki e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in greco antico» (“Z – L’orgia del potere”, Costantin Costa-Gavras, 1969).
1) Qualsiasi portavoce della cellula terroristica del FMI operante in Italia, ad esempio il “ministro della pioggia”, Maurizio Sacconi (quello del “l’aggiustamento è inevitabile quanto la pioggia”) vi direbbe: “Se le riforme non funzionano, il FMI raccomanda di approfondirle”. Roba da pazzi in libertà, e non per colpa di Basaglia. Come a dire “per il paziente che non da segnali di miglioramento e, anzi, peggiora ogni volta che gli somministrano gli antibiotici, i medici raccomandano di aumentarne la dose”. Come dire, “i torturatori continueranno a torturare la loro vittima finché riusciranno ad ottenere ciò che vogliono” (beh, questa ha più senso o, quantomeno, è una pratica secolare).
2) Secondo Vladimir Putin, le riforme liberiste realizzate da Boris Yeltsin per conto degli Harvard Boys negli anni ’90 avevano portato la Russia a tassi di natalità più bassi, ad attese di vita più brevi e ad una emigrazione di massa, provocando la maggiore riduzione della popolazione nel secondo dopoguerra.
Informa l’agenzia Novisti il 27 aprile 2011: “Secondo Valeri Goregliad, vicepresidente della Corte dei Conti, in Russia lo 0,2% delle famiglie controlla quasi il 70% della ricchezza nazionale. Questa disuguaglianza non può incentivare le crescita economica. Oggi il salario medio in Russia rappresenta tra il 40 e il 60% del salario medio europeo, ma poiché la produttività del lavoro non aumenta velocemente, prima di aumentarli bisogna aumentarne la produttività”.
In seguito alla svendita del patrimonio pubblico russo è sorta una nuova classe di superricchi mafiosi che li usano, ad esempio, per acquistare squadre di calcio. Secondo il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Caltanisetta, Roberto Scarpinato (Relazione al Parlamento Europeo, Bruxelles 30 marzo 2011), “è ormai unanimemente riconosciuto che il capitalismo russo è un capitalismo mafioso in una misura che viene quantificata tra il 60 e il 70%. Fonti dello stesso governo russo sostengono che circa il 40% delle imprese private, il 60% di quelle statali, l’85% delle banche russe e il 70% delle attività commerciali, sono soggette ad infiltrazioni o comunque sono sotto l’influenza delle organizzazioni criminali, e quasi la totalità delle imprese commerciali nelle maggiori città è gestita direttamente o indirettamente da gruppi criminali. Con le ultime elezioni la situazione si è aggravata. Molti mafiosi sono diventati assistenti parlamentari dietro il pagamento di una somma di denaro. Adesso in Russia, i 450 deputati della Duma si servono di 15.000 assistenti parlamentari, alcuni dei quali sono stati uccisi per contrasti tra gruppi criminali locali. La mafia russa siede ormai nel cuore della finanza internazionale, ed è divenuta una delle componenti strutturali del capitalismo globale, del nuovo potere privato in grado di condizionare l’ordine geoeconomico e geopolitico internazionale. La compenetrazione tra capitalismo legale e mafioso, nonché la crescita tumultuosa dei «Sistemi criminali» sono poi una tragica realtà in alcuni paesi europei nati dal crollo dell’impero sovietico, nei quali la fusione tra esponenti delle nomenclature al potere e organizzazioni mafiose è talmente radicata che, per definire tali paesi, alcuni studiosi utilizzano le espressioni «regimi criminocratici» e «Stati-mafia»”.
3) Tra i protagonisti della crisi finanziaria iniziata nel 2008 negli USA c’era la banca di investimenti Goldman Sachs. Dichiarata in bancarotta, nel settembre 2008 la Federal Reserve decideva di trasformarla in banca commerciale, previo regalo (“riscatto”) di 10 miliardi di dollari (pubblici). Nell’aprile 2010 la Commissione statunitense di controllo sulle borse l’ha accusato di frode legate alle ipoteche subprime. “Attualmente è giudicata nei tribunali statunitensi per avere emesso obbligazioni vendute ai suoi clienti su ipoteche di cui aveva previsto il fallimento. Secondo le autorità statunitensi, per questa frode gli ingenui investitori della Goldman Sachs hanno perso circa 740 milioni di euro” (“El País”, Madrid 17 aprile 2010).
Goldman Sachs ha avuto un ruolo centrale nel nascondere il deficit pubblico greco alla UE, ai mercati finanziari e alla opinione pubblica (“The Guardian”, Londra 20 aprile 2010). Inoltre, ha venduto buoni greci per circa 11 miliardi di euro. Solo con questa ultima operazione, afferma l’agenzia finanziaria statunitense Bloomberg News, Goldman Sachs ha guadagnato circa 735 milioni di euro tra il 2002 e il 2007 (“El País”, Madrid 18 febbraio 2010).
Tra gennaio 2002 e gennaio 2006, il vicepresidente della Goldman Sachs era Mario Draghi, appena nominato presidente della BCE (incarico che ricoprirà dal 1 novembre 2011 al 31 ottobre 2019). In Italia, i media e la politica hanno celebrato questa “grande vittoria del paese”, usando gli stessi toni con cui hanno raccontato la grande conquista della Chrysler da parte di Sergio Marchionni. Forse hanno avuto e hanno ragione. Con Marchionne si va verso la liquidazione della Fiat, con Draghi la UE, che finora aveva soltanto dedicato fondi pubblici al salvataggio delle grandi banche che hanno provocato la crisi, ora ne contratta i dirigenti per gestire l’economia pubblica. Due avvenimenti non banali.
4) Il membro del consiglio esecutivo della BCE, Lorenzo Bini Smaghi, è diventato noto perché, in nome della autonomia della BCE stessa (autonomia dai governi e dalla popolazione europea, non certo dalle finanze e dalle banche) ha rifiutato di consegnare le dimissioni al suo incarico come l’accordo per la nomina di Draghi presupponeva. Non resisterà a lungo e, come accadde sempre ai lor signori, cadrà in piedi (e con le tasche piene), probabilmente come ministro del tesoro o come successore della stesso Draghi alla Banca d’Italia.
In una intervista al “Financial Times” (30 maggio 2011), lo “stoico resistente” Bini Smaghi, spiega il piano di salvataggio della Grecia:
FT: Un suo ex collega, dice che la Grecia è insolvibile e “non sarà fisicamente possibile” che rimborsi i suoi debiti. Ha ragione?
LBS: Si sbaglia, perché la Grecia è solvibile se applica il piano. Dispone di attivi che può vendere per ridurre il suo debito e degli strumenti per cambiare i suoi sistemi tributari e di spesa per ridurre il debito. Questa è la valutazione del FMI e della Commissione Europea.
I paesi poveri non hanno attivi, i loro redditi sono bassi e, quindi, diventano facilmente insolvibili. Se si considera lo stato finanziario della Grecia, questa non è insolvibile. Il problema cruciale è la volontà politica del governo e del parlamento. Le entrate delle privatizzazioni ridurrebbero il rapporto debito/PIL dal 160% al 140%-135%”.
Il 1 giugno 2011 (“The New York Times”) insisteva: “Il settore pubblico ha attivi negoziabili per un valore di 300 miliardi di euro e non è in bancarotta. La Grecia deve essere considerata solvibile e bisogna esigerle di pagare i suoi debiti. La BCE si oppone fermamente a qualsiasi piano che le permetta di allargare i termini di pagamento sul debito o costringa gli investitori ad accettare meno del pagamento totale loro dovuto”.
Il 7 giugno 2011 ribadiva: “La Grecia non è insolvibile. Può pagare quanto deve ai banchieri tedeschi (22,7 miliardi), ai banchieri francesi (15 miliardi) e alla BCE (190 miliardi), vendendo le terre pubbliche ed i porti, i diritti d’acqua e le fogne, la proprietà del sistema telefonico e altre infrastrutture. La ristrutturazione del debito scoraggerebbe la modernizzazione dell’economia greca”. Il quotidiano dei pescecani, “The Wall Street Journal”, commentava: “La Grecia è in vendita – a buon mercato – e la Germania sta comprando. Le aziende tedesche si sono messe alla caccia dei saldi in Grecia e il governo si dà da fare per vendere le proprietà dello Stato per stabilizzare le finanze del paese”.
