Andreotti lo definì il “salvatore della lira” e quella volta Sindona (morto per avvelenamento il 20 marzo 1986 nel carcere di Voghera: secondo i giudici si trattò di un suicidio mascherato da omicidio, ndr) aveva visto giusto nel prevedere la crisi mondiale del 1973 e poi fu anche puntuale e generoso finanziatore della DC.
Fu uno dei fondatori del sistema tangentizio, poi denominato “Tangentopoli”; un sistema praticamente blindato, che si consolidò in Italia e che ebbe come protagonisti massoni, faccendieri, militari, prelati, politicanti, ruffiani e, naturalmente Cosa Nostra con tutti quei miliardi del narcotraffico da ripulire e da investire negli appalti, nelle speculazioni finanziarie ove il denaro era diventato esso stesso merce di scambio.
Secondo la testimonianza del “pentito” Gaspare Mutolo:
“A Sindona erano state affidate ingenti somme di denaro da parte dei principali esponenti di Cosa Nostra». (Gianni Barbacetto. introduzione a “Il mistero Sindona” di Nick Tosches. Alet Edizioni).
Pippo Calò, Stefano Bontade, Salvatore Inzerillo, Totò Riina lo avevano nominato loro consulente di fiducia ed anche dei loro alleati negli Stati Uniti. Cosa Nostra fece il grande salto imprenditoriale ed era diventata monopolista del traffico dell’eroina raffinata in Sicilia e venduta in America.
Sindona dimostrò a tutto il mondo la straordinaria abilità di gestire incredibili somme di denaro, anche il Papa Paolo VI si fidò di lui, divenne il padrone della Franklin National Bank di New York, acquistò il Watergate, quel palazzo che segnò la fine politica del suo amico Nixon. Anche in Italia divenne padrone di un pezzo importante del mondo finanziario, poi pensò di puntare tutto sul dollaro, ma il dollaro andò giù e Sindona pure con migliaia di risparmiatori che gli avevano dato fiducia.
Rimase potente, protetto e difeso da mafia, massoneria e politica e Giorgio Ambrosoli, che stava indagando per conto dello Stato sulle gravissime responsabilità fu abbattuto a colpi di pistola.
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“Come mai Filippo Marchese prima di torturare, strangolare e sciogliere nell’acido una vittima invocava la benedizione di Dio, facendosi il segno della croce?[ … ] Ed erano pazzi gli altri sicari, che usavano ringraziare Dio ogni volta che una loro esecuzione era andata in porto?”. (A. Cavadi. Il Dio dei mafiosi. Edizioni San Paolo. Milano. 2009. Pag.218)
Nei “pizzini” di Bernardo “Binno” Provenzano era frequente, costante, quasi ossessivo il richiamo al “Volere di Dio” e la sua tana sembrava una sacrestia.
Pietro Aglieri è il più religioso ed è uno di quelli che decisero di ammazzare Paolo Borsellino:
“il suo rifugio sembra una cappella. Ci sono le panche allineate come in una chiesa, c’è un altarino, c’è una statua della Madonna illuminata dai ceri”. (A. Bolzoni. Parole d’onore. RCS. Milano. 2008. Pag. 78)
Nel vissuto quotidiano del perfetto mafioso la domenica si va alla Messa, non ammazza di venerdì perché di venerdì fu ucciso Gesù, non va a prostitute e non ha amanti, “non si frequentano né taverne e né circoli, “si ci deve portare rispetto alla moglie”. (estratti da un decalogo, riportati integralmente, trovato tra le carte di Salvatore Lo Piccolo).
Per trovare una risposta alla domanda di Augusto Cavadi che ho riportato all’inizio e per capire come è possibile che un mafioso possa essere anche un cattolico osservante ho telefonato al teologo don Franco Barbero che, in sostanza, mi ha ribadito quanto scritto nella sua recensione on line al libro di Cavadi:
Giovanni Battista Montini: Paolo VI (Papa dal 1963 al 1978)
“Non che il fenomeno mafia costituisca una “creatura cattolica”, ma la teologia cattolica contribuisce alla concreta configurazione di questa mafia. Fu addirittura Paolo VI a sostenere l’esistenza di un legame, di una “relazione pericolosa” fra mens mafiosa e mens cattolica, due mentalità associate, intrecciate, coimplicate”. (http://donfrancobarbero.blogspot.com/2009/09/un-libro-scomodo-e-coraggiosoda-leggere.html)
Al telefono mi ha indotto a trovare effettive similitudini tra mafia e chiesa cattolica: organizzazione verticale e rigida, principio di autorità, di ubbidienza, di espiazione, di ossequio alla “verità”, ecc. …
Gli ho detto che lo andrò a trovare, a fine aprile, quando sarò a Torino.
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Come prova incontrovertibile della partecipazione della massoneria al sistema di potere politico – affaristico –mafioso stanno le risultanze processuali sul Centro Studi “Scontrino, con sede a Trapani nella centralissima via Carreca.
«Stavano tutti assieme, mafiosi, politici, imprenditori, nobili, sacerdoti, funzionari comunali, ufficiali dei vigili urbani. Tutti iscritti alla loggia massonica Iside 2 (Francesco Viviano – Repubblica, 11 aprile 1989)
Dalla relazione della Commissione parlamentare sulla mafia:
“Le affiliazioni massoniche offrono all’organizzazione mafiosa uno strumento formidabile per estendere il proprio potere, per ottenere favori e privilegi in ogni campo, sia per la conclusione di grandi affari sia per “l’aggiustamento” di processi, come hanno rilevato numerosi collaboratori di giustizia …”.
Giovanni Grimaudo era il presidente del Centro Studi e coordinava gli “affari” nelle sei logge dai nomi esotici di Iside, Osiride, Iside 2, Ciullo d’Alcamo, Cafiero e Hiram.
“… sulle quali incombeva, con funzioni da immaginare ben più concrete ed impegnative di quelle rituali solitamente attribuite ai “gran maestri” l’autorevole e facoltoso commercialista Pino Mandalari, amministratore personale di Totò Riina”. (G. C. Marino. Storia della mafia. 1998. Roma. Newton Compton. Pag. 255)
Ecco dimostrato il legame tra mafia e massoneria nella persona del Mandalari, fra l’altro, amministratore di numerose altre società che facevano capo ai Vernengo, ai Badalamenti, a Giuseppe Giacomo Gambino, ai Greco, a Diego Madonia e a molti altri boss.
Era assolutamente prevedibile e naturale che Cosa nostra e i suoi sodali siciliani fossero, per così dire, attratti ed inseriti nel circuito nazionale ed internazionale, non solo per gestire ingenti capitali, ma anche per rafforzare i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico cui erano interessati la NATO, la CIA e il Vaticano per bloccare il comunismo e la P2 con la schiera di faccendieri interessati ad assumere il controllo dello Stato.
Elio Camilleri, professore al liceo scientifico Galilei di Catania. Autore di saggi e curatore di libri sulla mafia. Collabora al periodico Ucuntu.