Salvatore Marracino, 28 anni, è morto per un banale incidente: stava pulendo l'arma ed è partito un colpo, secondo la versione ufficiale. Invece i documenti del Pentagono resi pubblici da Wikileaks spiegano che è stato ucciso "da fuoco amico". Insomma, errore dei commilitoni. Ma la madre che non sopporta la verità riassume la voglia degli italiani di non guardare cosa sta succedendo
La mamma di un soldato ucciso in Iraq non vuol sapere chi lo ha colpito con la pallottola fatale
28-10-2010
di
Ivano Sartori
C’è stato un tempo in cui i documenti inchiodavano i colpevoli e assolvevano gli innocenti. Se le prove erano schiaccianti e non concedevano scappatoie bisognava arrendersi all’evidenza. Non è più così da quando la politica vuole assoggettarsi la giustizia (e ci riuscirà se passano le riforme volute da Silvio Berlusconi). Già oggi però documenti e prove sono considerati pezzi di carta straccia. Non hanno più valore oggettivo.
Solo i magistrati continuano ad averne rispetto, mentre gran parte del pubblico televisivo li considera falsità, montature, imbrogli da azzeccagarbugli. Una qualsiasi velina vale più di qualsiasi inchiesta o rivelazione. In certi casi, questo rifiuto di capire è umanamente comprensibile. Ammettere che un’autorità costituita possa mentire o addirittura averti mentito è come permettere al mondo di caderti addosso. Soprattutto se questa istituzione gode da qualche anno a questa parte di rinnovato credito perché da guerrafondaia è riuscita a rifarsi una verginità come pacefondaia. Per chi le crede.
Tra i vari file pubblicati da Wikileaks, il sito di Julian Assange che sta facendo venire i sudori freddi ai vertici del Pentagono (a proposto delle guerre Iraq e Afghanistan) ce ne sono un paio relativi a fatti in cui sono stati coinvolti soldati italiani. Uno, per esempio, riguarda il sergente della Folgore Salvatore Marracino, morto in Iraq nel marzo 2005.
«Fu colpito accidentalmente» da fuoco amico nel corso di un’esercitazione, si legge in un documento ufficiale del Pentagono trafugato e pubblicato da Wikileaks. La versione accreditata all’epoca era invece che il 28enne di San Severo (Foggia) si fosse sparato in fronte mentre maneggiava la sua arma rimasta inceppata. «A noi hanno sempre detto che Salvatore è morto per un incidente causato dalla sua arma», ha confermato la madre Maria Luigia Grosso. Che poi ha aggiunto: «Devo dire, con estrema sincerità, che l’Esercito ci è stato e ci è sempre vicino. Hanno ricordato mio figlio con una targa nella caserma Pisacane di Livorno, gli hanno dedicato un torneo e anche intitolato una palestra».
Reazione comprensibile. Perché scavare? Per disonorare un eroe? Nel dubbio, perché promuovere azioni legali? Perché mostrarsi irriconoscenti verso l’esercito che ha fatto le condoglianze, affisso una targa, intitolato un torneo e una palestra?
I genitori che vogliono sapere come i loro figli sono morti in Iraq o in Afghanistan, che preferiscono la verità a onorificenze da quattro soldi, probabilmente esistono solo nella fantasia di qualche scrittore o regista. In film come L’uomo nell’ombra o Nella valle di Elah.
Perché meravigliarsi? Vi sono persone che continuerebbero a votare per B. anche se lo scoprissero in flagrante mentre stupra, ruba dalla casetta delle elemosine o uccide un avversario in diretta televisiva. Direbbero che è una montatura delle toghe rosse, una prova costruita con Photoshop, un ologramma inviato da Di Pietro.
Non esistono documenti e prove inconfutabili per le persone deboli che hanno bisogno di una fede forte per poter continuare a vivere e votare.
Ivano Sartori, giornalista, ha lavorato per anni alla Rusconi, Class Editori, Mondadori. Ha collaborato all’Unità, l’Europeo, Repubblica, il Secolo XIX. Ultimo incarico: redattore capo a Panorama Travel.