Vite schiantate
04-09-2009
di
Monica Lanfranco
Alla fine di questa estate si faranno i conti, e si vedrà, per pura statistica, se le cifre del rapporto dell’Eures del 2007, secondo il quale il numero di omicidi maturati all’interno della famiglia e dei “rapporti di prossimità” (parenti, amici, vicini) hanno superato quello degli omicidi legati alla malavita e alla criminalità organizzata è valido anche per il 2009. Due anni fa in famiglia erano morte ammazzate 174 persone, in maggioranza donne e minori uccisi dai padri, mariti, conviventi (pari al 29,5 per cento del totale, superando in misura rilevante le vittime della criminalità comune e mafiosa all’esterno della casa). I numeri, però, sono solo numeri, mentre le storie, le immagini, i racconti del dolore e della violenza sono altro: sono la realtà incarnata in vite distrutte, spezzate dalla solitudine, schiacciate dal peso di valori sociali e pregiudizi che scavano la roccia fino a creare voragini che inghiottono le persone, e le rendono anche assassine. A Genova qualche giorno fa una donna di 35 anni ha ucciso il suo bambino di 19 giorni e poi si è impiccata: era sola, con alle spalle una storia familiare di lutti e di abbandoni. La depressione post partum, il killer silenzioso in agguato in una società come la nostra dove la maternità reale non è, nè per la collettività né per le istituzioni, quella facile e solare delle pubblicità dei pannolini senza antipatiche fuoriuscite, ha fatto un’altra tacca nel suo carnè di sangue. L’altro ieri a Reggio Emilia un operaio disoccupato ha ucciso a coltellate e colpi di martello moglie e figlio di 19 anni, ridotto in fin di vita l’altro figlio di 4 anni e l’anziana padrona di casa. Poi ha tentato il suicidio. Dopo due anni di cassa integrazione, da maggio non riscuoteva più sussidi; il Centro di salute mentale che lo seguiva da tempo sostiene che l’uomo non avesse mai mostrato segni di squilibrio. Ma c’è, spesso insidiosamente latente e poco visibile, un altro silenzioso assassino annidato in chi, quasi sempre maschio e padre di famiglia, compie gesti mortali dentro la sua casa, con una disperata furia annientatrice: il senso di possesso della propria compagna e dei figli e figlie, l’eredità assassina del patriarcato. Nella raggelante follia omicida che annienta gli affetti e arma la mano di un uomo contro chi gli è più caro c’è anche l’ancestrale, terribile radice che gli permette di concepire questo gesto, iscritto nella genealogia del padre/padrone: ‘se io non ce la faccio nulla mi deve sopravvivere, perché la mia famiglia è mia’. Carlo Marx scrisse che c’era qualcuno ancora più oppresso e schiavo del proletario nel sistema del capitalismo: sua moglie, spesso resa schiava anche da lui, oltre che dal struttura economica. Non ci sono smentite all’orizzonte, purtroppo.
Monica Lanfranco è giornalista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto. Ha fondato il trimestrale di cultura di genere MAREA. Ha collaborato con Radio Rai International, con il settimanale Carta, il quotidiano Liberazione, con Arcoiris Tv. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici). Insegna Teoria e Tecnica dei nuovi media a Parma.
Il suo primo libro è stato nel 1990 "Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi". Nel 2003 ha scritto assieme a Maria G. Di Rienzo "Donne disarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi" e nel 2005 è uscito il volume "Senza Velo - donne nell’Islam contro l’integralismo". Nel 2007 ha prodotto e curato il film sulla vita e l’esperienza politica della senatrice Lidia Menapace dal titolo "Ci dichiariamo nipoti politici". Nel 2009 è uscito "Letteralmente femminista – perché è ancora necessario il movimento delle donne" (Edizioni Punto Rosso).