Scampia è un popoloso quartiere situato all’estrema periferia nord di Napoli che conta circa 80.000 abitanti regolarmente censiti, più qualche altro migliaio di irregolari o clandestini.
Scampia è un territorio di frontiera dove la guerra tra legge e illegalità si fa aspra e tremenda. Una frontiera in cui il rappresentante di uno dei due schieramenti però latita pericolosamente.
Non sarei onesta se affermassi che a Scampia lo Stato fa sentire con vigore la sua presenza. Lì dove si sente forte la necessità di vedere, anche fisicamente, l’impegno e il lavoro delle istituzioni nel sopraffare il malaffare e nell’affiancare la popolazione onesta, si avverte invece una grave assenza. Poche o nessuna pattuglia a vigilare per le strade, scarsi controlli da parte delle autorità, insufficienti i luoghi a cui potersi rivolgere in caso di necessità. Ma la cosa più grave è il mancato sostegno a chi invece fa della legalità la sua bandiera proprio in questo luogo.
Secondo una recente indagine dell’università Federico II degli 80.000 abitanti circa un quarto sono legati in qualche maniera alla criminalità ed è di loro che si parla in continuazione, della loro storia si riempiono le pagine della cronaca nera. Ma gli altri 60.000? Perché non si parla altrettanto spesso degli “altri”? Di quei silenziosi eroi urbani che si rifiutano di dichiararsi vinti andandosene e cedendo il posto alla camorra. Di quelli che devono quotidianamente ingaggiare una battaglia per difendere la loro dignità, ma non per questo pensano di arrendersi.
Forse la motivazione si può cercare nel fatto che se si desse l’adeguato spazio ai cittadini onesti che abitano a Scampia, le istituzioni non si potrebbero più sottrarre alle loro responsabilità, come invece sembra accadere oggi. E’ deprimente ammetterlo ma la camorra non fa altro che riempire vuoti lasciati dallo Stato. A Scampia non è in atto una battaglia tra Stato e antiStato e i cittadini che resistono sono Partigiani di una Resistenza che non viene ne incoraggiata ne sostenuta da chi ne dovrebbe avvertire l’obbligo morale, prima che istituzionale.
L’assenza fisica dello Stato, fatta di piccole ma importanti quotidianità, di fatto avvantaggia la minoranza violenta e la rende molto più chiassosa di quello che è in realtà. Quello che colpisce è proprio la sensazione di una mancata volontà da parte dello Stato di contrastare la camorra li dove questo male ha le sue radici.
Eppure tra la gente si avverte la volontà di cambiamento, ci sono i sintomi di una voglia di ritorno ad una vita normale, una vita in cui le istituzioni non possono e non devono fare solo da spettatore. O peggio, solo da giudice.
Qui lo Stato, più che altrove, dovrebbe aiutare, sostenere, invogliare. Ma questo non accade.
Sintomatico di questo stato di cose è la vicenda di Tonino Torre, un ex boss camorrista che ha deciso di rinnegare il suo passato per testimoniare la forza della legalità. Ma in questa battaglia è stato affiancato solo dalla società semplice. Lo Stato è risultato colpevolmente latitante e continua ancora oggi a dimostrarsi insensibile nel sostenere quella che dovrebbe essere mostrata a tutti come una sua vittoria.
Tonino Torre non era uno scugnizzo qualsiasi ma un boss che estendeva il suo dominio su un quartiere di Scampia. Uno di quelli veramente potenti che però, dopo un travagliato percorso personale, ha deciso che la camorra non ne valeva la pena, che il prezzo offerto non era sufficiente per svendere la sua anima.
La carriera criminale di Tonino comincia prestissimo. A 13 anni viene denunciato dal padre, che sperava così di salvarlo, e finisce in riformatorio. Di lì per molti anni la sua vita è un continuo entrare e uscire dalle aule del palazzo di giustizia.
Diventa il genio incontrastato dei furti. Le sue gesta e i suoi continui successi criminali gli fanno guadagnare il rispetto e la venerazione di chi crede che con la camorra si può conquistare tutto. Tutto tranne la serenità.
Tonino ha le carte in regola per far carriera nel mondo della camorra. E’ furbo, scaltro e non ha paura. Solo il cuore lo frega. Contribuisce a creare il più potente sodalizio criminale locale degli anni ’80 ma poi si stacca perché non ne condivide l’utilizzo smodato della ferocia. Continua la sua carriera criminale da indipendente e arriva a realizzare un sacco di soldi, i suoi furti gli fruttano centinaia di milioni al mese. Ha potere, soldi, droga e donne. Ma non si sente soddisfatto.
