La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Quand’era colonnello dei servizi prova a liberare Aldo Moro in mano alle BR: scambio con prigionieri del gruppo Habbash. Il mistero di due giornalisti italiani scomparsi in Libano: “per ordini superiori” Giovannone avrebbe depistato le indagini

Giovannone, Lawrence d’Arabia nella Beirut palestinese

15-03-2010

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Stefano Giovannone aveva 64 anni quando morì e mezzo secolo della sua vita l’aveva trascorso vestendo abiti militari. Ma alla metà del luglio 1985, quando si spense nella sua abitazione di Roma, la sua carriera – arrestatasi al grado di colonnello – era precipitata ben più in basso rispetto alla considerazione che si era guadagnato in tanti anni di attività sul campo e in particolare dal 1965 al 1981, quando aveva fatto parte dei servizi segreti militari.

Nelle settimane che precedettero la sua morte gli era stata concessa la libertà provvisoria. Per lui, infatti, era stato chiesto (e ottenuto) l’arresto – tramutato poi in domiciliari per ragioni di salute – nell’ambito di un’indagine veneziana e di un’altra romana. Ma non erano le uniche che lo chiamavano direttamente in causa. Andiamo con ordine.

Ai tempo d’oro, il colonnello era noto per un vezzeggiativo, il “Lawrence d’Arabia” italiano, e la sua conoscenza dello scacchiere mediorientale aveva fatto la differenza. Una differenza che ancora in tempi recenti è tornata a emergere. Si pensi per esempio che all’inizio dell’estate 2008, dal carcere parigino di Poissy, dell’ex ufficiale del Sismi parlò il terrorista filopalestinese Ilich Ramirez Sanchez, al secolo Carlos, il venezuelano a capo del gruppo Separat ribattezzato dalla stampa lo “sciacallo” perché, durante una perquisizione, tra i suoi effetti personali venne trovato il quasi omonimo romanzo di Frederick Forsyth.

In base alle parole di Carlos, raccolte in un’intervista rilasciata all’Ansa, Stefano Giovannone avrebbe avuto un ruolo nella trattativa per liberare Aldo Moro, rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e ucciso cinquantacinque giorni più tardi. L’8 maggio di quell’anno, alla vigilia dell’omicidio dello statista democristiano, l’ufficiale si sarebbe occupato di mediare tra i palestinesi e lo Stato italiano affinché un gruppo di militanti delle Br fosse rilasciato e portato in Medio Oriente. Il premio per questo “gesto di disponibilità” sarebbe stata la liberazione dell’ostaggio.

Il condizionale è d’obbligo, quando si citano le dichiarazioni di Carlos. Va però aggiunto che il colonnello Giovannone era davvero un personaggio di riferimento per Aldo Moro. Tanto che questi, proprio nel corso della sua detenzione nella “prigione del popolo” brigatista, scrisse per due volte di lui nelle sue celebri lettere. In entrambe le occasioni si metteva in relazione l’ufficiale del Sismi ad aspetti specifici della questione mediorientale e al ruolo che giocò in determinati frangenti, come il negoziato per il rilascio di alcuni terroristi arrestati per aver tentato di abbattere un aereo israeliano nei cieli italiani.

Dunque, quando Moro si rivolse a Flaminio Piccoli, ai tempi capogruppo Dc alla Camera, fece esplicitamente i nomi di due persone, “[Vito] Miceli [ex direttore del Sid e in quella legislatura deputato del Movimento Sociale, N.d.R.] e, se è in Italia (e sarebbe bene da ogni punto di vista farlo venire), il colonnello Giovannone che Cossiga stima [perché] non una, ma più volte, furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti e anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresaglie che sarebbero poi state poste in essere, se fosse continuata la detenzione. La minaccia era seria, credibile […]”.

