Sabato ero a Roma, a protestare ancora una volta come da quarant’anni, più o meno sempre “dalla parte del torto”. Dopo aver visto tante manifestazioni andate bene e altre finite male, cominciando dalle “belle speranze” del movimento studentesco, all’angoscia dei primi atti di terrorismo dei “compagni che sbagliano” per gli omicidi di Guido Rossa e di Aldo Moro, Alessandrini, Ruffilli e Occorsio, alla coppia infernale Mambro e Fioravanti, osservo amaramente che la storia recente del nostro disperante Paese è costantemente attraversata dalla violenza politica, solo da circa dieci anni è andata in parte ridimensionandosi; gli ultimi omicidi eccellenti dei poveri professori D’Antona e Biagi, furono commessi da un gruppo terrorista tanto folle quanto, apparentemente almeno, isolato.
Ci sono stati comunque assassinii e ferimenti ad opera soprattutto di neonazisti, perpetrati contro persone qualsiasi, magari solo colpevoli di pensarla e di vestirsi diversamente. La violenza politica ha preso le sembianze non meno odiose dell’assalto ai poliziotti, dell’irruzione nelle manifestazioni, della devastazione il cui senso da parte di chi le compie è il rifiuto totale di ogni possibile confronto.
E come sottofondo quella necessità pilatesca di una parte del cosiddetto movimento di “distinguere”, “né con lo Stato né con le BR”, frase tanto cara a chi ha sempre sentito il bisogno di trovare giustificazioni a comportamenti assurdi, solo perché motivati da ragioni condivisibili, senza mai valutarne la gravità e soprattutto le conseguenze.
Sabato a Roma, nel formarsi del corteo, si respirava fin da subito la tensione di una possibile degenerazione, l’elemento più evidente era lo stridente contrasto tra la policroma e multiforme congerie di gruppi, cartelli, associazioni, movimenti, sindacati, famiglie, solitari cosiddetti cani sciolti, età, culture, attese, speranze e illusioni diverse, accomunate da un’incredibile voglia di essere protagonisti del loro tempo, rubato dalla precarietà della vita ai tempi di Berlusconi, e in mezzo a noi, con altro stile, altre divise e altri stati d’animo, numerosi gruppi e gruppetti che avevano pessime intenzioni.
Come il 14 febbraio in quell’altra straordinaria manifestazione che fu “se non ora quando”, fortunatamente senza misfatti, la sorpresa di ritrovarsi in tantissimi, quante e quanti mai avresti pensato, una folla enorme, non ha fatto riflettere nessuno veramente che il pericolo era imminente e reale, che quelle ombre sguscianti di fianco al corteo, sotto i marciapiedi, quei ragazzi cupi e anonimi, con i volti e i corpi tesi e il casco stretto nel pugno, correvano verso un’altra vicenda del tutto diversa dalla nostra.
Eppure i segnali c’erano stati anche nelle settimane precedenti; all’interno del movimento chi si occupava di organizzare la manifestazione era preoccupato per le zone grigie, per alcuni gruppi i cui comportamenti non erano chiari o addirittura palesemente ostili a una manifestazione pacifica. Forse dalla preoccupazione, bisognava passare alla precauzione e dire pubblicamente che sussisteva il rischio di gravi incidenti, chiamando a responsabilità le forze dell’ordine e in primo luogo il ministero degli interni.
Forse questa lucidità è mancata perché le anime del movimento sono tante e troppo variegate, ancora sussistono “timori reverenziali” verso quella parte che in nome delle giuste ragioni, sostiene o pratica direttamente la violenza fisica come metodo di lotta. Le azioni di guerriglia attuate a Roma, le modalità di gestione logistica e organizzativa e la determinazione dei gruppi che hanno operato, non avevano niente di spontaneo e sottendevano capacità paramilitari non certo improvvisate, basterebbero queste poche banali osservazioni, suffragate da tante testimonianze, per capire che c’è stata una regia politica ben precisa e certamente non ostile al potere costituito che temeva fortemente il successo della manifestazione, già nelle aspettative molto imponente.
Anche la sinistra cosiddetta moderata, in primo luogo il PD e i suoi alleati, avrebbe dovuto misurarsi con minor distacco, e non solo in quest’occasione, col fatto che c’è una società in ebollizione che la lotta contro il Governo e per il cambiamento, che non può essere rappresentata solo da movimenti spontanei e che è compito delle forze democratiche sostenere queste lotte, non dico indirizzarle perché non vedo le condizioni ma almeno non essere così distrattamente disinteressati.
Bisogna seriamente riflettere sulle cause essenziali per cui la democrazia in Italia è diventato un bene così fragile e costoso, non è un caso se il satrapo Presidente del Consiglio, che passa il tempo a combattere i giudici che vorrebbero scoprire i suoi sporchi giochi, non trova un’opposizione sociale in grado di sbatterlo giù dallo scranno, dov’è abbarbicato ed anche i movimenti più autentici e forti sono vittime delle scorribande organizzate di gruppi di scriteriati che non sono fermati se non a cose fatte: “cui prodest” è ancora una frase con un senso politico?
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà