Se anche il quasi statista Gasparri riconosce che il governo deve “ascoltare” la società, in questi giorni di disastro morale ed economico la gente fa sapere di non più sopportare che gli amici degli amici da mandare in Parlamento vengano scelti da Berlusconi e Bossi durante una cena ad Arcore
Gianfranco PASQUINO – Sordo e grigio non è il Parlamento, ma i parlamentari. Referendiamo contro il Porcellum
12-09-2011Le parole rivelatrici le ha pronunciate il quasi statista Maurizio Gasparri quando il governo ha mandato al Senato la quarta, drasticamente mutata, versione della manovra: “il governo ha dimostrato capacità di ascolto della società”. Sappiamo che, mentre il governo “ascoltava” la società, il capo del governo ascoltava e esaudiva le richieste di Tarantini e suggeriva a Lavitola di starsene lontano dall’Italia. Quanto all’opposizione è sempre difficile dire chi e che cosa ascolti. Certamente, non ha ascoltato le richieste di ampia parte della società per l’abolizione di tutte le province, per la riduzione del numero dei parlamentari, per il ridimensionamento delle loro indennità, per la riforma della legge elettorale, per il ricambio (rottamazione?) della sua classe dirigente. Nonostante le trecentocentocinquamila firme raccolte dal Movimento di Beppe Grillo per tre disegni di legge di iniziativa popolare, il Parlamento non dà loro nessun ascolto e a distanza di troppi mesi non li ha neppure presi in considerazione. Eppure sono già centinaia di migliaia i cittadini italiani che hanno firmato per il referendum che mira a cancellare/abrogare dalla vigente legge elettorale, Porcellum, tutte le clausole che sono state innestate sul Mattarellum, producendo così un ritorno alla legge Mattarellum che l’Italia ha utilizzato nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Indubbiamente, pur tutt’altro che perfetto, il Mattarellum è una legge largamente preferibile al Porcellum.
La ragione per la quale la grandissima maggioranza dei parlamentari in carica è quasi certamente contraria ad un ritorno al Mattarellum è che produrrà una sana incertezza nei candidati e nei partiti e maggiore potere e possibilità di scelta per gli elettori. Infatti, nei collegi uninominali che attribuiscono il 75 per cento dei seggi, l’elettore sa che, tranne in quelli dati per sicuri, il suo voto fa la differenza. Il Partito Democratico non appoggia ufficialmente il referendum poiché afferma che un grande (sic) partito non si accoda tantomeno quando ha una sua (faticosa e farraginosa) proposta di legge. Mi pare una motivazione debole. Tale sembra ai molti dirigenti “democratici” che, insieme ad Arturo Parisi, che è fra i promotori, hanno già firmato. Naturalmente, il Popolo della Libertà non ha nessuna intenzione di riformare la sua legge elettorale che gli ha prima permesso di ridimensionare la maggioranza ottenuta dall’Unione nel 2006, poi di vincere alla grande le elezioni del 2008. Tantomeno sono disposti ad accettare una qualsiasi riforma Berlusconi e Bossi che intendono continuare a nominare i loro parlamentari. Berlusconi ha un piccolo problema aggiuntivo dovendo ricompensare con la rielezione Scilipoti e scilipotini ai quali ha promesso qualcosa che rischia di non riuscire a mantenere.
Non è fondata la preoccupazione di chi teme il Parlamento, ovvero quello attualmente in carica, possa permettersi di vanificare l’esito del referendum che, raccolte con successo le firme, dovrà tenersi fra il 15 aprile e il 15 giugno 2012. Proprio perché il referendum configura il ritorno al Mattarellum, la legge elettorale non avrà bisogni di ritocchi e sarà immediatamente applicabile. Con il 75 per cento di parlamentari eletti nei collegi uninominali, per i quali, incidentalmente, ha chiaramente espresso il suo favore anche il Presidente della Repubblica, è plausibile che ciascuno di loro darà maggiore ascolto ai suoi elettori, ancor più se si stabilisse il requisito della residenza nel collegio per ottenere la candidatura. Non è vero che la legge elettorale è una preoccupazione minore. Il modo come vengono eletti i parlamenti ha effetti precisi, positivi e/o negativi, sul modo con il quale i parlamentari si comportano anche affrontando la gravissima crisi economica. Ascoltano di più le richieste e le preferenze dei loro elettori oppure quelle che spesso non sono richieste, ma imposizioni, dei loro politici di riferimento, spesso capi corrente? Se persino Gasparri si rende conto che qualche volta è necessario ascoltare la società, allora davvero bisogna cominciare da dove la società esprime le sue preferenze, vale a dire nei collegi uninominali. Soprattutto, bisogna sconfiggere coloro che pensano alla riforma elettorale come strumento di scambio per costruire le coalizioni politiche.
Bisogna scegliere un sistema elettorale per i suoi meriti intrinseci, in particolare per la sua capacità di dare potere agli elettori. Poi, verrà la costruzione delle alleanze, anche tenendo conto delle preferenze degli elettori. Insomma, un sistema elettorale non è buono e superiore perché consente di trovare un accordo con Casini, ma perché gli elettori potranno decidere se desiderano o no un’alleanza di governo con Casini, con Di Pietro, con Vendola. Tutto il resto è inutile e spesso ridicolo chiacchiericcio.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).