Elisa, Sarah, Yara, Melania … non c’è bisogno di dare nessun altro indizio perché di queste piccole e grandi donne e delle loro storia, della loro fine, dei pettegolezzi venduti come “informazione” che accompagnano il dolore, si sa, quasi, tutto.
Come se le conoscessimo da lungo temp; peggio ancora, come se fossero personaggi di un reality che giorno dopo giorno allunga puntate da non perdere, pubblico affascinato,
Aprono la cronaca nera di telegiornali, programmi di approfondimento, talk show dedicati interamente a loro: gli studi televisivi si trasformano in un’aula del tribunale, divani da psicolog, cattedra da criminologo con “testimoni” che entrano in scena solo perché hanno visto per un attimo il passaggio furtivouna di una delle vittime. Non c’è più limite a niente, neanche quando una madre scopre la notizia sul ritrovamento del corpo senza vita della sua ragazza in diretta televisiva: guai interrompere il collegamento, avanti con la sacra “missione” di informare così..
I media sonocriticatI perché troppo spietatI e senza rispetto per la privacy, ma come si può spiegare il comportamento e il desiderio così focoso di apparire di tutti i protagonisti solo sfiorati dalla brutta storia? L’epoca dei reality show, da anni, ormai allaga le tv, e l’influenza che hanno nella società è profondamente radicata. Non importa il dolore di una tragedia, basta solo apparire ogni giorno con abiti e look diversi.
Le polemiche che scatenano i media giocano sulle medagli e sul loro rovescio: criticate per non rispettare la niormalità el codice deontologico, ma tenute in buona considerazione per il contributo che in qualc he modo portano alle indagini. E quando si spengono le luci degli show itanti misteri spariscono nell’ombra.
“This is not Hollywood” era la frase sui muri di Avetrana paesina del sud dove un’adolescente è sparita in un pozzo: Quasi un grido di disperazione di persone che stavano perdendo la loro normale quotidianità per colpa dell’invasione mediatica. Ma nulla è lasciato al caso: una regia invisibile confonde la notizia con la morbosità.
Speculazioni, pettegolezzi, curiosità conquistano le pagine dei giornali. La domanda che mi pongo è: l’opinione pubblica, i lettori, i telespettatori, hanno veramente bisogno di questo tipo di informazione?
Quanto possono aver nociuto simili notizie al sistema dell’informazione che cerca la verità? Difficile dare una risposta corretta perché siamo testimoni e protagonisti, invochiamo l’etica ma siamo curiosi e la concorrenza del giornalismo non è diversa dalla concorrenza del mercato. Anche se credo sia il momento di dare una svolta a questo modo di testimoniare la realtà non importa se la concorrenza tira fuori i vecchi ferri “del mestiere” … and the show must go on! Spegniamo le luci e parliamone seriamente.
Enisa Gordani, origine albanese, studia Giornalismo e Cultura Editoriale all'Università di Parma.