Ancora più dopo la divulgazione tramite Al Jazeera dei documenti sui rapporti tra Israele e Palestina, si possono avanzare altre considerazioni sul caso Wikileaks. È infatti possibile che dalla vicenda del sito che divulga i segreti dei potenti nasca il bisogno di togliere anche dalla politica (in primis quella italiana, non scevra dalle rivelazioni dei temuto Julian Assange) tutti quei rituali e quei paraventi retorici e parolai che ci impediscono di capire di che cosa si parla, con una voluta e scientifica confusione e contraddittorietà dei provvedimenti e delle leggi, che lasciano enormi spazi per l’impunità dei corrotti e delle cricche affariste.
Venendo dunque al caso italiano, dopo 60 anni di Repubblica democratica, con la “migliore Costituzione del mondo”, ci ritroviamo ad essere governati dal più grande capitalista italiano, corrotto, arrivato al potere grazie alla P2 e al monopolio Tv regalatogli dal “socialista” Craxi, che straparla di libertà, dopo averci tolto anche quella di decidere chi eleggere con il voto di preferenza (e qui c’è da osservare che la Costituzione andrebbe integrata con il divieto di costituire monopoli mediatici e la ineleggibilità di chi li possiede).
E al nord vi è un partito separatista e razzista che aspira solo alla secessione del paese. Con questi risultati di 60 anni di democrazia, forse è ora di finirla con le diplomazie e i minuetti e cercare di cominciare a chiamare le cose con il loro nome, senza fronzoli, come si fa nei documenti del Dipartimento di Stato Usa pubblicati da Wikileaks.
Potremmo cominciare con il dire che l’attuale situazione è stata determinata fondamentalmente dalla mancanza (da almeno 20 anni) di una opposizione di sinistra, con un suo programma alternativo e riconoscibile, che rappresenti gli interessi di lavoratori dipendenti, disoccupati precari, pensionati, agricoltori, che poi sono la maggioranza del popolo italiano. Il PD si dichiara abusivamente di sinistra, mentre è un partito di centro, subalterno al capitalismo, ossequioso verso la Chiesa, filoamericano in politica estera, che non mette in discussione guerre e Nato, con una nomenklatura di politici di professione, spaccati anche al loro interno, senza più legami con le masse lavoratrici, che sopravvive grazie alla visibilità ottenuta con la spartizione della RAI e grazie al finanziamento pubblico dei partiti.
Per una operazione di trasparenza e per chiamare le cose col proprio nome, anche per rispetto ad una sinistra italiana che si guadagnò con la resistenza e la lotta di classe la sua forza e credibilità, dovrebbe essere vietato sostenere che oggi esiste un centro sinistra che si contrappone al centro destra. Non vi è traccia di sinistra nel PD, è un partito di centro estremo, come non vi è traccia di centro nella destra, dove il PDL è il cassonetto delle immondizia di tutti i papponi della prima Repubblica.
L’unico spazio politico, molto vasto che vi è oggi, è per un movimento che rappresenti i bisogni delle classi subalterne, ma in una nuova cornice che metta ambiente, sostenibilità, uscita dalla globalizzazione e dalle alleanze militari, autonomia alimentare ed energetica (con le rinnovabili), come svolta necessaria per uscire dalla gravissima crisi in cui siamo e resteremo a lungo. La crisi che stiamo vivendo non è ciclica e non ci sarà la ripresa che tutti aspettano, anzi il nostro Silvio diceva già due anni fa che avevamo la crisi alle spalle.
La crisi è strutturale poiché molte fabbriche in Italia chiudono perché non possono competere con i prezzi del mercato globale, e migliaia di imprenditori sono andati all’estero con conseguente ulteriore disoccupazione e declino. Non solo, ma bisogna sommare a questa brutta situazione anche la speculazione finanziaria di coloro che hanno acquistato i titoli del nostro enorme debito pubblico e minacciano di non rinnovarli per spuntare interessi maggiori, siano essi banche o Stati.
Non siamo più indipendenti come nazione. La camicia di forza dell’euro non ci consente manovre tipo la svalutazione. Nel complesso l’unità europea si è rivelata un fallimento: non c’è integrazione economica, non c’è autonomia dalla Nato e dagli Usa, non vi integrazione politica, subiamo una immigrazione, soprattutto dall’est europeo, totalmente sproporzionata rispetto alla decrescita economica che ci attraversa.
Se vediamo le cose in questa luce, ci appaiono veramente ridicole e inadeguate le vicende politiche di casa nostra dove la cosiddetta opposizione assomiglia alla vecchia DC che vuole tenere insieme l’esistente e invita tutti al centro. C’è bisogno di ben altro per avere un futuro e sarebbe ora di cominciare a parlarne.
Paolo De Gregorio, nato a Roma, ha lasciato l'attività professionale e la grande città: oggi abita in Sardegna, dove ha realizzato un orto biologico. Partecipa alla vita politica e sociale pubblicando on line riflessioni e proposte.