È Natale: oh, really. “Dono” è una parola dall’aura mistica, ma si fa solo a chi si ama perché si conosce? “Donazione” è diventato sinonimo di corruzione, gettare soldi al vento? Si può parlare di “aiuto” o urta le orecchie come chi sta trapanando la strada sotto casa?
Musichetta disco nella profumeria chic di Vicenza post-alluvione. Questa signora che mi sfila davanti agli occhi come una greve lumaca mi ricorda dei robusti trasportatori di Santi nelle processioni. Ondeggia solennemente sotto la pelliccia e sopra i tacchi, neri e tozzi. Scruta, insofferente, il make-up di Chanel. Non trova il gloss 212, si gira intorno come un uccellino che cerca briciole in piazza. Si avvicina la commessa, una signorina dall’aria di Cappuccetto Rosso, imbrattata di creme idratanti e profumi Calvin Klein: un marketing vivente. “Non trovo il gloss 212, l’avevo comprato proprio qui”. “Si, signora, il 212 è un gloss Guerlain, guardi. Questo. Con una venatura viola, vede?”. La signora accetta l’indicazione con un sibilio. Il tester del profumo “Envy” di Gucci è una sfinge che ipnotizza. Lei se ne spruzza un po’ sul polso, Sperando che qualcuno, come per magia, la invidi.
Nulla è quello che sembra qui. Cappuccetto Rosso non ha bisogno di fard; la sua giovinezza risplende al di sopra di ogni foto di Monica Bellucci quarantenne photoshoppata versione ventenne. Ma ha un contratto co.co.co. il che la rende tesa, iperattiva, un concentrato di caffeina di angoscia e glassa di speranza. Le antenne dritte appena entra una vecchietta – perché le adolescenti intascano magari un mascara o una matita. Ma le vecchiette fanno sparire profumi di lusso. I Boss, i Jean-Paul Gaultier, gli Armani. Qualsiasi peccato commesso da clienti cleptomani la immolerà sull’altare del licenziamento.
La signora impellicciata si sdraia su morbidi cuscini di introiti vitalizi, sopporta il marito in quanto utile, il tempo libero anzi evaso da ogni contatto con chi vive una vita diversa dalla sua. La immagino in prima linea a Messa e sotto la Bandiera, mezzobusto soprano nelle foto in cornici d’argento ululando orgogliosa “è pronto in tavola” . Anche se risulta dai sottotitoli che abbia cucinato qualcuno ci sfuggente chiamato “Lafilippina”. Il Natale la fa sentire piú vicina alla sua tribù di affetti ed interessi, ciascuno deve avere un regalo per confermare il senso della comunità familiare-religiosa. E’ tempo di racchiudersi nel letargo neuronale della grotta, fuori dalla quale impazza il freddo, l’imperscrutrabile e il Diverso. L’estetica onirica, fatata e infantilizzante del Natale si spalma sulla città. Campanellii, risate, auguribuonefestegraziealei svolazzano da un vicolo all’altro. In queste giorni di innocenza pare possibile immaginare.
Eccola, si avvicina nella zona pacchetti, dove le volontarie di una Ong riempiono di fiocchi e nastri i doni, a cambio di una donazione per progetti ad Haitì: scuole, ospedali, censimenti bambini dispersi, invii di amuchina per disinfettare l’acqua. Senza respiro, subito dopo l’ecatombe terremoto. Un 2010 apocalittico. “L’Acqua di Giò è un dono classico”, sento un commento dal tono incontrovertibile, in mezzo ai labirinti cosmetici. Anche l’Acqua Potabile è un classico della povertà. Specialmente in paesi dove il modello di crescita globale ingiusta e il cambio climatico hanno esternalizzato i propri costi.
Ad Haitì, ancora prima del terremoto era difficile lavorare, a causa dell’enorme proporzione della popolazione priva di accesso all’acqua potabile. Ora, la batteria che causa il colera è presente nei fiumi e nei sistemi di rifornimento d’acqua. Ecco perché è in atto uno sforzo enorme per fare arrivare acqua potabile e viveri alla gente. Secondo la Organizzazione Panamericana della Salute (Ops), l’epidemia del colera è iniziata nella terza settimana di ottobre. Da allora, secondo cifre del Ministero della Salute haitiano, ha causato oltre novemila casi e millesettecento morti.
