I dati dimostrano che i più poveri difficilmente possono permettersi di emigrare. Già nel 2009 InterSos (organizzazione umanitaria per l’emergenza) ha diffuso un documento nel quale rilevava che meno del 2% dei migranti giunti in Italia provenivano da paesi di grave povertà, con un reddito pro capite annuo inferiore a 1.500 $. I paesi a maggiore emigrazione sono infatti quelli con un tale reddito intorno o superiore ai 5.000 $ annui. Salvo casi di persecuzioni o guerre, emigra chi può permetterselo, in termini economici, di istruzione, salute, capacità di iniziativa, intraprendenza. I paesi di origine delle comunità più numerose in Italia sono: Romania 968.576, Albania 482.627, Marocco 452.424, Cina 209.934, Ucraina 200.730, Filippine 134.154, Moldova 130.948, India 121.036, Polonia 109.018, Tunisia 106.291, Perù 98.603, Equador 91.625 (Dossier statistico immigrazione, 2011). Pur trattandosi di paesi con difficoltà, non sono certo quelli più poveri.
Questi dati contengono anche un fenomeno poco considerato nel dibattito italiano sull’immigrazione. Quello del brain drain, della perdita dei migliori cervelli che emigrano, con conseguente danno per i propri paesi, ma al tempo stesso della possibilità, in non pochi casi, di trasformalo in brain gain, in opportunità. La nuova edizione del Dossier statistico immigrazione, presentato a Roma il 27 ottobre, propone in merito una riflessione di INTERSOS che può essere cosi’ sintetizzata. Ogni anno decine di migliaia di immigrati qualificati entrano in Italia per poi dedicarsi a mansioni ben lontane dal loro profilo educativo e professionale. Laureati in fisica fanno i portieri, specialisti in materie tecniche sono impiegati come badanti…
Si tratta di competenze che vanno ad alimentare quel fenomeno noto come brain waste, spreco di cervelli, molto diffuso nel nostro paese. Eppure è possibile e utile invertire questa tendenza, specie in periodi come questo, in cui diventa indispensabile concepire nuove forme di cooperazione con i paesi terzi, a vantaggio reciproco. Sarebbe necessario un cambiamento culturale, basato innanzitutto sulla conoscenza della realtà dell’immigrazione, delle sue potenzialità e delle opportunità che può offrire in molti casi la brain circulation, la possibilità cioè di poter valorizzare le competenze dei migranti sia in Italia che nei paesi di origine. Tra le persone che emigrano coloro che hanno ricevuto un’educazione secondaria o universitaria sono in proporzione elevata rispetto alla media della popolazione: 31.4% degli emigrati africani, contro una media nei paesi di origine del 3.6%; 47,2% degli emigrati asiatici, contro il 6%; 21% dei latino americani, contro l’11.8% (F. Docquier e A. Marfouk, 2006). Secondo i dati riportati dallo European Migration Network (2010) il 54,1% degli stranieri è in possesso di diploma o laurea, ma circa i tre quarti (73,4%) svolgono una professione operaia o non qualificata. La conoscenza di questa presenza è in Italia quasi nulla, rafforzando così l’immaginario collettivo da “barconi di disperati” che non trova riscontro nella realtà, se non per quella specifica parte, molto mediatizzata ma anche molto limitata.
La valorizzazione di queste competenze, sia in Italia che nei paesi di provenienza sarebbe oggi la via da seguire, attraverso forme sempre più diffuse di brain circulation, di possibilità cioè di lavorare, con regolare riconoscimento, sia qui da noi che nei propri paesi: ad iniziare dai progetti di cooperazione allo sviluppo e dalle molteplici opportunità imprenditoriali e di scambi commerciali capaci di rafforzare le relazioni bilaterali a reciproco interesse. Alcuni tra Ong, Associazioni, Organizzazioni imprenditoriali, Camere di commercio, Enti di ricerca, Regioni e Enti locali lo stanno capendo. Sarebbe utile che anche il Governo comprenda che la brain circulation può essere, anche se in modo limitato, una straordinaria opportunità per il nostro paese, le sue realtà territoriali e le sue relazioni internazionali.
(L’articolo è ispirato dalla ricerca di Giulio De Blasi, Marco Rotelli e Nino Sergi dell’Ong InterSos e da Carlotta Bianchi, Irpps-Cnr)
Paola Amicucci cura l'ufficio stampa dell'Ong InterSos.