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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Dalle api un'ipotesi a sostegno del legame tra intelligenza e longevità

Gli intelligenti vivono di più: cultura e curiosità per il nuovo la ricetta dei centenari

14-01-2011

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L’aspettativa di vita, ossia gli anni che una persona può ragionevolmente auspicare di vivere, in relazione ad una media matematica, è innegabilmente aumentata nel corso della storia: dai 30 anni, in epoche remote, oggi l’uomo può aspirare ai 100 anni di vita.

Sono state avanzate diverse ipotesi a sostegno della comprensione del fenomeno, dalla configurazione del DNA, sino a considerarne le ipotetiche mutazioni, al condizionamento ambientale favorevole l’allungamento della vita.

Il 1 ° marzo 1681 il medico e filosofo John Locke (1) redasse una nota in riferimento alla longevità, forse la prima documentazione a carattere scientifico inerente il fenomeno, descrivendo il caso di una donna, Alice George, ai tempi residente ad Oxford, che aveva superato i 108 anni di età e che presentava ottime condizioni di salute psicofisica. Un documento di elevato valore scientifico e lungimiranza in quanto andava ad analizzare la famiglia di origine e le abitudini della signora Alice, si è poi visto in seguito quanto i comportamenti influenzino la qualità e la durata della vita.

Nel 1973, Alexander Leaf della Harvard Medical School raccontò per la prima volta le vicende della valle ecuadoregna, la Sleeping Inca, ove si trova il villaggio Vilcabamba (2), nella regione meridionale dell’Ecuador, per il National Geographic Magazine in relazione all’evidente longevità dei suoi abitanti, ipotizzò motivazioni che ancora oggi sono di là da essere comprese, rimane il fatto che in quella valle gli ultracentenari non rappresentano un’eccezione. Parecchi studi hanno tentato di dare una risposta esaustiva orientandosi verso l’alimentazione e lo stile di vita quali fattori favorenti. Richard Laurence Millington Synge, chimico Premio Nobel, sosteneva la presenza di elementi medicinali nella flora di certe località vicino all’equatore, mentre Morton Walker, giornalista medico, presente in Ecuador alle dipendenze del governo per studiarne la popolazione, nel suo libro, “The Secret to a Youthful Long Life”, asserì che la fonte idrica da cui attingevano gli abitanti di Vilcamamba sarebbe stata composta d’acqua ricca di minerali che sarebbero intervenuti nel processo di allungamento della vita.

VIDEO:

Il segreto della longevità tra i monti
di Vilcabamba dove la vecchiaia è d’oro”

( http://www.corriere.it/esteri/speciali/2010/i-reportage-di-ettore-mo/notizie/mo-puntata-28-11-10_b9239670-facc-11df-abbf-00144f02aabc.shtml )

Nei primi anni del 3° millennio alcuni scienziati della Facoltà di Medicina della Christian-Albrechts-University di Kiel, in Germania, coordinati da Almut Nebel, (3) rese nota l’individuazione di una variante del gene ‘FOXO3A’ comune in tutto il mondo nelle persone che vivono per 100 o più anni. Il dato venne confortato dal confronto di campioni di DNA prelevati da 388 centenari verso quello di 731 giovani osservandone una mutazione genetica negli ultracentenari.

Sempre in quegli anni (2008-2009) venne pubblicato un altro lavoro riferentesi alla longevità che teneva in maggiore considerazione la struttura di personalità con tutto ciò che comporta, piuttosto che il fattore genetico. Si suppose che alcuni tipi di temperamenti potessero favorire un prolungamento della vita, lo studio (4) pubblicato nel 2009 sul Journal of the American Geriatrics Society esaminò i tratti di personalità di 246 figli di ultracentenari e giunse alla conclusione che specifici tratti di personalità incidono sull’invecchiamento. La progenie dei centenari è risultata a basso livello di nevroticità e ad alto livello di estroversione, risultando essere individui gradevoli nel contesto sociale di appartenenza.

Fermo restando che precise abitudini di vita, quali una sana alimentazione, un’adeguata attività fisica ed un ambiente a basso livello di contaminazione, aiutano, si è osservato che coloro che vivono più a lungo sono piuttosto dinamici, amano uscire, stare in compagnia, esprimono capacità empatiche e cooperative, risultando meno nevrotici.

In effetti, sembrerebbe proprio che gli individui estroversi e ben disposti alle amicizie, protesi verso gli altri, cooperanti, quindi orientati ad aiutare gli altri, in grado di raccogliere sufficienti risorse anche in tempi difficili, siano i migliori candidati alla longevità a conferma della teoria evoluzionistica. (5)

Chi si sottopone a regimi di autodisciplina, forse perché troppo incentrato su di sé, forse perché assoggettato allo stress da prestazione autoindotto, non favorisce l’allungamento della sua vita, così come chi si barrica, verosimilmente a difesa personale, dietro stereotipi inattaccabili ed inossidabili. Pare che l’estroversione verso gli altri, così come quella verso il nuovo, rappresentino tasselli importantissimi nel processo che stiamo analizzando.

Un altro elemento che pare incidere sulla longevità è la personalità materna, come ci dimostra uno studio pubblicato nel 2009 su Maternal & Child Nutrition, basandosi sulla valutazione di 28.000 mamme norvegesi (6) . Pare che le mamme più irritabili, ansiose e/o depresse siano più propense a nutrire i loro figli con cattiva alimentazione a base di cioccolato, bibite e frittelle. Il modello nutrizionale infantile diventa poi una insana consuetudine dalla quale l’individuo fatica a staccarsi, conseguentemente i figli di mamme con precisi tratti di personalità hanno ampie possibilità di divenire adulti con cattive abitudini alimentari e, conseguentemente, scarse possibilità di vivere una lunga vita.

Le abitudini, quando si riconoscono poco compatibili al nostro equilibrio, possono essere assoggettate al cambiamento, i cambiamenti sono a loro volta compatibili con la capacità critica, conseguentemente la longevità non è solo una questione di salute fisica ma anche, e soprattutto, mentale.

Gli scienziati hanno da tempo ipotizzato un legame tra intelligenza e longevità, già nel lontano 1932 le autorità scolastiche scozzesi intrapresero una ricerca, nel corso della quale misurarono il quoziente intellettivo dei ragazzi nati nel 1921 nella cittadina di Aberdeen, in Scozia. Furono estrapolati i dati e non ne seguì nulla sino al 1997 quando Lawrence Whalley, docente di igiene mentale all’Università di Aberdeen, e Ian Deary, professore di psicologia differenziale all’Università di Edimburgo, (7) decisero di dare seguito alla ricerca.

I due ricercatori partirono dall’osservazione che gruppi socioeconomici diversi erano caratterizzati da indici di morbilità diversi e conseguentemente di mortalità. Del resto è quasi espressione comune l’asserire che “i poveri e gli ignoranti si ammalano e muoiono prima dei benestanti” , ciò che caratterizzò lo studio dei due scozzesi fu l’interesse per l’intelligenza umana in relazione alla durata della vita, fu così che rispolverarono le quasi 2800 valutazioni effettuate 65 anni prima agli studenti di Aberdeen, accertarono chi di loro era ancora in vita e scoprirono che la sopravvivenza era nettamente superiore tra coloro che ai tempi (nel ’32) avevano registrato un quoziente intellettivo elevato, rispetto ai meno dotati. Prese forma, così la teoria che l’intelligenza vivace potesse costituire un fattore determinante della longevità.

Certo è che una buona intelligenza riesce a preservare l’individuo, i comportamenti stessi che lo caratterizzano saranno compatibili ad una qualità di vita migliore rispetto a chi possiede scarse capacità elaborative, quindi maggiormente assoggettabile alle “offese ambientali”. A chiarimento porto un esempio semplificativo riferendomi al consumo di bevande alcoliche e/o di tabacco e/o di droghe spesso correlati ad incidenti e/o patologie delle quali spesso rappresentano la causa, in sintesi una buona intelligenza prevede la capacità di possedere la modulazione nel proprio corredo comportamentale, quale strumento sano per vivere una migliore qualità di vita, così come una più attenta capacità di previsione dei fattori di rischio e/o un miglior controllo della funzionalità della propria emotività, del proprio assetto psicologico.

Ian Deary definì il legame tra intelligenza e longevità come “l’integrità del sistema”, ossia una rete ben cablata su basi cognitive che non solo offre prestazioni migliori in test mentali, ma è anche meno soggetta ai rischi ambientali. Le persone che reagiscono meglio allo stress, che più di altri fattori pare incidere sull’invecchiamento, tendono a vivere più a lungo.

Sull’onda di queste cognizioni Gro Amdam (Arizona State University e Norwegian University of Life Sciences) ha avviato una nuova ricerca facendo ricorso alle api quali soggetti attivi dell’esperimento. La dott. Amdam ha scelto le api in quanto dotate di grandi capacità di risposta all’addestramento atto all’acquisizione di nuove informazioni per capire come vengono integrati i fattori genetici, fisiologici e ambientali nell’ambito del ciclo vitale individuale e come vengono modificati per dare origine a stili di vita sociali.

Nel corso dell’esperimento le api venivano legate una ad una ad un filo di paglia, quindi addestrate ad associare un odore ad una ricompensa alimentare in uno scenario classico da condizionamento pavloviano. Dopo alcuni tentativi le api hanno imparato a tirare fuori la proboscide in attesa di una goccia zuccherina e già da questa risposta si sono intraviste le diverse prestazioni esattamente come quando si osservano degli studenti tra i quali i livelli di apprendimento ed esecuzione potranno essere solo relativi al singolo e non omologabili.

A simulazione del processo di invecchiamento le api sono state messe in tubi di plastica ed esposte ad un ambiente carico di ossigeno procurando uno stress metabolico. Gli animali hanno bisogno di ossigeno per respirare, ma un sovraccarico determina la liberazione di dannosi radicali liberi andando a rompere le membrane cellulari, inducendo quindi una sorta di “suicidio” cellulare e provocando, così, l’invecchiamento precoce.

Si è visto che le api con migliori capacità di apprendimento tendono a vivere più a lungo durante questo calvario (una media di 58,8 ore verso le 54,6 ore delle allieve meno dotate) a dimostrazione del fatto di possedere un sistema antiossidante più robusto.

Nel corso delle prove di apprendimento le api in grado di meglio sopportare lo stress dell’essere costrette ad un filo di paglia erano anche in grado di imparare più velocemente le regole del condizionamento: odore-cibo; questa capacità ha permesso loro di sopportare meglio lo stress da elevata concentrazione di ossigeno.

La capacità di gestire lo stress potrebbe essere una componente di integrità del sistema, rifacendoci al prof. Ian Deary, e una migliore capacità di recupero globale da stress può contribuire ad elevare il quoziente intellettivo e le possibilità di sopravvivenza.

É ovvio che gli scienziati dovranno ampliare la ricerca per determinare se queste differenze biologiche esistono e si esprimono nella stessa maniera anche negli esseri umani, se così fosse, secondo Amdam: “C’è la possibilità di aiutare tutti a vivere più a lungo.” e … speriamo… meglio.

note di approfondimento:

http://www.corriere.it/esteri/speciali/2010/i-reportage-di-ettore-mo/notizie/mo-puntata-28-11-10_b9239670-facc-11df-abbf-00144f02aabc.shtml – VIDEO

L’aspettativa di vita, ossia gli anni che una persona può ragionevolmente auspicare di vivere, in relazione ad una media matematica, è innegabilmente aumentata nel corso della storia: dai 30 anni, in epoche remote, oggi l’uomo può aspirare ai 100 anni di vita.

Sono state avanzate diverse ipotesi a sostegno della comprensione del fenomeno, dalla configurazione del DNA, sino a considerarne le ipotetiche mutazioni, al condizionamento ambientale favorevole l’allungamento della vita.

Il 1 ° marzo 1681 il medico e filosofo John Locke (1) redasse una nota in riferimento alla longevità, forse la prima documentazione a carattere scientifico inerente il fenomeno, descrivendo il caso di una donna, Alice George, ai tempi residente ad Oxford, che aveva superato i 108 anni di età e che presentava ottime condizioni di salute psicofisica. Un documento di elevato valore scientifico e lungimiranza in quanto andava ad analizzare la famiglia di origine e le abitudini della signora Alice, si è poi visto in seguito quanto i comportamenti influenzino la qualità e la durata della vita.

