Idith Zertal: “Ci accompagna l’onnipresenza della morte, non è un bene per il nostro futuro”
27-01-2010
di
Peter Contarin
Basilea – È nata nel Kibbutz di Ein Shemer, dal 2004 insegna storia e filosofia politica all’università di Basilea, ha 66 anni. Idith Zertal sta partendo per Madrid dove presenta l’edizione spagnola del suo saggio “La nazione e la morte: la Shoah nei discorsi e nella politica di Israele”. La presentazione in Spagna nel giorno della memoria non è occasionale. Perché l’Olocausto è il passato che l’angoscia e la commuove e si indigna per i negazionisti che provano a rimpicciolirne l’orrore. La spaventano i rigurgiti di un razzismo che la scarsa cultura e i disagi della crisi fanno rinascere nella borghesia meno preparata d’ Europa; nel semplicismo sciovinista delle piccole patrie; nell’egoismo che accompagna ogni consumismo vorace. “È un pericolo silenzioso che da un momento all’altro da un posto all’altro può scoppiare. Il mio popolo ha sperimentato dove può arrivare”. Dalla lontananza provvisoria guarda Israele: “continua a cambiare ed io rimpiango il paese dove sono cresciuta”. Paese ormai “degli eccessi e dei paradossi, ma dove resiste una curiosità etica che non si spegne, per fortuna. Il mio libro viene studiato nell’università di Bar Ilàn, bastione in territorio palestinese dei coloni ebrei che ne rigettano il contenuto”.
Non ne condividono i temi quando Idith Zertal analizza “l’influenza dell’establishment militare sulle decisioni della politica del paese e “l’occupazione maligna dei territori palestinesi. Governare un altro popolo in modo così brutale è devastante anche per noi”. Anche perché determina l’onnipresenza della morte, “uccidere o essere uccisi. L’Olocausto, radice del dolore, domina i discorsi politici mantenendo il nostro stato di vittime di ieri e di oggi. Chissà domani. Dal 1948 ad oggi non c’è stata guerra combattuta, definita e concettualizzata in una prospettiva che fa sempre riferimento al genocidio. Il vincolo tra l’orrore dei milioni di morti della Shoa e ogni decisione dei governi continua ad essere indissolubile”.
Lo si comprende ed è difficile metterlo in dubbio, ma, non vi si può ricorrere continuamente – sostiene Idith Zertal – senza svalutare l’Olocausto. Porta un esempio: “All’inizio della seconda Intifada, 2000, Simon Pérez si incontra con Arafat a Gaza: ‘Non possiamo permetterci un altro Olocausto’. Incredibile. Sono i giorni degli attentati. Per ogni vittima israeliana vengono uccisi e dichiarati cento palestinesi. Parlare di genocidio in questo contesto mi sembra fuori luogo, ma la parola che vorrei dire è un’altra”.
La signora oscilla tra la disperazione e l’ottimismo “quando osservo la demografia (arabi che aumentano per nascite molto più degli ebrei), il primitivismo politico dei partiti religiosi e la politica che resta molto corrotta. Non mi riferisco al denaro, ma alla corruzione dei principi politici. Non immagino cosa possa capitare ad un paese moralmente in declino. Parafrasando il leggendario ministro degli esteri Abba Eban, stiamo perdendo tutte le opportunità. Non vedo quale figura politica riesca ad emergere da questa confusione. Ed è tragico perché in Israele c’è tanto talento e tanta energia. Grande pena: il tempo gioca contro di noi. In fondo restiamo sempre vulnerabili”.