Poi succede l’imprevisto nel prevedibile.
Viene arrestato e condannato per rapina, ma non era la prima volta che succedeva. L’imprevisto è rappresentato dall’incontro in carcere con un coraggioso prete di Scampia.
Don Aniello Manganiello, parroco del suo quartiere, lo va a trovare e gli regala una Bibbia. E’ l’inizio di un lungo percorso interiore che i due affrontano insieme. Tonino esce da carcere trasformato, Don Aniello aveva soffiato sulla cenere della sua coscienza che si era riaccesa.
La goccia che probabilmente fa traboccare il vaso della sua sopportazione ad un mondo di violenza e sangue è l’omicidio, compiuto da una delle famiglie camorristiche egemoni, di un suo carissimo amico, colpevole di essersi opposto ad una decisione interna.
Tonino Torre sente finalmente la repulsione per quel mondo. Comincia a frequentare assiduamente la parrocchia di Don Aniello e lentamente la fede prende il posto della brama di potere. Si allontana dalla camorra e comincia a testimoniarne lo schifo; presenzia a quanti più incontri con i giovani è possibile per affermare quanto il mondo dell’illegalità sia squallido e che non ne vale davvero la pena, che la camorra in cambio di un finto rispetto si prende la vita.
Non ha mai commesso un omicidio Tonino. Questa è l’unica cosa che ci tiene a precisare in sua difesa quando parla di quando era “nu’strunz”, come dice lui. Non ha mai ceduto alla violenza, di tutto il resto sente sulle spalle la responsabilità e non cerca sconti.
Tonino non è un uomo istruito ma è comunque una persona che ha tanto da insegnare e da raccontare. Ma bisogna volerlo ascoltare. Quando faceva parte de “O’ sistema” la gente lo cercava per quello che lui rappresentava, per il potere che poteva esercitare. Ora quelli che lo cercano troppo spesso lo fanno ancora per tornaconto personale, per farsi raccontare una storia da rendere poi merce di spaccio o per semplice curiosità, senza che passi il messaggio del vero motivo per cui lui ha rinunciato a tutta la sua vita passata. Ma lui vuole che qualcuno lo ascolti.
In pochi hanno voglia di cercare la ricchezza che si nasconde dietro le sue semplici parole. Lo ha fatto Don Aniello, che è stato tra i primi a riuscire a toccargli il cuore; lo fanno i ragazzi di (R)Esistenza Anticamorra che con lui lottano per sconfiggere la mentalità mafiosa senza per questo piegarsi ad abbandonare la propria terra e la propria casa.
Ma chi altri c’è a voler ascoltare? Ed a imparare.
Tonino ha dimostrato coi fatti di essere un uomo. Un uomo che riconosce di aver sbagliato, non nasconde le sue colpe, le ha espiate davanti alla giustizia e ora è deciso a riscattarsi.
Ha rinunciato a tutto quello che aveva e che era, per ricostruirsi una nuova vita. Ma la vita si ricostruisce all’interno di una società e se la società non ti apre le porte tutti i tuoi sforzi rischiano di rimanere a mezz’aria, senza una conclusione. Buoni per la tua coscienza ma che non valgono come esempio per altri che vorrebbero seguirne le orme ma hanno paura. Paura di essere lasciati soli.
Tonino Torre era il super boss del rione Don Guanella di Scampia. Era ricco, potente e temuto da tutti. Ora vive alla giornata, ripara i rottami che trova nell’immondizia e li rivende al mercatino delle pulci. Ma questo non basta a sfamare la sua famiglia. Ha bisogno di trovare un lavoro onesto con cui vivere, un lavoro che gli permetta di rimanere tra la sua gente testimoniando con la sua stessa vita che alla camorra si può dire no.
Abbandonarlo adesso sarebbe come dimostrare che fare questa scelta non conviene.
Lo Stato a volte è sordo, non riesce a cogliere le opportunità di svilire la camorra dimostrando la sua forza. Ma lo Stato siamo anche noi cittadini, non dimentichiamolo.
Tonino vuole lavorare.
Chi vuole aprire le porte della società a questo Uomo che ci ha saputo insegnare che ci si può rialzare anche dopo essere caduti, può scrivere all’indirizzo www.associazioneresistenza.com.
I ragazzi che in futuro conosceranno questa storia e sapranno che uscire dalla merda della mafia si può se solo si paga per le proprie colpe e si è pronti a ricominciare tutto da capo, ve ne saranno grati.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.