Oramai anche gli economisti più tradizionalisti cominciano ad arrendersi alla sirena di Serge Latouche. È da trent’anni che il noto sociologo ed economista francese grida dai tetti le sue verità scomode: “Siamo su una nave alla deriva, lo sviluppo economico ci sta portando verso la catastrofe universale. Viviamo nei paraggi della sesta estinzione della specie. Dobbiamo al più presto indossare i giubbotti di salvataggio e rompere totalmente con l’idea dello sviluppo, fare l’inversione di marcia, abbandonare la nave prima che sia troppo tardi, diffondere nel mondo l’idea della decrescita e liberarci finalmente della religione dello sviluppo”.
Sono passati vent’anni dalla pubblicazione del libro che l’ha reso famoso in tutto il mondo, Il pianeta dei naufraghi, ma i problemi che Latouche ha sollevato in quella prima dura critica al turbocapitalismo stanno dandogli ragione. Il pianeta sta impazzendo: dal caos dei rifiuti alla contaminazione della terra, dallo scioglimento dei ghiacci alle crisi ecologica, siamo davvero sulla soglia della sesta estinzione della specie?
Nei giorni scorsi Serge Latouche è stato in Trentino Alto Adige per una serie di conferenze (lunedì ha chiuso a Trento la rassegna “Dialoghi internazionali. Se vuoi la pace prepara la pace”) dove ha antipato alcuni temi del suo prossimo libro in uscita a marzo per la casa editrice Bollati Boringhieri dal titolo Uscire dalla società dei consumi. Voci e strade della decrescita.
Serge Latouche, nel suo immaginario catastrofico spesso paragona la società dei consumi alla società dei rifiuti: “Saremo sommersi dai rifiuti”. Quello che sta accadendo a Napoli sembra confermare l’infausta profezia.
Non è un problema solo di Napoli. Certamente lì si sta consumando uno scempio impressionante che solleva responsabilità plurime. Ma il problema dei rifiuti è mondiale. È ovvio. La società della crescita è la società dei rifiuti, che crescono in maniera esponenziale rispetto al consumo. È un incubo. Più un Paese si sviluppa e più genera rifiuti. Dentro il quadro di questo modello il problema è irrisolvibile. L’unica salvezza è di uscire dalla società dei consumi. Napoli è diventata la città simbolo dello scandalo della monnezza. Ma in Francia non siamo messi tanto meglio. In questi giorni si è aperto il processo per l’inquinamento derivato da un inceneritore che ha innalzato i livelli di diossina in una zona del nord. Nel 1998 i servizi veterinari riscontrarono molti casi di contaminazione da diossine nel latte e dunque negli alimenti derivati come i formaggi. Si capì subito che la contaminazione veniva dagli inceneritori. Alcuni inceneritori, nella zona di Lille, furono chiusi. Ci fu un aumento di mortalità per il cancro che impose l’apertura di una inchiesta. Vedremo come andrà a finire.
Gli inceneritori non sono la soluzione al problema?
Semmai l’accentuazione del problema. Per quanto possano essere sofisticati, per quanto si parli di inceneritori di seconda e terza generazione essi non sono totalmente sicuri. C’è sempre un “quasi” che rende comunque inaffidabile l’incenerimento dei rifiuti. I tecnici dicono: “Gli inceneritori di ultima generazione sono sicuri quasi al cento per cento”. Io tutte le volte replico: “Quasi, ciò significa che non sono sicuri”. Per non parlare poi dell’impatto ambientale. Gli inceneritori sono una mostruosità dal punto di vista ecologico.
Nel napoletano si è vista una reazione diffusa della popolazione, soprattutto donne che nel possono più del tanfo e della paura di contaminazioni…
Meno male. Oramai la gente comincia a prendere coscienza che ne va della propria vita, della propria salute. Il cancro è dovuto alla diossina e le responsabilità sulle vite delle persone che muoiono devono venir fuori. Il modello che è stato costruito dai tecnocrati dello sviluppo e del privilegio è un modello mortale. Per non parlare poi dei rifiuti tossici scaricati in Campania dal nord. È terribile.
Ora si riapre anche la questione del nucleare. L’Italia rilancia sulle centrali.
Follia totale. E pensano di risolvere il problema dell’assottigliamento delle risorse petrolifere in questo modo? Abbiamo ancora nella memoria l’apocalisse di Chernobyl o ce ne siamo già dimenticati? Quella è stata una tragedia fortunata perché la centrale non è esplosa. Gli esiti avrebbero potuto essere molto più catastrofici. Vogliamo proprio vivere con il fiato sul collo di una apocalisse nucleare? Molti fisici concordano sulla pericolosità del nucleare, ma molti scienziati sono pronti a tutto per difenderne le ragioni. Anche il vostro oncologo Umberto Veronesi, grande medico ma forse non tropo informato sui rischi reali del nucleare cosiddetto “sicuro”. La sicurezza di cui ha bisogno il pianeta che va gradualmente alla deriva non può ammettere dei “forse”. Noi vogliamo la sicurezza totale.
Stiamo vivendo dentro una crisi economica che ha provocato effetti drammatici in tutto il mondo (disoccupazione, povertà diffusa, fallimenti…). Che senso ha oggi parlare di decrescita felice?
Il problema della crisi non riguarda la decrescita ma la crescita. È la crescita che causa miseria e povertà. È sempre stato così. Solo per una piccola parentesi (1945-1975) si è creduto che l’aver messo le mani sui giacimenti di petrolio potesse aprire al boom economico infinito e al mito della crescita per la crescita. Questa grande promessa si è schiantata al suolo. Il mito dello sviluppo sta uccidendo la terra (inquinamento, deregulation, cambiamenti climatici, sparizione della biodiversità, restringimento della biosfera…). Solo una totale inversione di marcia può frenare la nave umana in rotta verso il suicidio. Ma bisogna fare presto e mettere in atto movimenti politici nuovi, che si oppongano al modello di un occidente al tramonto.
Alcuni paesi dell’America Latina lo stanno facendo.
Sì e questo è il tema del mio prossimo libro in uscita a marzo per Bollati Boringhieri. In Ecuador e in Bolivia è stato inserito nelle Costituzioni il diritto alla Pachamama, alla madre terra. C’è un risveglio politico nel continente amerindio. Speriamo si diffonda anche in occidente.
Francesco Comina (1967), giornalista e scrittore.
Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e
ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a
"L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e
riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato
assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino
Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La
testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il
jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo
Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui
la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis
Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis
Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle
strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine).
Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano.