La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Mondi » Europa orientale »

Le differenze tra i Paesi dell'ex blocco sovietico emergono con accenti marcati: dalle voglie di separatismo alle nostalgie per il totalitarismo, dai giovani a cui è stata castrata l'immaginazione al recente passato, sempre più oggetto di parziali riletture

C’era una volta quel curioso «est» che non esiste più

08-07-2010

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Sprofondando nell’appiccicoso caldo dell’estate centro-europea, viene naturale guardarsi indietro e fare due calcoli su ciò che è accaduto nei mesi passati, decisamente più freschi: di fatto ci siamo lasciati alle spalle una primavera ricca di eventi importantissimi all’interno dell’ex blocco sovietico. Elezioni politiche in Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, più un nuovo Presidente della Repubblica in Polonia. E sebbene alcune similitudini di superficie possano essere scovate qui e lì (governi di colazione conservatrici spuntati sia a Praga che a Bratislava, nonostante il partito maggiormente votato in entrambe le nazioni fossero i socialdemocratici) si fanno sempre più evidenti le differenze tra gli Stati che appartennero al Patto, oramai maturi e autonomi da oltre un ventennio.

Constatazione banalotta, ma che spesso va a schiantarsi contro un sentore comune che li vorrebbe più o meno tutti simili, un brodino omogeneo di storie, paesaggi e retaggi a estendersi da Ústí nad Labem fino a Donetsk, doppiando in longitudine la divisione che fu tra Trieste e Stettino, anch’essa morta e sepolta: quel curioso «est» che ogni tanto si materializza.

Ne consegue quanto ogni sparata generalizzante (e ne emergono di nuove in continuazione) lasci il tempo che trova; per questo – raccontando una vicenda che si svolga in quest’area – è sempre bene specificare con la massima precisione dove siamo, a rischio di passare per irritanti puntigliosi. Lo scivolone sta sempre dietro l’angolo e spaventa da matti.

La scrittrice Slavenka Drakulić nel suo La gatta di Varsavia (vengo a saperlo da un articolo uscito su Repubblica) utilizza alcuni animali per raccontare le realtà locali: scopro l’esistenza di una gatta polacca e un topo praghese, assieme a un pappagallo e una maialina anch’essi di paesi che furono satelliti URSS. Il loro esprimersi su quanto è stato – i regimi totalitari crollati nel 1989 – ha lo scopo, tra i tanti, di scostarsi dalla usuale saggistica a tema utilizzando voci particolari e parlare così in modo più o meno diretto ai giovani i quali (stavolta riprendo l’intervistatrice Susanna Nirenstein) «pensano che il comunismo sia un fatto morto e sepolto, da vecchi».

Non avendo ancora letto il libro della Drakulić non posso rispondere al topo Bohumil o alla gatta Gorby, così come ignoro quanto davvero sia questo un aspetto di ciò che pensano e comunicano al lettore; perciò mi limiterò a riportare alcune brevissime impressioni sull’argomento mutuate dal girovagare oltre-cortina. In primis, il fatto che l’esperienza totalitaria non parrebbe affatto morta e sepolta tra i ragazzi, anzi ben presente. Solo, metabolizzata in modi tra i più diversi e alcuni di essi possono sì tendere a funzionare con decisione da casseforti emotive (d’altronde sarebbe forse eccessivo se l’avere trascorso un paio di lustri in un sistema politico diverso da quello attuale fosse aspetto che emergesse ad ogni discussione e in ogni contesto.) Tuttavia sembra esistere una piuttosto diffusa consapevolezza di quanto è stato e numerose tracce di ciò avrebbero poi risvolti visibili sia in politica che nel sociale.

Infatti, senza per altro forzare troppo sull’argomento, molti coetanei cechi o slovacchi o cresciuti in quella che fu Berlino Est frequentemente mi hanno raccontato ricordi e vicende legate alle rispettive infanzie in stati non democratici; il trasporto che ho potuto notare è sempre parso adeguato all’importanza dei fatti narrati. A vicende più o meno ilari come la prima banana mangiata a Köpenick (si dice con buccia, ma credo trattarsi di leggenda dalle infinite varianti locali) o l’ostracismo del mostro verde Hulk nella Cecoslovacchia di Gustáv Husák, si contrappongono storie di parenti fuggiti nella notte e ricordi ancora vivi di file e limitazioni. Oltretutto le centinaia di riviste letterarie e politiche centro-europee che proprio sulla transizione fanno perno sono gestite spessissimo da under-quaranta e (sempre nei limiti di audience per simili pubblicazioni) si dimostrano capaci di raccogliere un decoroso successo; idem – per quanto segua meno la scena – le pellicole locali, specie quelle della gloriosa tradizione balcanica, tra le quali figurano molti film di giovani registi sul tema della vita sotto il comunismo.

Stimolato dallo spunto su Repubblica proverei quindi a ribadire un concetto sul quale mi capita spesso di leggere opinioni e seguire dibattiti: vi sono -io credo- molte tracce in giro a suggerirci quanto l’esperienza dittatoriale non sia stata dimenticata dai ragazzi dell’Europa centrale e orientale, sia da coloro che ne hanno vissuto una parte sia per chi invece è nato dopo. Non parrebbe un mondo da molti etichettabile come da vecchi. Tuttavia la memoria va sempre rinfrescata e ben vengano libri e articoli a tema. Piuttosto, eventuali problemi come i nascenti nazionalismi in alcuni stati o certe simpatie per movimenti ambigui hanno trovato terreno fertile nei vent’anni successivi la caduta. Per fortuna l’assoluta ricchezza culturale della zona impone un deciso ottimismo; quello che è stato probabilmente non si ripeterà, almeno qui. Anche – ma non solo – perché il ricordo in tanti se lo portano dentro e si direbbe diffuso un bel talento nel tramandarlo.

Gabriele MerliniGabriele Merlini ha trentuno anni, lavora nell'editoria e collabora con testate e riviste online, occupandosi principalmente di tematiche inerenti l'Europa centrale e orientale. Cura dal duemilasette il sito Válečky: http://eastkoast.wordpress.com/

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