Tra pochi giorni compirò 70 anni ed andrò in pensione non avendo inteso avvalermi delle protesi che i magistrati hanno ottenuto per innalzare la già veneranda età pensionabile.
Alcuni mi reputano fortunato perché pare che sfuggirò ai tagli di stipendio e alla rateazione della liquidazione. I più malevoli sussurrano che ho saputo profittare di informazioni riservate, vista la mia amicizia con Travaglio che, come è noto, sa e prevede tutto.
Non farò in tempo purtroppo ad astenermi dallo sciopero indetto dalle magistrature, che ha senz’altro motivazioni condivisibili, ma è strumento che non è mai stato usato negli ultimi mesi come protesta contro in numerosi lividi inferi alla democrazia da questo governo che spero un giorno verrà riconosciuto responsabile di sfruttamento della Costituzione.
Me ne vado senza melanconie ma con una certa amarezza nel vedere come nel corso di questi anni il processo sia stato trasformato in un videogame pieno di trappole e di insidie che hanno lo scopo di riportarlo al punto di partenza.
E pensare che un tempo, quando l’imputato poteva addirittura essere interrogato senza la presenza del difensore, ho partecipato ad animate battaglie garantiste contro i governi di allora; ma all’epoca si processavano solo poveri cristi. Oggi, che abbiamo anche qualche imputato eccellente, mi si accusa invece di giustizialismo, una accusa che è diventata molto più grave di quella di corruzione.
Abbiamo avuto un presidente del Consiglio che, chiamato a rispondere sul sospetto di origine mafiosa del suo patrimonio, si è avvalso della facoltà di non rispondere, come un Moggi qualsiasi, gettando discredito sulle istituzioni. Una classe politica colpevole non ha reagito come sarebbe dovuto avvenire in un paese civile.
Previti ha potuto dire impunemente che i soldi trasferiti all’estero non erano tangenti ma frutto di evasione fiscale (come se il ricettatore di un’auto si potesse liberare da ogni accusa dicendo che la aveva rubata lui).
Molta parte della opinione pubblica non ha mostrato sdegno. Molti anzi hanno manifestato fastidio verso la intransigenza e la insistenza della magistratura. Si è invocato l’alibi del così fan tutti, inaugurato nel suo famoso discorso (scopertamente estorsivo) da Craxi che non a caso si sta giovando di autorevolissime riabilitazioni.
La mancanza di una informazione plurale, l’allontanamento di voci libere, disposte a cantare fuori dal coro, ha consentito una accettazione, spesso inconsapevole, della illegalità.
Qualcuno ha percepito questo grave pericolo, qualche altro ha pensato pericolosamente di poterci convivere, anche quando costoro ci consigliavano di acconciarci a convivere con la mafia, che in fin dei conti non ne aveva ammazzati tanti: soltanto quelli che la combattevano per davvero.
E oggi assistiamo alla scoperta di sempre nuovi malversatori del pubblico denaro, affaristi del malaffare, a volte contigui alla criminalità mafiosa.
Ma oggi sembra che l’emergenza siano diventati la privacy e l’art. 15 della Costituzione. Inventarsi una emergenza e cavalcarla al di fuori delle regole è proprio di una volontà di sopraffazione, non di una esigenza di civiltà.
Così arriviamo al tentativo di imbavagliare magistratura e stampa perché non si vada oltre, senza che chi rappresenta le istituzioni balzi in piedi sdegnato per tuonare il suo quousque tandem.
Arriverà mai il momento in cui cominceranno a ruotare anche le alte sfere, quando le nostre, pur medio-basse, stanno già girando vorticosamente da tempo?
Oggi si spera molto in Fini e ad una sua alleanza con Casini, Follini e Rutelli, come se questi non avessero votato tutte le leggi incostituzionali di Berlusconi. Ma qualcuno ha capito il percorso di Rutelli dai radicali ai verdi e al cuore di tenebra della DC? Si tratta di mutazione genetica o è sempre stato un embrione di cicoria.
Se i nostri statisti sono questi forse non è un gran male se la nostra sovranità è stata limitata.
Ringrazio gli amici del Fatto Quotidiano e di Domani che negli ultimi tempi, se non mi hanno potuto ridare la speranza, mi hanno almeno evitato travasi di bile accogliendo benevolmente i miei sfoghi.
Norberto Lenzi, magistrato in pensione. Pretore a San Donà di Piave e a Bologna fino all'abolizione delle Preture (1998), è stato giudice unico del Tribunale e consigliere della Corte di Appello di Bologna.