Ancor prima di essere tra i (peggiori o migliori) protagonisti della storia italiana, determinati personaggi sono snodi che compaiono in molte vicende del passato prossimo tricolore. Un esempio? Flavio Carboni, nato nel 1932 a Torralda, provincia di Sassari, e citato dalle cronache più recenti per le rivelazioni di Sabrina Minardi a proposito della scomparsa di Emanuela Orlandi. Chi segue la vicenda della cittadina vaticana scomparsa a quindici anni il 22 giugno 1983 saprà che l’ex pupa del boss della Magliana Enrico “Renatino” Pedis (quello della blasonata sepoltura nella basilica romana di Sant’Apollinare) ha detto – tra le varie affermazioni ritenute più o meno attendibili – che a Carboni sarebbe stata intestata una Bmw poi passata di proprietà ad altri della banda capitolina e usata per trasportare l’adolescente sparita nel nulla. Se è vero, si vedrà.
Ma c’è un’altra vicenda giudiziaria aperta che vede l’imprenditore sardo nel mirino di magistratura e carabinieri del nucleo ecologico. È quella che cerca le responsabilità di un sistema per lo smaltimento illegale di rifiuti. Un sistema che comprenderebbe anche l’abbandono abusivo di amianto in una discarica non attrezzata a Pomezia, nel Lazio, e che sul finire dell’estate scorsa ha portato in galera imprenditori e dirigenti pubblici arrivando a toccare immobiliaristi e manager sportivi. Il ruolo di Carboni, secondo le ipotesi formulate dagli inquirenti, sarebbe legato a un impianto a lui riconducibile, nato da una cava dismessa nei pressi di Calancoi, sempre nel sassarese, e in attesa di bonifica da parte dello Stato. Ma se anche su questa storia le attività investigative sono ancora in corso, ce ne sono altre più consolidate che possono raccontare la storia di questo personaggio-snodo.
Per esempio quella conclusasi in primo grado con un’assoluzione ai sensi dell’articolo 530, comma 2, del codice di procedura penale. Che recita: «Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile». I fatti per i quali la prova «è insufficiente o è contraddittoria» sono quelli che hanno portato il 17 giugno 1982 all’omicidio di Roberto Calvi sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Il presidente del Banco Ambrosiano, uomo della P2 al centro di traffici finanziari tra Vaticano, America Latina, paradisi fiscali ed Europa orientale (in particolare la Polonia), venne trovato impiccato a un’impalcatura e per la sua morte, esclusa la tesi a lungo sostenuta del suicidio, ci si indirizzò verso l’omicidio volontario e premeditato a cui avrebbero collaborato, oltre allo stesso Carboni, anche Pippo Calò (cosa nostra), Ernesto Diotallevi (banda della Magliana) e Silvano Vittor (faccendiere). A tutti poi, nel 2007, la seconda Corte d’Assise di Roma ha applicato il già citato articolo 530.
In queste righe non ci si vuole però soffermare su una vicenda giudiziaria che da sola meriterebbe molto spazio. Torniamo allo snodo-Carboni. Ex discografico dalle scarse fortune, non sembra riscuotere maggiore successo nelle successive iniziative editoriali, quando acquista quote di un paio di giornali di cronaca sardi (questa parte della sua storia imprenditoriale finisce in bancarotta, anche se la sentenza verrà poi annullata per vizi di forma).
Dopo un inizio così travagliato, il suo astro inizia a sorgere davvero quando entra in contatto con giri importanti, negli anni Settanta. Sono quelli di Licio Gelli e addirittura Carboni sembra scalzare dalle grazie di Roberto Calvi un altro personaggio-snodo, Francesco Pazienza. Quest’ultimo, collaterale al Sismi, è colui che “diede una mano” nella liberazione di Ciro Cirillo, ai tempi l’assessore ai lavori pubblici della Regione Campania, e al momento sta smaltendo gli ultimi strascichi di vicende legate sempre al Banco Ambrosiano e a una condotta non impeccabile come agente dell’intelligence. Ma non va dimenticato inoltre che ebbe anche un ruolo nei depistaggi delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Lasciando però Pazienza, nel periodo precedente l’espatrio di Calvi all’estero, Flavio Carboni, in collegamento anche con altri ufficiali di allora, come Giuseppe Santovito, Pietro Musumeci e Pietro Belmonte, ha dimostrato di essere un buon trait d’union tra ambienti molto eterogenei. Anche se agli atti del processo Calvi si sottolinea come diversi di questi contatti fossero frutto se non di millanteria almeno di esagerazione per darsi maggior spessore di fronte a Calvi, tra i giri di Carboni possono essere compresi l’editore Carlo Caracciolo, scomparso poco più di un anno fa, e l’allora sottosegretario al tesoro Giuseppe Pisanu (costretto alle dimissioni dopo l’emersione dello scandalo P2 prima di riprendere la carriera politica). Ma anche politici e diplomatici delle dittature sudamericane e imprenditori del mattone e delle frequenze tivvù come Silvio Berlusconi, interessato a una residenza estiva in Costa Smeralda.
I guai processuali seguiti a quel periodo d’oro non sembrano aver stemperato la verve dell’ormai settantacinquenne imprenditore (chiamato spesso “faccendiere”, ha sempre rifiutato quest’etichetta). Arrestato per l’affaire Calvi, nel corso del tempo ha schivato dieci anni per il tentato omicidio del numero due del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone (il 27 aprile 1982 gli sparano, ma la risposta al fuoco di una guardia giurata uccide un pezzo da novanta della Magliana, Danilo Abbruciati). Sempre vizi di forma lo salvano da un’accusa di truffa ai danni del Banco di Napoli e se la caverà anche nella bancarotta di un’altra azienda.
In sospeso rimane l’atto di appello presentato nel 2008 dalla procura di Roma per l’omicidio di Roberto Calvi. Un atto che si oppone all’assoluzione di primo grado perché «è stata omessa quella imprescindibile valutazione globale delle varie risultanze e una lettura a sistema sequenziale dei comportamenti di Flavio Carboni». Ragion per cui, molto probabilmente, in futuro si tornerà a scrivere di lui.
Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet,
cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non
necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)