La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Il cielo sopra la capitale tedesca resta grigio, ma ogni cosa è impregnata di ricordi. Musei e monumenti ovunque. Memoria “inchiodata alla terra, appesa ai palazzi, affissa alle insegne”

A Berlino la memoria è un ventaglio aperto sul mondo

14-02-2011

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Berlino – Vista da Berlino, la giornata della memoria che abbiamo appena celebrato mostra tutti i suoi limiti. Sopra il cielo grigio e freddo della capitale tedesca incombe davvero il monito di Bertolt Brecht: “Il grembo da cui scaturì il nazionalsocialismo è ancora fecondo”. Per evitare il parto di quella orribile banalità del male di cui parla Hannah Arendt, c’è bisogno di un lavoro di scavo generale, occorre che la società tutta si assuma la responsabilità di rimescolare le zolle della propria terra mettendo a nudo le ferite della storia, sradicando le erbacce della spietatezza, del sadismo, dell’assolutismo del potere, del razzismo, dell’antisemitismo, della xenofobia, della violenza, della brutalità, della guerra, dell’uniformismo culturale, religioso ed etnico.
La memoria non può essere soltanto calendarizzata, non può diventare un fatto di routine per ricordarsi una tantum del genocidio ebraico, di quello rom, dell’eutanasia praticata verso vecchi, malati, handicappati o per onorare gli eroi della resistenza (con le solite polemiche ideologiche tutte italiane) e ricordarsi, ad esempio che in via Resia a Bolzano era attivo  un lager dove sono stati rinchiusi centinaia di prigionieri.
A Berlino la memoria è la città e la città è la memoria. Non  fai un chilometro a piedi senza imbatterti in un museo sulla resistenza (Widerstand), in un monumento dedicato alle vittime della Shoà, in un edificio che racconta di quella o di quell’altra storia drammatica legata alla persecuzione ebraica. La memoria è inchiodata alla terra, è appesa ai palazzi, è affissa alle insegne che spostano i turisti da un capo all’altro della metropoli. Ogni dieci metri ti capita di calpestare un medaglione dorato con una iscrizione. Guardi bene, magari passando per la Neue Schönehausesstrasse e leggi: “Hier wohnte Gisela Niegho 1942. Deportierte 1943. Auschwitz” (qui ha vissuto Gisela Niegho nel 1942, deportata nel 1943. Auschwitz). Poco più in là altri medaglioni, quelli di Elvira Niegho, Hanna Niegho, Joseph Niegho. Tutti deportati ad Auschwitz. Una intera famiglia annientata. Poi ti volti, imbocchi una strada laterale e vedi una istallazione attaccata alle mura di un palazzo, leggi i nomi delle famiglie che l’abitavano negli anni Quaranta. C’è un vuoto in mezzo. E la scritta: “Auschwitz”.
Ogni nome è stato archiviato, ogni storia è sacra. Un sofisticato sistema informatico ti aiuta a tessere la tela della memoria. Mi interessava sapere qualcosa di più sulla vicenda di Dietrich Bonhoeffer, il famoso teologo tedesco impiccato a Flossenbürg dopo essere stato imprigionato nel carcere di Tegel, uno dei centri nevralgici del sistema repressivo nazista (quasi ogni giorno si sente parlare di quella prigione, escono libri, nuove testimonianze, nuovi studi). Ho cliccato sulla lettera B e mi è uscita la pagina dedicata a Bonhoeffer con documenti, lettere, scritti, foto. Il suo profilo era collegato a quello di centinaia di altri tedeschi che in una maniera o nell’altra hanno avuto una parte attiva nell’opposizione a Hitler. Non solo Sophie Scholl e il gruppo di studenti della Rosa Bianca, non solo Oskar Schindler, ma tantissimi altri uomini e donne che hanno messo a repentaglio la propria vita salvando ebrei o ribellandosi al tiranno. Interessante è il museo dedicato a Otto Weidt, un commerciante tedesco che negli anni Venti mise in piedi un laboratorio per la costruzione di spazzole e scope. A partire dal ’33 cominciò ad assumere lavoratori ebrei ciechi e sordi, proteggendoli dalla persecuzione. C’è la ricostruzione di tutta la vicenda con le storie di chi è sopravvissuto e di chi fu deportato nei campi  (fino all’ultimo Weidt e sua moglie tentarono di proteggere i lavoratori con incursioni pericolose nei lager implorando la liberazione).
La memoria è arte, architettura. Lo yüdisches Museum è un capolavoro. Daniel Libeskind ha pensato di strutturare l’edificio su tre corridoi sotterranei, quello che conduce ai giardini dell’esilio, quello cieco che conduce alla torre dell’olocausto e quello della vita che conduce ai piani superiori dove la storia dell’ebraismo tedesco con i suoi grandi protagonisti si intreccia con la storia brutale di un antisemitismo mai sopito.
La città della memoria racconta anche la storia del pacifismo nel museo contro la guerra e in quello che ricorda la deflagrazione della bomba atomica ad Hiroshima e Nagasaki.
In Rosengartenstrasse campeggia una grande immagine di Anna Frank. Anche a questa ragazza olandese che ha commosso il mondo Berlino ha dedicato un museo. Di più, le hanno dedicato un angolo della città. Per dire che la memoria non distingue le vittime, non ragiona secondo schemi nazionalistici. Travalica le nazioni. Noi viviamo accovacciati sulle spalle di questi annientati, di queste sei milioni di vittime incenerite, macciullate, massacrate da un potere dispotico che ha accecato un popolo. Questo popolo, questa nazione, oggi dice “mai più!”. Non lo fa calendarizzando la memoria, ma aprendola come un ventaglio sul mondo: “La mia angustia sparisce, il mio coraggio riprende a vivere” (Anna Frank).

Francesco CominaFrancesco Comina (1967), giornalista e scrittore. Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a "L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine). Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano. 

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