Gente per strada alla periferia di Manaus (foto da Flickr)
Gli eroi sono quasi sempre armati, i profeti camminano quasi sempre scalzi. Gli eroi li fa la propaganda, vengono glorificati dalla patria che si vanta – come cantava De Andrè – “di un altro eroe alla memoria”. I profeti li fanno i poveri, gli umili, i rifiutati, i perseguitati, gli oppressi. Non hanno bandiere, giornali, televisioni, aerei. Per loro non si fanno i funerali di stato. Le bare dei profeti sono bagnate soltanto dalle lacrime dei senza casa, dei senza terra, dei senza tetto e dei tanti senza del sud del mondo. Alle esequie non passano le frecce tricolori. Arrivano con i colori della festa dai sotterranei della vita e della storia uomini sdentati, donne piegate dalla stanchezza, giovani favelados, bimbi sporchi di fango. Alzano in aria i loro cartoni con le lingue più disparate: “Addio al nonno dei pescatori”, “Ciao, papà”, “ti salutiamo, frate dei senza tetto”, “ci hai dato la vita, nonno degli oppressi, e hai ricevuto la morte”…
Ruggero Ruvoletto è stato un testimone, un profeta. E’ morto con tre colpi di rivoltella alla testa alla periferia di Manaus nei giorni del lutto nazionale per i sei eroi italiani uccisi nell’attentato di Kabul. Nessun giornale nazionale ha raccontato la sua storia al di là di qualche cenno rilanciato dalle agenzie di stampa. Tutti i riflettori illuminavano il proscenio degli eroi che avrebbero voluto morire anziani, circondati dall’affetto dei propri cari, dei propri figli, delle proprie mogli e invece se ne sono andati troppo presto in un mondo di trappole, con una violenza insensata e inaudita.
L’uccisione del profeta, come sempre accade, è avvenuta al buio delle cronache, lontana dai led luminosi delle telecamere ma nella luce delle coscienze di chi l’ha incrociato e ha ripreso in mano la speranza.
Ruvoletto è stato orribilmente ucciso. Chi lo ha conosciuto e ha seguito la sua missione sospetta della ricostruzione fatta dalla polizia brasiliana per cui il missionario padovano sarebbe morto come vittima di una tentata rapina. Succede sempre così. Anche di don Luis Lintner, prete altoatesino ammazzato nel 2002 a Salvador de Bahia, dicevano che era stato giustiziato da un assalto di una banda di balordi per rubargli l’auto, trovata pochi chilometri più in là intatta e con tutte le cose al loro posto. Poi venne fuori che il profeta dei pescatori della favela pochi giorni prima aveva denunciato le violenze all’interno della favela di Cajazeiras dove operava. E allora cominciarono le minacce, un altro omicidio, la paura, la vendetta e tutto quello che comporta in situazioni del genere esporsi e prendere le difese del povero, dell’innocente, del rifiutato.
“E’ molto probabile – racconta don Pierluigi Sartorel, missionario bolzanino a Fortaleza e coordinatore dei missionari italiani in Brasile – che don Ruggero sia stato fatto fuori perché aveva denunciato soprusi e violenze. Non ci sono stati segni di furto nell’abitazione, non ci sono elementi che fanno pensare ad una esecuzione per rapina. Era in Brasile da quasi dieci anni e aveva sempre lottato accanto ai più poveri dei poveri. Non sopportava le ingiustizie, la paura delle madri impotenti davanti alla discesa graduale dei figli nei gironi infernali della droga, della criminalità delle bande che si contendono il mercato del narcotraffico. Aveva iniziato la sua missione come sacerdote nella Baixada Fluminense un’ansa del fiume alla periferia di Rio de Janeiro. Già in questa prima fase della sua attività pastorale aveva dovuto fare i conti con il dramma del mercato della droga. Poi, due anni fa, aveva deciso di spostarsi verso Manaus”.
In Amazzonia don Ruvoletto ci arriva nel 2008 e subito prende dimora nella periferia di Manaus, una città che cresce a vista d’occhio, con le fevelas che s’allargano di ora in ora come escrescenze metropolitane maligne per l’arrivo di contadini e indigeni provenienti dai villeggi della foresta. Viene nominato parroco della chiesa di Santa Evelina. Il missionario incontra subito i gruppi locali, visita le famiglie e si impegna in modo particolare nella pastorale dei Riberinhos (gli abitanti della riva del fiume). Fedele alla teologia della liberazione forma leader di comunità di base e insegna alla scuola di Fè e Cidadania (fede e cittadinanza attiva).
Il 15 agosto – ricorda ancora dom Sartorel – Ruvoletto partecipa a una manifestazione popolare indetta per chiedere giustizia e piena cittadinanza. Gli chiedono di prendere la parola ma lui rifiuta con queste parole: “E’ meglio che non mi pronunci pubblicamente. Ho visto fra la gente alcune persone legate al traffico della droga. Sappiano che io non mi fermerò davanti a questa ingiustizia, non lascerò mai da sole le madri che hanno i figli che brancolano nel tunnel della droga, non le lascerò mai da sole a reggere la sofferenza di questo scandalo”.
Ecco il profeta: “Padre Ruvoletto è davvero un martire dell’Amazzonia” ricorda Sartorel. Come Chico Mendes, come don Luis Lintner, come il suo conterraneo, il padovano padre Ezechiele Ramin, assassinato nel 1985 a Cacoal nello stato di Rondonia per aver cercato di difendere gli interessi degli indios Suruì e dei sem terra, padre Riuvoletto continua a vivere nell’umiltà e nella memoria silenziosa dei poveri che non avranno mai le prime pagine dei giornali e nemmeno una statua nella piazza della città, ma una parola per sperare e lottare contro i demoni della spietatezza e contro la violenza del sistema.
Questi sono i profeti di oggi. Non chiamiamoli eroi. Non hanno armi, corazze. Sono nudi e inermi. “Ma è in questo vangelo segreto che continua ad essere scritto che si nasconde il mistero dell’uomo e, al contempo, si nasconde il mistero di Dio”. Parole di Ernesto Balducci.
Francesco Comina (1967), giornalista e scrittore.
Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e
ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a
"L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e
riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato
assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino
Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La
testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il
jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo
Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui
la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis
Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis
Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle
strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine).
Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano.