Il presidente dell’Islanda, paese economicamente fallito, invita i turisti a contemplare da vicino lo spettacolo della natura che esplode. Sessant’anni fa il cinema aveva proposto ne “L’asso della manica” la scorciatoia per uscire dalla crisi trasformando il dramma in un grande show
Se la cenere del vulcano che ha inginocchiato l’Europa diventa uno spot
19-04-2010
di
Ippolito Mauri
La cenere del vulcano esploso in Islanda sta per diventare lo spot al quale si aggrappano le finanze di uno stato dichiarato fallito. Olafur Grimsson, presidente di un paese in bancarotta dopo aver dichiarato l’impossibilità di restituire prestiti enormi a banche inglesi e olandesi, ha annunciato di voler trasformare in promozione turistica l’eruzione che ha ricoperto di cenere mezza Europa. Grimsson è apparso in Tv preoccupato per gli effetti che la pioggia di cenere avrà sull’agricoltura, ma “molto ottimista” per la pubblicità con qual l’eruzione può incantare le folle dei turisti estremi d’Europa e degli stati Uniti. «In questo momento siamo un paese scomparso dagli interessi economici e turistici del mondo. Paese in ginocchio ma il vulcano può darci una mano per riportarci a galla. Va in scena uno spettacolo al quale siamo abituati, spettacolo sconosciuto altrove. Una catena di vulcani si accende e si acquieta complicandoci la vita. Consideriamolo un fantastico reality al quale possono assistere milioni di turisti che in nessun altra parte del mondo possono godere della rappresentazione della violenza misteriosa della natura».
Le profezie del cinema prima o poi si avverano sempre. Sfruttare i drammi per far soldi non è solo il gioco degli speculatori che ridono quando l’Aquila crolla per il terremoto. L’uso mediatico di una tragedia a volte diventa il business che cambia la vita a chi sa cavalcarlo con rispettoso cinismo. Le lacrime da coccodrillo dei giornalisti Tv quando intervistano madri che hanno perso figli, figli che hanno perso genitori: “Cos’avete provato?”, voce rotta dalla recita dell’emozione.
Le radici cinematografiche della speculazione mediatica delle disgrazie comincia a Hollywood 60 anni, film di Billy Wilder (il maestro di “A qualcuno piace caldo”). Racconta la storia di un giornalista cinico, senza scrupoli, disposto a colpire innocenti se l’editore glielo chiede offrendogli soldi e carriera. Ma i lettori del giornale dove scrive si rivoltano e il giornalista viene licenziato. Con le tasche vuote e il nomadismo americano, Kirk Douglas (è il suo secondo film) arriva in un piccola città sperduta. Vuol scrivere il suo romanzo della sua vita come sempre fanno i giornalisti che escono dal giro. All’improvviso una frana blocca un minatore in fondo alla miniera scavata a pochi chilometri dalla città. L’occasione è doro e non la lascia scappare. Convince lo sceriffo dell’importanza turistica che potrà avere la città se migliaia di curiosi seguiranno l’agonia di ci chiede aiuto da sottoterra. Un affare che affascina lo sceriffo. Ritarda i soccorsi, chiede interventi da posti lontani per vedere cosa succede. Intanto Douglas torna a scrivere: da un ufficietto telegrafa le cronache ai giornali importanti. Arrivano radio e Tv. Douglas scopre che la moglie del sepolto vivo è stanca di una vita di miserie. Ne fa la protagonista che piange in ogni telegiornale nazionale. E le corriere dei curiosi diventano un’invasione. Fiuta l’affare una luna park: apre le sue tende e fa girare le giostre attorno alla tomba di chi sta morendo.
La metafora sui giornalisti a noleggio sessant’anni dopo è ormai monumento quando le ceneri del vulcano islandese hanno sconvolto i cieli d’ Europa. Ma il vulcano si sta acquietando. Attenzione, avvertono il presidente Grimsson e i vulcanologi della terra dei vulcani. Anche il vulcano gemello sta per svegliarsi. Proprio quando l’estate non è lontana e la terra dei ghiacci s’intiepidisce per accogliere i curiosi. Pagare i debiti con la paura è l’ultima risorsa anticrisi.