E ancora Moro al compagno di partito Erminio Pennacchini: “È […] naturale che in un momento drammatico mi rivolga a te per un aiuto prezioso che consiste semplicemente nel dire la verità. Dirla, per ora, ben chiara agli amici parlamentari e a qualche portavoce qualificato dell’opinione pubblica. Si vedrà poi se ufficializzarla. Si tratta della nota vicenda dei palestinesi che ci angustiò per tanti anni e che tu, con il mio modesto concorso, riuscisti a disinnescare […]. Di fronte alla situazione di oggi non si può dire perciò che essa sia del tutto nuova […]. È un intermezzo di guerra o guerriglia che sia, da valutare nel suo significato. Lascio alla tua prudenza di stabilire quali altri protagonisti evocare. Vorrei che comunque Giovannone fosse su piazza. Ma importante è che tu sia lì, non a fare circolo, ma a parlare serenamente secondo verità. Tra l’altro ricordi quando l’allarme ci giunse in Belgio?”.

Ciò di cui parla il presidente della Democrazia cristiana dalla sua prigione è passato alla storia come “lodo Moro” e Giovannone, nell’accordo per la salvaguardia italiana a fronte dell’indisturbato transito di fazioni palestinesi sul territorio nazionale, ne sarebbe stato un perno. A partire dal 1972, infatti, era l’uomo a cui far ricorso in tema di Medio Oriente. Capo centro del Sismi a Beirut dopo essere stato il responsabile della sicurezza dell’ambasciata italiana nel Paese dei cedri, l’ufficiale avrebbe avuto modo di conoscere e intervenire con disinvoltura in diverse faccende.

Le indagini che lo raggiungono all’inizio degli anni Ottanta danno maggior consistenza a quest’affermazione. A iniziare dalla sparizione di due giornalisti italiani, Graziella De Palo e Italo Toni, 24 e 50 anni, scomparsi dalla capitale libanese il 2 settembre 1980 e mai più ritrovati. Con il suo superiore, il generale piduista Giuseppe Santovito, Giovannone fece in modo che le informazioni sulla sorte dei due cronisti fossero offuscate da falsità (come la zona da cui De Palo e Toni sparirono: per l’ufficiale dei servizi era l’area sotto il controllo del falangisti mentre in realtà era quella in mano ai palestinesi), depistaggi per salvaguardare George Habbash, il leader radicale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (sospettato di aver avuto un ruolo nell’eliminazione dei due giornalisti) e la cessione di informazioni riservate a persone non identificate.

Su questa vicenda a tutt’oggi non è stata fatta luce, a iniziare dalla fine che fecero i giornalisti. Giovannone si trincerò dietro il segreto di Stato e l’allora presidente del consiglio, Bettino Craxi, avvallò (adesso forse qualcosa sembra muoversi per via della declassificazione di alcuni documenti). Ma il versante giudiziario che ha gravato sul colonnello negli ultimi anni della sua vita ha compreso anche altre vicende: episodi di corruzione e un traffico d’armi risalenti al 1978 su cui ha indagato il giudice veneziano Carlo Mastelloni (è per questa vicenda che l’ex ufficiale verrà arrestato per la seconda volta). In questo frangente, Giovannone avrebbe passato informazioni ai palestinesi. Informazioni che riguardavano accertamenti che l’Ucigos stava conducendo e che avrebbero indotto i mediorientali a spacciare per agenti della Cia due funzionari di polizia italiani arrivati in Libano. E sempre di armi si occupava un’altra indagine, seguita in questo caso dalla procura di Trento e coordinata da Carlo Palermo.

A propria “discolpa”, l’ufficiale del Sismi disse di aver “agito su ordine dei suoi superiori” e, avvalendosi della riservatezza che il suo ruolo gli concedeva, si dichiarava non autorizzato a rivelare alcunché perché era in gioco la sicurezza dello Stato. La sua morte, conseguenza di una malattia che l’aveva colpito, giunse quindi provvidenziale perché stese un velo tuttora esistente. Un velo che aspetta di essere sollevato – se ancora possibile – per rileggere aspetti non marginali del recente passato italiano.

Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet, cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)
 

Commenti

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