Le “riforme” della troika – Commissione europea, FMI, BCE – innestano la marcia verso un sistema oligarchico. Non è l’oligarchia post-feudale dei proprietari delle terre conquistate manu militare, ma una oligarchia finanziaria che accumula crediti bancari e buoni il cui valore aumenta in modo inesorabile ed esponenziale, penalizzando investimenti e consumi, ossia punendo la stragrande maggioranza della popolazione.
5) Negli Anni ‘90, il mio vecchio amico Stavros Perdikeas mi diceva: “Guardati attorno. Qui nel Peloponneso comandano i tedeschi. Se davvero faranno la moneta unica, si compreranno tutto. Attraverso l’economia ottengono ciò che voleva Hitler”. Forse perché ex marinaio, aveva la vista lunga: gli obiettivi dell’aggressione finanziaria sono, infatti, gli stessi della conquista militare, la terra e il controllo sui beni comuni pubblici, da ottenere attraverso la “svalutazione interna” – tagli dei salari, per ridurre il costo della manodopera in nome della competitività – e della riduzione del livello di vita della popolazione. Ma, come oltre 30 anni di applicazione del vangelo liberista dimostrano, ciò riduce la produttività ed erode il mercato interno, creando una spirale in permanente via di deterioramento dell’economia.
Le finanze sono il metodo di guerra applicato nel secolo XXI nei paesi democratici (per gli altri ci sono le guerre di civiltà). Lo scopo è impossessarsi della terra e della infrastruttura pubblica per le loro proprie élite. Il successo nel raggiungere questo scopo attraverso mezzi finanziari, imponendo la schiavitù per debiti alle popolazioni sottomesse, evita il sacrificio di vite della potenza aggreditrice, ma solo fin quando i paesi debitori sottomessi accettano volontariamente questo peso. Gli attivi nazionali si privatizzano per favorire le banche straniere. Ma, così come le nazioni sotto attacco militare possono intavolare un processo legale, la Grecia potrebbe presentare una domanda per la devastazione provocata dall’austerità, i posti di lavoro persi, la produzione persa, la popolazione persa, la fuga di capitali.
L’economia greca non riceverà nulla del “riscatto” della troika. Tutto il denaro finirà nelle banche. Queste potrebbero persino prestarlo agli acquirenti della terra, dei monopoli e degli altri beni che, secondo loro stessi, la Grecia deve privatizzare. Naturalmente aumenteranno, come fanno dovunque, le tariffe dei servizi. Serve ad aumentare i loro profitti, un tributo militare propriamente tale, pur se con cravatta.
6) L’Europa è al centro della fase attuale della crisi, dicono i media, i politici, i governi e il mago Merlino. Ne deducono: poiché siamo tutti sulla stessa barca, tutti dobbiamo fare dei sacrifici. Infatti, il “Rapporto mondiale sulla ricchezza di Merrill Lynch-Capgemini” (giugno 2011) afferma: “Sia i milionari che la loro ricchezza sono aumentati nel 2010. Sono 10, 9 milioni di persone, con una ricchezza disponibile di 42.700 miliardi di dollari e una un crescita media annua, dal 2007, del 9,7%. In Europa ci sono 3,12 milioni di persone che dispongono di almeno 1 milione di dollari personali, e la loro fortuna complessiva è uguale a 10.200 miliardi, un 7,2% di più che nel 2009”.
I pescecani sono pagati come tali. Nel 2010, ad esempio, il presidente della statunitense JP Morgan Chase, JamieDimon, ha incrementato la sua remunerazione del 1.541%, da 1,2 a 20,7 milioni di dollari. John Stumpf, presidente della Wells Fargo, ha subito invece un calo del 6% e ha guadagnato solo 17,5 milioni di dollari (12,2 milioni di euro). James P. Gorman, AD della Morgan Stanley in bancarotta, 14,8 milioni. Secondo il presidente della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, “i banchieri fanno il lavoro di Dio”, e si è aumentato lo stipendio del 1.536%, arrivando a 14,1 milioni di dollari. Brady Dougan, AD di CreditSuisse, ha guadagnato 11,8 milioni, Stephen Hester, AD della Royal Bank of Scotland (riscattata dallo Stato britannico), 11,5 milioni di dollari (8 milioni di euro), eccetera. Epicentro della crisi? Tutti sulla stessa barca? Sacrifici condivisi? Ma, mi faccia il piacere.