Nel 1973, Alexander Leaf della Harvard Medical School raccontò per la prima volta le vicende della valle ecuadoregna, la Sleeping Inca, ove si trova il villaggio Vilcabamba (2), nella regione meridionale dell’Ecuador, per il National Geographic Magazine in relazione all’evidente longevità dei suoi abitanti, ipotizzò motivazioni che ancora oggi sono di là da essere comprese, rimane il fatto che in quella valle gli ultracentenari non rappresentano un’eccezione. Parecchi studi hanno tentato di dare una risposta esaustiva orientandosi verso l’alimentazione e lo stile di vita quali fattori favorenti. Richard Laurence Millington Synge, chimico Premio Nobel, sosteneva la presenza di elementi medicinali nella flora di certe località vicino all’equatore, mentre Morton Walker, giornalista medico, presente in Ecuador alle dipendenze del governo per studiarne la popolazione, nel suo libro, “The Secret to a Youthful Long Life”, asserì che la fonte idrica da cui attingevano gli abitanti di Vilcamamba sarebbe stata composta d’acqua ricca di minerali che sarebbero intervenuti nel processo di allungamento della vita.

VIDEO:

Il segreto della longevità tra i monti
di Vilcabamba dove la vecchiaia è d’oro”

(http://www.corriere.it/esteri/speciali/2010/i-reportage-di-ettore-mo/notizie/mo-puntata-28-11-10_b9239670-facc-11df-abbf-00144f02aabc.shtml )


Luisa BarbieriLaureata in medicina e chirurgia si è da sempre occupata di disturbi del comportamento alimentare, prima quale esponente di un gruppo di ricerca universitario facente capo alla Clinica psichiatrica Universitaria P.Ottonello di Bologna e alla Div. di Endocrinologia dell'Osp. Maggiore -Pizzardi, a seguire ha fondato un'associazione medica (Assoc. Medica N.A.Di.R. www.mediconadir.it ) che ha voluto proseguire il lavoro di ricerca clinica inglobando i Dist. del comportamento alimentare nei Dist. di Relazione. Il lavoro di ricerca l'ha portata a proporre, sempre lavorando in equipe, un programma di prevenzione e cura attraverso un'azione di empowerment clinico spesso associato, in virtù dell'esperienza ventennale maturata in ambito multidisciplinare, a psicoterapia psicodinamica e ad interventi specialistici mirati. Ha affrontato alcune missioni socio-sanitarie in Africa con MedicoN.A.Di.R., previo supporto tecnico acquisito c/o il Centro di Malattie Tropicali Don Calabria di Negrar (Vr). Tali missioni hanno contemplato anche la presenza di Pazienti in trattamento ed adeguatamente preparati dal punto di vista psico-fisico. Il programma clinico svolto in associazione l'ha indotta ad ampliare la sfera cognitiva medica avvicinandola all'approccio informativo quale supporto indispensabile. Dirige la rivista Mediconadir dal 2004, è iscritta all'Elenco speciale dei Giornalisti dell'OdG dell'Emilia Romagna e collabora con Arcoiris Tv dal 2005 (videointerviste, testi a supporto di documenti informativi, introduzione di Pazienti in trattamento nel gruppo redazione che oggi fa capo all'Assoc. Cult. NADiRinforma, redazione di Bologna di Arcoiris Tv).
 

Commenti

  1. giovanna arrico

    Buono a sapersi. Minore è lo stress emotivo, maggiori sono le possibilità di elaborazione personale e quindi migliore qualità di vita. Un procedimento che unito alla collaborazione tra le persone può aiutare a vivere più a lungo. Interessante. Grazie mille Dottoressa.

  2. pier paolo olivieri

    Lo stress e la stanchezza sono fattori naturali che limitano le capacità di elaborazione. Gli esempi riportati in questo articolo portani due tipi di studi che tendono a due apparenti diverse ipotesi. I soggetti ultracentenari “condizionati” da fattori ambientali in modo passivo come quelli di Vilcabamba e i soggetti “consapevoli” che sfruttano il loro quoziente intellettivo come quelli scozzesi. In realtà il comune denominatore è una vita sana ed equilibrata sotto il profilo psico-motorio.Ognuno di noi troverà ciò che meglio si aggrada alle proprie necessità e peculiarità. L’importante è “fare e non oziare”. Grazie per l’interessante suggerimento.

  3. […] a vivere più a lungo.” e … speriamo… meglio. Articolo a cura di Luisa Barbieri edito su il Domani Category: […]

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