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Prepotenza e disprezzo per le donne: ecco cosa animava i due sanbabilini milanesi che un giorno del 1976 all’Idroscalo uccisero la loro amica Olga Julia Calzoni

Bullismo Settanta: una storia di sconclusionata violenza

18-08-2011

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Premessa

 

Viene ricordato come un delitto machista, consumato nelle più anonime retrovie della destra sanbabilina degli Anni Settanta. È il girone dei menefreghisti, popolato da quelli che non spiccano nella lotta politica in piena esplosione per le vie del centro di Milano, e i protagonisti di questa vicenda se ne fregano discretamente di quel che accade. E, quasi ne fosse una conseguenza, la fine di Olga Julia Calzoni, uccisa a sedici anni da due amici che volevano simulare un sequestro a scopo di estersione, è un crimine nei fatti senza movente, perpetrato per dimostrare forza, superiorità, messa in scacco di chiunque sia più debole. Come del resto accade ancora oggi quando, senza arrivare all’estremo dell’omicidio, il bullismo torna d’attualità sui giornali senza essere mai scomparso dai corridoi delle scuole o dai rapporti di forza che si instaurano nelle compagnie di giovani che si muovono in gruppo. Occultato, semmai, dai silenzi di chi ha paura, dalla prepotenza di chi impone la sua legge e dalla complicità di chi guarda da un’altra parte. E tornato a far parlare di sé solo perché casualmente finito sotto l’occhio di tutti.

 

Il movente per la morte della ragazza milanese, si diceva, non è dunque il denaro che tutto sommato gira. Né una vendetta nata da una passione tradita. È solo una spranga che si abbatte sulla testa di un’adolescente. È una rivoltella che fa sentire grandi e che spara per finire in fretta quello che un pestaggio non ha saputo concludere. È prevaricazione, manifestazione estrema di giovani che pensavano a se stessi come a superuomini e che hanno tentato di porsi al di sopra dei sospetti, degli inquirenti, della famiglia. La propria e quella della loro vittima.

 

Usciamo tutti e tre, c’è anche Giorgio

 

Olga Julia Calzoni è solo Julia per chi la conosce. Nell’ottobre 1976 compirà diciassette anni ed è una ragazzona con il suo metro e 70 di altezza per 70 chili. Frequenta il liceo scientifico Alessandro Volta di via Benedetto Marcello e di lei tutti dicono che sembra una giovane uscita dalla generazione precedente: timida, tranquilla, obbediente nei confronti dei genitori, innamorata di Giorgio Invernizzi, così diverso da lei. Lui che, chissà perché, per un po’ c’è stato, ma poi l’ha mollata e agli amici la descrive come una rompiballe. Julia però non si rassegna, magari Giorgio tornerà da lei prima o poi e quando quello che considera uno dei suoi più cari amici, Fabrizio Demichelis, le propone di uscire aggiungendo che ci sarà anche lui, lei accetta senza esitazioni.

 

L’appuntamento è fissato per il 26 marzo 1976. È entusiasta, Julia, deve aver immaginato che quel sospirato riavvicinamento fosse ormai prossimo e non riesce a trattenersi. La confidente naturale è sua madre a cui non tiene nascosto nulla e le chiede aiuto per prepararsi. Si fa la messa in piega e domanda in prestito un vestito da donna adulta, scarpe in tono e qualche gioiello. Poi indossa anche un anellino che le piace tanto. E quando è pronta esce contenta: l’occasione si annuncia carica di promesse e per non creare malumori ha accettato di partecipare a una specie di scherzo architettato dai due ragazzi. Dopodiché si farà un giro. Infine, forse, resterà da sola con Giorgio e la loro storia potrebbe riprendere da dove si era interrotta.

 

Quando è per strada, Giorgio e Fabrizio non devono averla salutata con un sorriso. Due che vanno in giro con una 6.35 e una 7.65 infilata nella cintura delle braghe non sorridono. Al massimo accompagnano le parole protendendo il mento, come a far sentire perennemente in difetto l’interlocutore.

 

«Tutto come d’accordo?» le avranno invece chiesto.

 

«Sì», dice Julia.

 

«Ne hai parlato con qualcuno?»

 

«Certo che no».

 

«Lo sai che se hai aperto bocca, il piano salta».

 

«Vi ho già detto di no, tranquilli».

 

E invece la madre di Julia sa che la figlia incontrerà proprio quei due. Ma non sa di quello che alla ragazza è stato presentato come lo “scherzo”, un’”innocua” bravata: Julia dovrà fingere di essere stata sequestrata e a questo scopo incide su un nastro una richiesta di aiuto che dovrà essere recapitata alla famiglia. Un miliardo e duecento milioni di lire, la richiesta iniziale di riscatto, che scenderà a 400 milioni, cifra che la famiglia Calzoni sembra potersi permettere.

 

Come in un film di Caiano

 

«Dai, mica glielo mandiamo davvero ai tuoi», devono averla rassicurata. «Ci mancherebbe altro, con tutto quello che succede in questo periodo».

 

E a Julia magari è sembrato di essere come dentro un film di Mario Caiano alla “Milano Violenta”, con i boss della mala lombarda che però nella realtà non sono gangster, ma sono amici suoi. Persone di cui non aver paura nemmeno quando le propongono un giro in macchina e prendono la strada dell’Idroscalo.

 

Posto strano, l’Idroscalo, per un’uscita tra amici, in quegli anni frequentato da chi voleva nascondersi da mogli a cui non far sapere un adulterio, dove trovare dosi di eroina o trafficare in attività ambigue. Chissà se Julia ci ha riflettuto mentre si stavano avvicinando al parco e se è stato solo istinto di sopravvivenza a farla schizzare fuori dalla vettura dopo essere stata raggiunta dalla prima sprangata alla testa. Chissà se si era già ricreduta sui suoi amici mentre questi la inseguivano giù dalla macchina per colpirla per la seconda volta. Lei a questo punto è caduta in ginocchio e mentre si portava le mani sulla testa per proteggersi non deve aver più avuto dubbi.

 

«Ma siete impazziti? Noi siamo amici».

 

In risposta è arrivato il terzo colpo di spranga. Tanto violento da spezzarle le dita e provocare un solco nel cranio con l’anellino che aveva messo poco prima, mentre la madre la aiutava a prepararsi per il suo appuntamento. Nemmeno a questo punto Julia è completamente fuori combattimento: è stordita, quello sì, ma non perde conoscenza, non si accascia del tutto. E allora i suoi aguzzini estraggono le pistole nascoste sotto i vestiti e sparano per finirla con diversi proiettili esplosi senza dire una parola. Alla fine la lasciano lì, su un prato di quello che ai tempi era un posto malfamato. Quando la ritroveranno, il suo aspetto sarà talmente alterato dal pestaggio che verrà scambiata per una donna tra i 30 e i 35 anni.

 

Il miraggio del delitto perfetto

 

Finché si lavora di fantasia, il delitto perfetto riesce sempre. Secondo i piani di Giorgio Invernizzi e Fabrizio Demichelis, il corpo di Julia avrebbe dovuto essere zavorrato con due blocchi di cemento e fatto sparire nel Ticino. Intanto loro sarebbero andati avanti con la pantomima del rapimento a scopo di estorsione per vedere se quella montagna di soldi sarebbero davvero stati in grado di scucirla alla famiglia Calzoni. Sapevano anche che c’erano buone probabilità di essere smascherati dagli investigatori, ma avevano pensato a una soluzione anche in quel caso. Se fosse loro andata male, sarebbe andato in scena un altro spettacolino: quello dei ragazzi di buona famiglia che avevano giocato, ma qualcosa era andato storto e Julia era morta accidentalmente. Così, presi dal panico, avevano fatto sparire il cadavere. Ma non avevano intenzione di farle male e poi sono fatti che possono accadere, come era successo meno di un anno prima a Cristina Mazzotti. Mica si vorrà comminare l’ergastolo a causa di un incidente, di una fatalità?

 

Nel piano originale, Julia inoltre non sarebbe dovuta morire a causa delle botte e dei colpi di pistola. Nella testa dei due ragazzi, la giovane a casa non ci sarebbe mai tornata, ma volevano impedire – per quanto possibile – che la causa del suo decesso fosse inderogabilmente attribuibile alle loro azioni. Così si erano informati e avevano deciso che, quando sarebbe venuto il momento di liberarsi di lei, le avrebbero iniettato una bolla d’aria in vena. Avevano sentito in giro – dissero durante le deposizioni – che non se ne sarebbe trovato traccia durante l’autopsia.

 

In qualsiasi modo dovesse andare, tuttavia, è una storia che non ha né capo né coda. Gli imputati non spiegano per quale motivo Julia faccia la fine che ha fatto e l’omicidio è tutt’altro che un “delitto perfetto” scoperto per un colpo di fortuna. Nulla a che vedere con quello che venne definito dai giornati dell’epoca il delitto del secolo, commesso a Chicago nel 1924 da due giovanotti di buona famiglia, Nathan Freudenthal Leopold Junior e Richard A. Loeb, così simile nelle motivazioni (noia, esaltazione del proprio ego, sfida alle forze dell’ordine) e nella dinamica (il rapimento di un quattordicenne amico di famiglia a scopo di estorsione ed eliminazione immediata dell’ostaggio). Ma molto più accurato nella sua attuazione, con tanto di creazione di identità fittizie, conti bancari intestati a personaggi inesistenti, costruzione di una rete di alibi che di ferro avrebbe anche potuto essere.

 

In quel caso, tuttavia, a tradire i due assassini fu un paio di occhiali ritrovato sul luogo dove venne rivenuto il corpo della vittima, Bobby Franks. Di lì iniziò una serie di verifiche che permise di risalire al proprietario, Leopold. Eppure anche a Chicago i due colpevoli si diedero da fare per cercare il ragazzino scomparso. Come loro, Giorgio e Fabrizio si misero a disposizione, offrirono il proprio aiuto quando Julia non fece rientro a casa. Lì per lì, pensavano che nessuno avrebbe sospettato di chi si dava da fare per l’amica sparita nel nulla, ma non sapevano che la madre della giovane li avrebbe indicati come le ultime persone che l’avevano vista. E allora, proprio come i loro precedessori statunitensi, crollarono davanti agli inquirenti e confessarono un omicidio che di movente non ne aveva perché stupide erano le loro motivazioni.

 

Persone senza nomi e senza volti

 

Condannati entrambi all’ergastolo nel 1978, Giorgio Invernizzi e Fabrizio Demichelis sono dei bravi ragazzi solo per Julia e per chi li conosce unicamente attraverso di lei. Hanno frequentato il liceo Studium presso cui approdano dopo non essere riusciti ad andare avanti dai salesiani, al Manzoni e al Carducci. Lo Studium magari può fare al caso loro, forse sarà più facile delle altre scuole, ed è ritenuta un’istituzione adatta alla media e alta borghesia milanese. Oltrettutto gira voce che sia orientata a destra, anche se i responsabili dell’istituto smentiscono e preferiscono parlare di disciplina, di metodi didattici all’antica. E poi loro li hanno sbattuti fuori i neofascisti, gli estremisti non li vogliono. Ma poi devono comunque perquisire i ragazzi prima dell’ingresso perché non portino all’interno dell’edificio coltelli e armi d’altro genere.

 

Giorgio e Fabrizio a scuola vengono separati: il primo è più intelligente e pacato, ma – sospettano gli insegnanti – forse può essere la mente dietro le intemperanze del secondo, imprevedibile, indisciplinato, con tendenze violente, bocciato pure dopo essere approdato allo Studium. Anche il rendimento scolastico di Giorgio non è brillante, «non si applica» dicono di lui i docenti. Ma poco importa, entrambi hanno il proprio seguito tra diversi compagni e le famiglie, soprattutto quella di Fabrizio, sono piuttosto malleabili nei loro confronti. Anche se viene da chiedersi se malleabili sia la parola più corretta: quando i due ragazzi verranno arrestati per l’omicidio di Julia, il primo commento a caldo della signora Demichelis sarà tutto per la “figura” che la sua famiglia ci fa in quella situazione.

 

E poi ci sono i raduni a San Babila, motivo di orgoglio che regala loro un senso di appartenenza. Anche se poi, alla fin dei conti, ai due neanche della politica o delle ideologie reazionarie interessa nulla e allora finiscono nel marasma di chi va e chi viene, persone senza facce e senza nomi che non si distinguono dalla massa di gente che passa lì i propri pomeriggi. Tanto che quando gli inquirenti andranno a interrogare i frequentatori della piazza milanese, nessuno si ricorderà di loro. Men che meno i personaggi più riveriti delle gang destrorse di quegli anni.

Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet, cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)
 

Commenti

  1. Gianluca Mantegazza

    Ma è proprio così di moda affiancare due assassini come i due psicolabili dell’articolo di cui sopra ,sempre e comunque all’estrema destra anche se nulla ci azzeccano

  2. Chi, di solito si arma di coltelli o pistole????? Le persone che vanno in giro sempre disarmate non possono celare quella violenza che si riscontra poi in questa cronaca. I ragazzi viziati di cosiddetta buona famiglia, spesso si sono macchiati di questi assassini efferati di cui sono state vittime loro conoscenti o amiche. E guarda caso erano simpatizzanti di destra, anche se propendo per considerarli solo delle bestie di satana, cioè assassini.

  3. Lorenzo

    Spero solo che i due assassini siano ancora in galera.

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