7) La Grecia è al centro della crisi europea. Il 29 giugno 2011 il parlamento di Atene ha votato pesanti tagli sulla spesa sociale, le pensioni, l’assistenza sanitaria, il settore pubblico… Ma, il suo governo “socialista” continua a spendere, molto, in armamento. Naturalmente, acquistandolo dai maggiori difensori dell’austerità: Stati Uniti, Germania e Francia.
Tra il 2005 e il 2008, il valore dei prestiti concessi dalle banche occidentali al governo ellenico si sono duplicati. Alla fine del periodo, arrivavano a 160 miliardi di dollari. Contemporaneamente, le spese militari aumentavano del 35%, trasformando la Grecia nel quarto importatore mondiale di armi, capitolo al quale dedica il 4,3% del PIL. Ma, essendo in crisi, ha diminuito la spesa per l’educazione (4% del PIL, scendendo al 105° posto al mondo. D’altronde, direbbe un bounty killer, chi ha le Colt non ha mica bisogno di saper leggere.
Naturalmente, afferma una ricerca congiunta realizzata da giudici greci e tedeschi (dicembre 2010), per ottenere i contratti sono stati corrotti importanti politici, funzionari pubblici e generali a 4 stelle.
Naturalmente, i soldi per acquistare gli armamenti proviene da prestiti concessi dalle banche degli stessi paesi che vendono le armi, Stati Uniti, Germania, Francia principalmente. Sono serviti per acquistare 3 miliardi di euro in elicotteri di combattimento francesi, 2 miliardi in aerei di combattimento statunitensi, 2 miliardi in Mirage francesi, 6 miliardi in sottomarini tedeschi, mezzo milione in elicotteri di combattimento francesi, eccetera. Complessivamente, sarebbe bastato diminuire la spesa militare dell’1% annuo per evitare il taglio di stipendi e pensioni. Forse, la barca è la stessa, ma alcuni sono incatenati ai remi e altri prendono la tintarella.
8) Negli anni ’90, l’allora CEE tuonò: o scegliete Boris Yeltsin o non vi daremo un centesimo. I risultati sono alla vista.
Nel giugno 2011, i leader della UE hanno fatto pressioni, senza risultato, persino sul capo dell’opposizione conservatrice, Antonis Samaras, perché appoggiasi la manovra del governo socialista. A Bruxelles, i 27 hanno chiesto “’unità nazionale”, come in Irlanda e Portogallo quando dovettero trattare sui loro relativi “riscatti”. “Voglio richiamare l’opposizione perché faccia onore alla sua responsabilità storica”, tuonò Angela Merkel. “Il parlamento greco deve rispettare le nostre decisioni. L’opposizione non può permettersi di far credere ai greci che esista un’altra soluzione. Non c’è un piano B”, minacciò Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo.
Samaras rispose: “Appoggiare questi tagli equivarrebbe ad appoggiare l’uso di una medicina per qualcuno che sta crepando a causa della stessa medicina”. La manovra approvata include 28 miliardi di euro tra aumenti delle tasse (escluse le aziende e le banche), e tagli della spesa pubblica (con la perdita di migliaia di posti di lavoro) oltre a 50 miliardi in privatizzazioni. I 27 ribadiscono: Continueremo ad appoggiare la Grecia”. Non si capisce se per Grecia intendono le banche, il governo o la maggioranza del parlamento.
