Come volevasi dimostrare: anche stavolta l’insulsa borghesia italiana – che Orson Welles giustamente disprezzava – finge di scandalizzarsi per la performance di Daniele Luttazzi a “Rai per una notte”. L’Italia lobotomizzata e diseducata da trent’anni di televisione spazzatura (culi, tette, bugie e abbruttimenti vari) anziché, per esempio, chiedere conto al Vaticano delle nefandezze denunciate dal New York Times, preferisce fare la faccia schifata davanti alla presunta volgarità di un satiro. La descrizione verbale e mimica, volutamente provocatoria, di una sodomizzazione fa più scandalo della sodomizzazione, purtroppo reale, di centinaia di bambini?
L’evento del 25 marzo al Paladozza di Bologna è stato interamente finanziato da più di 50.000 cittadini che hanno versato almeno 2,50 euro a testa. Una sorta di azionariato popolare. Pertanto sindacare su questo o quel contenuto, questo o quell’ospite, di questa manifestazione per la libertà di informazione è un esercizio che spetterebbe innanzitutto a questi 50.000 “produttori-azionisti”. Così come, fino a prova contraria, il giudizio, la promozione o la soppressione di programmi e autori Rai dovrebbe competere a tutti coloro che pagano il canone. Vent’anni fa Renzo Arbore cantava: “tu nella vita comandi fino a quando hai stretto in mano il tuo telecomando”: oggi il telecomando non comanda un bel niente. Anno Zero è la trasmissione che costa meno e fa guadagnare di più alla Rai. Nonostante ciò è osteggiata da tutti: alla faccia del libero mercato. La scelta degli ospiti politici di un talk-show dovrebbe spettare esclusivamente al conduttore. Invece, in Italia, sono i partiti a decidere chi deve e chi non deve andare in televisione a rappresentarli. Il conduttore deve limitarsi a riservare una sedia al partito: il culo che si siederà su quella sedia lo scelgono invece Berlusconi, Bersani, Bossi, Di Pietro, eccetera. E la chiamano par condicio. Forse la cosa più “scandalosa” e “sacrosanta” l’ha detta Lerner: è ora di mettere in discussione questa prassi, è ora che anche noi giornalisti ci assumiamo le nostre responsabilità, invitando chi ci pare.
L’etica della responsabilità, com’è noto, è quanto di più distante dalla mentalità della maggioranza degli italiani. Proprio per questo molti di noi non capiscono che la responsabilità è qualcosa che non compete e non può competere agli artisti. L’arte deve essere irresponsabile, altrimenti non è arte. I romanzi di Charles Bukowski o di Pier Vittorio Tondelli traboccano di parolacce, bestemmie, sesso, droga e alcol. Che facciamo? Vogliamo bruciarli insieme alle leggi di Calderoli? È colpa di questi scrittori se l’immaginario dei contemporanei occidentali è pieno di pornografie? Cosa c’è di più pornografico della politica e della televisione italiane? Non è il caso di ricapitolare qui l’impressionante sequenza dei recenti scandali che tutti abbiamo letto sui giornali e sentito in tivvù. Quello che davvero dovrebbe scandalizzarci è che, mentre c’è chi punta il dito contro Luttazzi (il dito, naturalmente, è l’indice… e Luttazzi, giustamente, gli risponde con il dito medio…), sono sempre meno gli italiani che si indignano per lo schifo che emerge dalle cloache del Palazzo. Quel Palazzo che trent’anni fa odiava Pasolini, espulso dal PCI in quanto “frocio”. Quello stesso Palazzo che, oggi, odia Luttazzi perché gli sbatte in faccia la verità. Ammesso e non concesso che Luttazzi faccia “perdere voti” al centrosinistra, chi se ne frega? Le domande che, oggi come allora, il centrosinistra dovrebbe porsi è un’altra: Luttazzi fu cacciato dalla Rai perché faceva finta di mangiare merda durante la sua trasmissione o perché fu l’unico a invitare Travaglio in tv? Ciò che fa scandalo è la simulazione di una “inculata” o la situazione di chi (gli italiani) la sta subendo? Cosa c’entrano l’amore e l’odio?
È la solita storia del dito e della luna. Del dito abbiamo già detto… La luna, invece, è la domanda a cui non si vuole rispondere: è vero o non è vero che la maggioranza degli italiani si è abituata a prenderlo in quel posto? La risposta, purtroppo, la sappiamo tutti, ipocriti compresi.
Insomma: inculare Luttazzi, Santoro e Biagi, cacciandoli dalla Rai, è discutibile ma non scandaloso. Se invece Luttazzi fa il suo mestiere (mestiere di successo), la destra ringhia e sbava, il centro si fa il segno della croce e la sinistra lo accusa di fare un favore a Berlusconi. Roba da matti. Ma chi l’ha detto che gli artisti debbano essere politically correct? E, soprattutto, in base a quale idea di libertà si pretende di mettere le mutande agli artisti, mentre i politici “vanno a troie”?
Inutile perdere tempo a spiegare a certi “grassi” esegeti televisivi che pontificano dalle pagine di autorevoli (?) quotidiani la differenza tra libertà di espressione, libertà di informazione e libertà di critica: la conoscono benissimo. Piuttosto si ha l’impressione che molte di queste grandi firme abbiano da tempo metabolizzato la forma mentis e la postura del servo: occhi bassi e calzoni abbassati. Non c’è bisogno di scomodare Freud per constatare che l’infantile società italiana è ancora ferma alla fase anale. Appunto. Forse i pugni nello stomaco di Luttazzi sono il modo migliore per svegliarsi, decidersi a crescere e smetterla di giocare con la pupù…
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)