La Sardegna non evoca ancora, nel sentire comune, i grandi commerci di droga e le organizzazioni di stampo mafioso. Eppure, come si evince dai fatti, sempre più va esponendosi agli affari della cocaina e della cannabis che, a partire dalle rotte africane, interessano il Mediterraneo. Dispone peraltro di 1.897 chilometri di costa, più di qualsiasi altra regione dei paese, mentre può beneficiare, meglio che in passato, della propria posizione mediana, si direbbe di interfaccia, comunque pluridirezionale, nell’ambito dell’occidente euro-africano. Non è un caso che proprio da essa passerà il gasdotto d’importazione Galsi, che, snodandosi dall’Algeria alla Toscana per circa 900 chilometri, rifornirà di metano l’Italia e forse altri paesi dell’Europa occidentale. Posta al centro della rotta che congiunge la Spagna e la penisola italiana, nell’ultimo decennio l’isola è stata utilizzata come base logistica dai narcotrafficanti campani e calabresi. E lo è ancora oggi, mentre si mostra in grado, meglio che in passato, di intercettare i commerci illeciti e le tratte dal Maghreb. Il perimetro costiero garantisce del resto una discreta permeabilità, fatte salve alcune aree, soprattutto a nord, che per forza di cose si mostrano superprotette, come la Maddalena, per via delle servitù militari, e la Costa Smeralda, in cui spiccano, fra l’altro, le residenze di numerosi esponenti della vita pubblica e dell’economia. In sostanza, anche dalla prospettiva di questa Regione, le cose vanno evolvendo. Non si tratta tuttavia solo di presenze esterne e di aggiustamenti della logistica. Vanno maturando bensì le condizioni per coinvolgimenti diretti e ponderati, pure di tipo organizzativo.
Negli ambiti del narcotraffico, la Sardegna manca di un passato di rilievo. Reca nondimeno una ragguardevole storia criminale, che si è espressa maggiormente, lungo tutto il Novecento, ma già da prima, nell’industria dei sequestri di persona. A incarnare tale storia sono stati in primo luogo i banditi della Barbagia, non di rado celebrati, cinti da un’aura romantica, protetti dalle popolazioni dei luoghi, che, condividendone i codici, hanno voluto ravvisare in essi, che pure non hanno disdegnato l’omicidio, dei giustizieri. È il caso di Graziano Mesina, come quello, non privo di tinte ideologiche, di Matteo Boe, autore nel 1992 del sequestro di Farouk Kassam. Il dato che emerge da tale trama di delitti è, in ogni caso, quello di compagini efficienti, in grado di incettare esperienza, di trasmettere saperi «specializzati», di dominare le contrade barbaricine: un po’ come i clan familiari del Reggino, che hanno fatto la legge dell’Aspromonte. Le analogie con la ‘ndrangheta, per il momento, si fermano però qui. Se in Calabria, i sequestri di persona, che hanno garantito importanti iter di capitalizzazione lungo tutto il Novecento, soprattutto nel secondo, sono stati rimpiazzati sin dagli anni ottanta dal business delle droghe, in Sardegna, ancora dopo il Duemila, non sono apparse riconversioni di sostanza. A darne conto sono le persistenze degli ultimi tempi: dal rapimento di Giovanni Battista Pinna nel settembre 2007 a quello di Dina Dore del marzo 2008. Qualcosa di inedito, non più riconducibile a tale tradizione, né assimilabile alle culture della separatezza e del rifiuto, comunque sta avvenendo.
Se nelle cosche siciliane, come nelle sponde continentali e nordamericane, è stato tempo di prove e di mutamenti, in Sardegna si sono manifestate delle anomalie, espressione anch’esse di un humus. Nel corso del 2008 i sequestri di narcotici effettuati nell’isola erano stati addirittura in ribasso rispetto all’anno precedente: con 21 chilogrammi di cocaina e 319 di hashish. Nel 2009, diversamente, si è registrato un vero e proprio exploit, di cui danno la misura alcuni passaggi. Il 17 maggio agenti della questura di Cagliari hanno sequestrato una partita di 12 chili di cocaina a bordo di un TIR guidato da un ex agente della Finanza. Come veniva riconosciuto in sede di conferenza stampa, si trattava della quantità più rilevante mai intercettata in Sardegna. Il record è durato tuttavia poco perché il 10 giugno motovedette della GdF hanno sequestrato al largo di Alghero, su un barcone a vela proveniente dalla Spagna, un carico di quasi 300 chili di cocaina, destinato verosimilmente all’intero mercato nazionale. Altri sequestri importanti si sono succeduti beninteso nell’arco dei dodici mesi, con l’esito di decuplicare, in totale, il dato dell’anno precedente. Nell’isola, evidentemente, il mercato dei narcotici, tanto più quello della cocaina, è entrato in espansione, a dispetto della crisi, come del resto in quasi tutte le regioni italiane. Non si tratta però solo di questo.
Oltre che nella logistica, progressi vanno registrandosi sul piano organizzativo. E ancora le cronache, per quanto possibile, ne rivelano le misure. Come argomentato, nell’ultimo ventennio non sono mancate intese e prese di contatto fra bande sarde, pure autonome dall’anonima sequestri, e narcotrafficanti della penisola, in particolare calabresi. A titolo esemplificativo, si può citare la scoperta nel 2005 di una organizzazione coordinata da Antonio Strangio, elemento chiave del clan Nirta di San Luca, sotto l’egida quindi della ‘ndrangheta, che da anni aveva messo su un florido business di droghe fra la Sardegna, Calabria e Lombardia. I dati più recenti danno conto tuttavia di rapporti non più episodici, né segnati, come in passato, da una sudditanza ineluttabile dei sardi nei riguardi delle compagini peninsulari, sebbene non si possa trattare ancora, nella maggioranza dei casi, di relazioni paritetiche. Nel luglio 2009, per dire di un caso, è stato intercettato un clan di narcotrafficanti sardo-napoletani, di cui era capo un cagliaritano di origine campana, Antonio De Crescenzo, in contatto con gli scissionisti del clan Di Lauro, oltre che con siciliani e gruppi albanesi in Lombardia. Alcuni fatti testimoniano altresì che vanno affiorando nelle organizzazioni sarde tentazioni egemoniche, per quanto contenute. Nel dicembre 2009 è stato scoperto, per esempio, un traffico di cocaina fra Sardegna e Lombardia, i cui coordinatori, i cagliaritani Giancarlo, Bruno e Alessandro Orrù, a detta dei magistrati inquirenti, non esitavano a mettere in scacco, per inadempienze, i contraenti peninsulari. Inchieste condotte fra il 2006 e il 2009 rivelano d’altronde che i clan sardi vanno relazionandosi pure in maniera diretta con il narcotraffico internazionale, con acquisti in Turchia, in Colombia, in Nigeria, in Marocco, mentre interloquiscono, nelle regioni tirreniche, con i rappresentanti della Organizatsya russa e delle Triadi cinesi.
Emblema di tale evoluzione rimane la figura di Giuseppe Utzeri, re del narcotraffico sardo e referente delle cosche di Palmi in sedi internazionali, arrestato a Marbella, in Spagna, nel marzo 2009. In definitiva, sulle ali dei guadagni da droghe il crimine organizzato dell’isola, attivo pure nelle regioni peninsulari più prossime, va modernizzandosi, con la convinzione unanime di poter competere, di possedere le doti necessarie per sostenere la sfida. Riesce a insinuarsi quindi nelle economie, nei gangli vitali delle città, con effetti inediti sul terreno sociale. A darne conto sono gli atti intimidatori di cui sempre più sono vittima amministratori locali, imprenditori, operatori dell’informazione. Ma pure magistrati: un po’ come in Sicilia, in Calabria, in Campania. Basti dire che il capo della procura di Lanusei in Ogliastra, il calabrese Domenico Fiordalisi, promotore di inchieste minuziose sul narcotraffico isolano, soprattutto nuove sotto il profilo metodologico, è costretto a vivere in un carcere, lontano dai familiari, sottoposto a misure di protezione al massimo livello. E non è il solo.
Carlo Ruta si occupa di ricerca storiografica e di informazione. Dalla metà degli anni ottanta fino alla metà degli anni novanta è stato direttore di una rivista bibliografica e scriveva sul settimanale “Avvenimenti”. Attualmente scrive su "Il Manifesto", "Narcomafie", "Left Avvenimenti- L’Isola possibile", "Libera Informazione". Ha curato il sito web accadeinsicilia.net e il blog leinchieste.com. Con la casa editrice Rubbettino ha pubblicato "Gulag Sicilia" (1993), "Appunti di fine regime" (1994) e "Il binomio Giuliano-Scelba. Un mistero della Repubblica?" (1995). Con la casa editrice La Zisa ha pubblicato "Cono d’ombra" (1997) e "Politica e mafia negli Iblei" (1999). Con Mimesis ha pubblicato "Guerre solo ingiuste. La legittimazione delle guerre e l’America dal Vietnam all’Afghanistan" (2010). È socio onorario di Libera e di altre realtà associative.