L’Italia sotto attacco della speculazione finanziaria, il valore dei titoli di Stato (e quindi l’affidabilità del debito pubblico) diminuisce, mentre i rendimenti, cioè ciò che si paga agli investitori in termini d’interessi, è notevolmente aumentato rispetto al rendimento dei titoli di stato tedeschi che sono il riferimento europeo.
Questa situazione drammatica per l’Italia, è ovviamente inserita nel contesto più generale della crisi mondiale che colpisce in modo e in misura diversa gli USA ed il Giappone, in Europa con l’Italia, la Grecia, il Portogallo, L’Irlanda, La Spagna, ciò fa temere conseguenze ancora più gravi per l’economia e soprattutto per i cittadini dei Paesi coinvolti, con disoccupazione, precarietà e povertà crescenti.
Il nostro Paese è tra i malati più gravi, in preda alle convulsioni di una situazione economica e politica senza una reale direzione di marcia; il governo Berlusconi è agonizzante ma il “Caimano” sembra non volersi piegare alla sfiducia espressa chiaramente dai cittadini con il voto alle recenti elezioni amministrative e clamorosamente in quelle referendarie.
Nemmeno le continue prese di distanza dei suoi alleati leghisti, le inchieste giudiziarie, il coinvolgimento di ministri ed uomini del suo partito in affari di corruzione e da ultimo appunto l’economia bloccata e la crisi finanziaria, lo spingono a farsi da parte per favorire una fuoriuscita dell’Italia dalla palude in cui è finita. Sembra appunto quasi di rivedere le ultime scene del film di Moretti in cui un torvo Berlusconi scappa in auto mentre le istituzioni bruciano, è questo l’epilogo che ci attende?
Invece mai come in questo momento sarebbe, anzi è necessaria una profonda svolta nella politica economica, fiscale e dei redditi: la spesa pubblica dovrebbe essere contenuta nelle sue distorsioni e sprechi che sono ancora molti, per salvaguardarne, riqualificandola, la funzione nei servizi fondamentali e di sostegno al welfare: siamo il Paese in cui ancora non si riesce a misurare l’efficienza delle prestazioni e dove in zone ed aree diverse, gli stessi servizi sono erogati a costi e con risultati opposti, dove ad esempio nello stesso ospedale convivono reparti all’avanguardia e situazioni fatiscenti frutto di gestioni scandalose, perché non si accettano regole elementari di controllo dei comportamenti e delle prestazioni soprattutto di coloro che detengono le maggiori reponsabilità.
Siamo il Paese delle eterne clientele e dei furbi di tutte le cotte, non solo in politica ma in tutte le attività produttive ed industriali, dove si evadono gli oneri previdenziali dei lavoratori, si usa a man bassa il lavoro nero, si inquinano disonvoltamente l’aria, l’acqua e la terra; nelle prestazioni professionali, ottenere la ricevuta fiscale molte volte è una concessione che bisogna esigere, siamo una società totalmente deresponsabilizzata di fronte all’interesse nazionale ed al bene comune.
Non è un caso se abbiamo paradossalmente il sistema di tasse tra i più elevati d’Europa, penalizzante soprattutto per i redditi da lavoro, nello stesso tempo l’evasione fiscale più alta ed un ricorso sistematico ai “condoni” ed agli “scudi” per incoraggiare gli evasori di professione
Il debito pubblico, vera spada di Damocle sulla nostra credibilità, è passato dal 60% sul Prodotto interno lordo annuo del 1980 al 120% del 2010 e di quest’anno, un aumento vertiginoso e senza freni, tranne alcuni anni in cui si era riusciti a farlo retrocedere in corrispondenza dell’ingresso faticoso in Europa, grazie ad enormi sacrifici imposti ai cittadini, in cambio di più rigore e più giustizia sociale che poi non s’è mai attuata.
Nello stesso tempo nonostante l’aumento della spesa pubblica, ormai da più di un decennio non c’è una reale crescita dell’economia, l’Italia ha perso posizioni importanti in settori strategici della produzione industriale e soprattutto ha peso competitività nei settori un tempo portanti: meccanica e chimica, agroalimentare e turismo, a favore dei paesi emergenti ma anche di paesi europei.
Da ultimo anche nel settore emergente delle energie, a parte il bluff del nucleare sconfitto dal referendum, il governo è stato capace anche di bloccare una possibile ripresa di ampi settori industriali e dei servizi, ostacolando con scelte contraddittorie le politiche di sostegno alle energie rinnovabili.
Ora la manovra imposta dall’autorità europea e soprattutto dai mercati finanziari che com’è stato detto non credono né a Tremonti tanto meno a Berlusconi, impone tagli supplementari ed è auspicabile che questi non colpiscano i ceti meno abbienti e il reddito da lavoro, ma questa manovra non sarà certo sufficiente per invertire la rotta del declino che da troppo tempo abbiamo imboccato.
Per superare l’impasse e ridare fiducia soprattutto a noi stessi, prima ancora che alle borse mondiali, è necessario un cambiamento di strategie economiche e di priorità sociali; l’Italia deve uscire dalle sabbie mobili degli eterni condizionamenti corporativi che impediscono un rilancio economico basato su più lavoro, maggiore e più equa redistribuzione della ricchezza, lotta all’evasione e alle rendite di posizione.
Ci vorrebbe più attivismo dello Stato nel favorire l’imprenditorialità diffusa, le potenzialità ora umiliate della ricerca, la creatività produttiva e l’innovazione, la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, dello straordinario territorio sottratto alla distruzione della speculazione edilizia ed alle mafie; ci vorrebbe un’altra Italia che crede nell’economia sociale e nell’imprenditorialità sana, che sfrutta con amorevole sagacia le sue bellezze inesauribili, per diventare luogo attraente e organizzato per la cultura ed il turismo internazionale, un Paese che riscopre la capacità delle sue energie migliori e che finalmente riesca a punire chi approfitta, arricchendosi indebitamente con una giustizia più efficiente ed efficace, un Paese dove rispettare le regole ridiventi un valore e non la prerogativa dei fessi.
Un’Italia intelligente, un Paese ritrovato, del resto non fu così dopo la tragedia del fascismo e della guerra? Anche ora occorre decidere di lasciarsi definitivamente alle spalle questo triste periodo di farsesca inettitudine berlusconiana, di finzioni mediatiche, di pomposi e deprimenti palcoscenici di cartone, come abbiamo visto in tante sceneggiature di regime, e riscoprire l’Italia migliore proprio quella che non piace a Brunetta!
Per dirla con Eduardo De Filippo (Gennaro), nella bellissima commedia di alto valore morale “Napoli milionaria”, in cui racconta di una famiglia che, a causa di comportamenti spregiudicati e scorretti di alcuni suoi componenti, è sull’orlo dell’abisso della perdizione e la figlia malata rischia morire, la moglie redenta, lo guarda implorante e con gli occhi gli chiede “come ci risaneremo? Come potremo tornare quelli di una volta? Ce la faremo?” Gennaro intuisce e risponde con il suo tono di pronta saggezza ” s’ha da aspetta Ama’ (Amalia); ha da passà a nuttata”.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà