La Lettera

Per Terre Sconsacrate, Attori E Buffoni

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Dire, fare, mangiare

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Lettere »

Giusto pubblicare le orribili immagini della morte di Gheddafi: dietro le parole educate dei ministri della guerra i popoli civili devono finalmente sapere, indignarsi, emozionarsi per non ripetere tante piccole Shoah

Tv e giornali insanguinati

24-10-2011

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Il sangue di Gheddafi è arrivato in ogni casa sul piatto della cena “in orario protetto”. L’associazione telespettatori cattolici osserva che “serve un po’di pietà anche per un dittatore”. E l’Avvenire, quotidiano dei vescovi, si associa: “la nostra umanità non può cedere a una vendetta che eguagli la feriocia del persecutore”. Il così detto dovere di cronaca messo in discussione perché la cronaca deve incuriosire ma non documentare col trauma di violenze che è impossibile immaginaere le nostre abitudini casa, scuola, lavoro, insomma noia di gesti ripetuti estranei al dramma dei popoli incivili. I giornali della corte di Arcore paragonano l’orrore della dissacrazione alla ferocia delle intercettazioni passate alla stampa “dai magistra rossi che violentando la privacy della quale ogni cittadino pretende il rispetto”. Adesso, basta. La cautela raggiunge l’on line della grande informazione. Il Corriere della Sera manda in onda 16 minuti del filmato più sconvolgente con l’avvertimento che lampeggia ipocrisia: “Attenzione, le immagini possono urtare la vostra sensibilità”. Povero lettore e spettatore da proteggere affinché non venga turbato dalle realtà pianificata da cancellerie bene educate al rispetto della vita e ai diritti umani. Finché i giornalisti scrivono nessun problema: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Le parole trasmettono impressioni di chi da lontano racconta la testimonianza di una destimoniaza aggrappata ad aggettivi dal moralismo condivisibile. Non condivisibili le immagini del corpo calpestato di un dittatore: “Bisogna ritrovare rispetto e pietà”.

Tornano gli argomenti degli anni di Stalin. Chi osava documentare la disumanità dei gulag finiva sepolto nel silenzio della Siberia. La repressione di Putin allunga la stessa cultura e i giornalisti che provocano documentando tutto finiscono sotto terra. Prima che Bush liberasse l’Iraq da Saddam Hussein le polveri magiche passate da Washington all’alleato fidato nella guerra contro l’Iran di Khomeini, avvelenano villaggi curdi con pretese nazionalistiche “pericolose”. Per documentare il massacro nascosto, reporter coraggiosi tornano con immagini traumatizzanti: strade, case e piazze coperte da cadaveri che sembrano addormenati: morti perché sorpresi nella quotidianità dalla pioggia fatale. Bush padre allargava le braccia contrariato: faremo ricerche. L’orrore della conquista di Falluja, seconda guerra del Golfo, viene nascosto spianando le macerie e oscurando le tv. Ma qualcuno parla. Salam Ismael, 28 anni lavorava all’ospedale di Fallujia: scappa prima che il cerchio Usa stringa la città. Buona famiglia, amici a Londra ma non può resistere ascoltando le voci clandestine che testimoniano un assedio senza speranza. Torna con camion di aiuti: 15 tonnellate di cibo e medicinali per le quattro tendopoli dei profughi sfuggiti alla morte. Raccoglie foto e racconti, ma le guerre obbediscono a regole severe: nessuno può raccontare ciò che ha visto. Immagini sequestrate, permesso sospeso: deve tornare in Inghilterra con tre negative cucite nelle fodere. Le pubblica il “ Socialist Worker “: corpi lebbrosi bruciati dal fosforo. L’abbiamo saputo così. Sigrifido Rannucci di Rai News scavalca con le testimonianze raccolte dopo il bombardamento chimico della città irachena aprendo un interrogativo che è vecchio ma sempre nuovo: come mai le inchieste diventano pezzi indesiderati nella vetrina dell’informazione appena mettono in discussione i bollettini all’acqua di rose degli alleati che bruciano la gente? Oggi Rai News 24 entra in ogni casa, allora no. Nessuno raccoglie l’allarme. Allarme respinto da Israele che bombarda Gaza. Solo “ la passeggiata “ tra le rovine del segretario di stato Onu fa sapere la verità: le nuvole di fosforo ha mangiato la gente anche li. Solo le sue parole: titolo sgradito, si gira pagina: nessuna immagine che possa urtare la sensibilità dei lettori. Proibuito emozionarsi perché la ripugnanza suscita indignazione e la gente può reagire. Chi diffonde notizie “atte a turbare l’ordine pubblico” (legge fascista) finisce in tanti modi. Marinela Garcia Villas, avvocatessa che difendeva i diritti unmani del Salvador al fianco del vescovo Romero, è stata squartata (proprio squartata) per aver lanciato l’allarme- 30 anni fa – sulle strane bombe che divoravano i corpi dei contadini affamati che protestavano contro il regime militare nutrito da Reagan.

Per evitare che la distorsione criminale si ripeta le popolazioni tranquille delle città tranquille devono sapere. Non so se l’indignazione che accompagna nel tempo la Shoa avrebbe attraversato gli anni senza le immagini di ciò che restava di donne e bambini accatastati come legna nei campi di Hitler. Ogni aggettivo è impossibile: ci hanno aiutato a capiore cosa può fare l’uomo; ci hanno aiutato a distinguere le buone parole dalle tragedie che è opportuno nascondere. Certo, la dittatura di Gheddafi ha coperto la Libia di cimiteri clandestini, ma credo che ogni dittatura deve toccare con mano dove porta finire le loro crudeltà. Restano i misteri di chi ha guidato la mano dei fanatici scatenati nella vendetta. La rete di noi alleati ha coperto le loro imprese solo con missili e forniture militari. Ma non solo. Consiglieri dalle strategie sottili agivano sul campo per programmare la morte di Gheddafi: come Saddam Hussein, Bin Laden e forse domani Assad di Damasco i protagonisti terribili devono sparire senza aprire bocca. Troppo pericoloso per gli alleati –nemici che baciano la mano portarli in tribunale. Il silenzio aiuta la democrazia? La non presa di coscienza fa crescere generazioni consapevoli? Noi siamo per pubblicare tutto ciò che può far crescere la convivenza civile senza misteri: dalle immagini che offendono alle intercettazioni che sciolgono le ombre di chi amministra a nostro nome la vita di tutti.

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