Il subirettore della Ops, Jon Andrus, riferisce a Bbc World che stanno studiando una strategia di pianificazione sulla base di esperienze passate di epidemia di colera, come quella che, iniziata in Perù nel 1991, si estese a 16 paesi, dall’Argentina al Canada. Si riportarono 650 mila casi e fu controllata in quattro anni. Il terremoto haitiano ha provocato un milione di sfollati che ora popolano la Port-au-Prince degli accampamenti. Del tutto vulnerabili ai prossimi uragani e alle prossime alluvioni. Ecco quindi che le condizioni sanitarie in Haitì si confermano peggiori di quelle del Perù nel 1991. Le previsioni degli epidemiologi riferiscono di 200’000 casi, 20% dei quali gravi, nel prossimo anno. Queste persone avranno bisogno di trattamenti intensivi di reidratazione e antibiotici. Occorrono fondi, scorte di medicine e soprattutto logistica operativa.
La signora impellicciata consegna un box di Yves Saint-Laurent e due di Versace alle impacchettatrici. In pratica, l’equivalente di uno stipendio co.co.co mensile di Cappuccetto Rosso. Aspetta con pazienza che le due ricoprano amorevolmente di carta lucente il pensiero per i suoi cari. Gli occhi vagano al di sopra della foto dei due bambini haitiani che tengono una palla arancione in mano, a tratti condividendola, a tratti strattonandosela. Loro non guardano l’obiettivo, sorridono all’orizzonte. Non è rimasto nulla attorno, ogni cosa si è sgretolata. Resta la palla arancione. Gonfia di gioia inerte e senza padroni, come l’alba.
Anche la signora finge di non vedere la scatola di raccolta fondi “minimo un euro”, per costruire una scuola ad Haitì. Le volontarie, dolcemente, glielo ricordano: vuole contribuire, signora? Lei ammicca, come rispondendo a chi, con tante buone intenzioni, cerca di suggerirti un nuovo nome di Dio. E ti viene da dirgli educatamente- no, grazie, mi tengo il mio. “Ah, un euro?!”, si scandalizza con ironia la signora. “Questa l’ho già sentita”, sussurra. Le volontarie non riescono a credere che la Mamma Natale non abbia una moneta che rimbalzi nella sua pochette. Ma è così.
La signora impellicciata è la personificazione del proverbio fatto in casa “se non puoi essere un buon esempio, sii uno spaventoso avvertimento”. Finito il tempo di posa del sorriso, scandisce un “grazie” che vorrebbe consolare utopie solidarie un po’ retrò. Con quell’aria da sufficienza circa riflessioni postume su crolli di Berlini vari: tanto è già passato, tanto non è mai successo. Dopo che la adiposa lumaca è uscita, subentra una signora dai grandi occhiali che guarda attentamente le volontarie, la carta pacchetti, il depliant del progetto. Proclama “io sono pensionata, ma alle cose utili ci credo e voglio partecipare!”, e mette 5 euro nella cassetta per la raccolta fondi.
“Ai miei tempi eravamo orgogliosi di costruire, e anche se non sapevamo tanto di internet il cuore ci funzionava di più”. Racconta che alla fine della seconda guerra mondiale, suo padre la portò a Campo Marzio a Vicenza, perché doveva “mostrarle qualcosa”. Erano i prigionieri nazisti, e lui le indicò come guardare quella scena. “Guardali: non hanno più alcun potere. né armi, né autorità, né uniformi, né esercito. Sono nudi. Sono persone come noi, adesso. Capito? C’è chi perde il potere-ed è ciclico. C’è chi perde il Dominio,-e per fortuna perché nessuno dovrebbe averlo. Ma oggi c’è Haitì davanti ai nostri occhi. E chi perde anche quel poco per sopravvivere: casa, soldi, famiglia- merita fratellanza”.
Esce dal negozio a testa alta. Due clienti in fila per i pacchetti aggiungono monete specificando sorridenti che vengono dallo Sri Lanka e che conoscono tutti gli uffici di Western Union della città: ogni mese mandano soldi a casa sia ai propri cari che –a chi per sentito dire ha bisogno di una mano. Semplicemente, perché di questi tempi (o forse nemmeno prima) non si sopravvive senza una Rete di solidarietà. Lo sa Cappuccetto Rosso, avvinghiata al contratto co.co.co. dopo aver mitragliato di curriculum ogni ufficio di collocamento per il biennio propedeutico dei precari: solo lo Stato Sociale dei genitori le ha permesso di galleggiare. Lo sa la signora degli occhiali, che ai tempi dei tornado nazisti barattava cibo (un uovo per due patate) e qualche ninnananna nuova con donne che desideravano comunque diventare mamme, un giorno.
Si fa sera. All’unisono le vetrine chiudono gli occhi e palpitano solo le luci cinesi degli alberi di Natale, luccicando d’Occidente. Nella profumeria, i bambini haitiani e le modelle alle quali sono stati ispirati i nomi dei profumi “Attimo” e “Trésor”, escono dalle foto. Musica di velluto per il loro ballo della mattonella.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).