9) Il 18 giugno 2011, in una conferenza all’Università europea di Firenze, il presidente della Commissione Europea, José Manuel Durão Barroso, affermava: “A volte in Europa i piccoli passi sono i più importanti. Leggete con attenzioni le conclusioni del Consiglio Europeo di ieri. Sta prendendo piedi una rivoluzione silenziosa, una rivoluzione silenziosa in termini di una governance economica più forte. Gli Stati membri hanno accettato – e mi auguro l’abbiano capito bene – di concedere poteri molto importanti alle istituzioni europee riguardo la vigilanza economica e il controllo molto più serrato delle finanze pubbliche. E’ avvenuto ieri. Hanno accettato il principio, Ora ci tocca legiferare”. Parlava del programma di vigilanza che costringe gli Stati a presentare i loro programmi economici, incluse le linee generali dei loro conti nazionali, alla Commissione Europea e al Consiglio, prima di sottoporli al dibattito dei parlamenti nazionali. Ossia, parlava dei tre patti: il Patto per la Stabilità e la Crescita, il Patto per la Riforma Strutturale e il Patto per l’Euro, gioielli del liberismo più sfrenato, che si vuole imporre alla popolazione europea senza nemmeno dare nell’occhio.
Scrive l’europarlamentare Willy Mayer (“Público”, Madrid 26 giugno 2011): “E’ un golpe di Stato. Da Bruxelles, si vuole smantellare lo Stato sociale europeo e uniformare i criteri per dare l’assalto ai salari tramite la flessibilità e la distruzione dei contratti collettivi, ridurre drasticamente la funzione pubblica sia come numero di addetti che come retribuzioni, aumentare l’età per andare in pensione, privatizzare il sistema pensionistico e concludere il processo di progressivo smantellamento dei servizi pubblici.
La cosiddetta Governance Economica Europea attraverso la realizzazione dei tre patti, si oppone al vero Governo Democratico dell’economia, imprescindibile per ricondurre la costruzione europea al raggiungimento della coesione sociale, territoriale e al benessere sociale delle persone. Non è un caso che si eluda la necessità di progredire riguardo il governo democratico dell’economia europea, perché questo implicherebbe la messa in moto di un’architettura politica completamente diversa e un orientamento economico disegnato da e per i cittadini europei dal controllo esclusivo delle sovranità nazionali ed europea.
Il pugno d’acciaio che si cerca di imporre con questi aggiustamenti provoca, de una parte, la reazione sindacale europea con scioperi generali, e l’invito a coordinare azioni a carattere europeo, come indica il Manifesto di Atene della Confederazione Europea di Sindacati e, dall’altra, l’indignazione e ribellioni di quanti non si rassegnano ad essere spettatori di una marcia del gambero che riporta indietro le lancette dell’orologio della storia.
L’europeismo militante deve esigere di sottoporre a referéndum nella UE tutte queste riforme e misure di aggiustamento che invadono le sovranità nazionali, perché sia il popolo europeo a dare o meno la sua conformità a questa deriva antisociale e, quindi, antieuropea”.
Il premio Nobel di Economia, Amartya Sen, aggiunge: “Quando un Governo fallisce, lo si può mandare a casa. Ma, nei confronti dell’impressionante insuccesso della UE riguardo la crisi greca, contro chi si può votare? Agli europei manca un diritto fondamentale: il voto. Perciò è impossibile realizzare un aiuto finanziario democratico della UE verso i greci. Perché delle due una: o il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy governano la Grecia violando la sua sovranità, oppure si aiuta i greci accettando la perdita di controllo sulle nostre finanze. Ma, in qualsiasi caso, si passa al di sopra dei principi democratici” (PRESSEUROP, 26 giugno 2011).
In Italia, lo stesso giorno, gli opinionisti si congratulavano perché l’Europa era stata salvata dal voto responsabile del parlamento greco, intervallando le loro iperboli con l’illustrazione delle attività dei malvagi greci che, incapaci di capire, erano da due giorni in sciopero generale. I parlamentari – che hanno recentemente approvato all’unanimità l’aumento dei loro salari – discutevano animatamente sulla data delle prossime elezioni. Nei bar, ci si appassionava a Ruby, al bordello di Arcore e al calciomercato. I fotografi marciavano in corteo verso Montecarlo per seguire le nozze reali… Forse è vero che, come dicevano gli antichi greci, gli dei accecano chi vogliono perdere.
R. A. Rivas
Città di Castello, luglio 2011
Rodrigo Rivas, economista cileno, è stato parlamentare ai tempi di Allende. Esule dal 1974, ha diretto il Cespi, di Mani Tese, direttore di Radio Popolare, oggi lavora in Umbria per le politiche sociali di Città di Castello.