In Germania da 40 anni, un milione e mezzo di immigrati “vive” come in un villaggio anatolico: scrive una sociologa di Ankara che abita nella Repubblica Federale. Il loro Islam moderato è apprezzato dai tedeschi
Berlino, i turchi votano a sinistra ma non lo vogliono dire
29-03-2010
di
Gabriele Merlini
Da circa mezzo secolo una analisi della situazione politica e sociale tedesca sarebbe parziale prescindendo dalla comunità turca residente in Germania, la più numerosa in Europa. L’inizio degli arrivi di «lavoratori ospiti» dall’Anatolia nella Repubblica Federale risale infatti ai primi anni sessanta e – al momento del primo blocco del flusso migratorio nel settantatré – già venivano stimati attorno al milione. Aumentati fino a toccare il milione e mezzo negli anni ottanta, le attuali cifre indicano circa due milioni di cittadini turchi stabilmente residenti in suolo tedesco.
La Germania riceve, prova ad offrire e si propone come partner privilegiato di Ankara sul piano economico: prima nazione esportatrice e proprietaria di qualche migliaio di aziende in Turchia, nonché recettivo importatore. Tra alti e bassi tenta di dare un buon esempio nel campo della integrazione (per altro il più celebre attacco verbale sui turchi-tedeschi in zona è partito da una sociologa turca emigrata a Berlino, secondo le cui tesi i suoi concittadini «vivono in Germania seguendo le regole di un villaggio anatolico». Le polemiche e il dibattito che ne seguì furono ampie nelle proporzioni ma piuttosto brevi nella durata) nonché nel dialogo interreligioso.
Naturale quindi che in un contesto simile sia doveroso valutare anche il peso del voto turco per la scena politica tedesca; nelle passate tornate elettorali, e possibilmente con chiarezza sufficiente per farsi un quadro utile in vista delle future.
Da sempre orientata con decisione verso la Spd e i Verdi, la componente turca in Germania ebbe secondo alcuni un ruolo notevole ai tempi della ultima campagna elettorale di Schröder, quando il cancelliere si spese per l’adesione della Turchia alla Unione Europea contrapponendosi ad Angela Merkel, la quale invece avrebbe preferito lavorare per una «partnership privilegiata», che per altro già esisteva. La tesi di Schröder era di accogliere un Islam moderato che sarebbe stato la migliore precauzione contro derive e fanatismi. Vinse la Merkel.
I dati riportano come la posizione della comunità turca non sia cambiata sostanzialmente con le elezioni del duemilanove; il grande successo -già ridimensionato, per altro- dei liberali di Westerwelle non può certo essere accreditato al voto turco.
Berlino è città particolare sotto una moltitudine di aspetto, tuttavia è la capitale e il più esteso centro urbano dunque una decorosa torretta sulla quale arrampicarsi per dare un’occhiata al fenomeno. La comunità turca cittadina dovrebbe contare circa centocinquantamila individui e mentre alcuni zone – tra le quali le centralissime Mitte e Prenzaluer Berg – ne sono quasi totalmente prive, altre come Wedding, Neukolln e Kreuzberg hanno ormai radicata una forte connotazione etnica. Per la maggior parte si tratta di persone nate in Germania o residenti in suolo tedesco da anni. Nelle chiacchiate si preferisce evitare di esprimersi dei singoli partiti, o forse questo succede soltanto quando l’interlocutore è uno sconosciuto come me; piuttosto viene ribadito quanto, soprattutto in un periodo come questo di notevoli distanze da elezioni di vario tipo, sarebbe preferibile focalizzare l’attenzione su richieste e necessità che dovrebbero prescindere dai singoli schieramenti (è utopia curiosamente diffusa questa che, in determinate situazioni, conservatori e progressisti possano agire nello stesso modo). Più sicurezza sociale e risposte alla crisi, magari in fase decrescente ma ancora evidentemente ben capace di destare preoccupazioni.
Il fatto che gli adolescenti turchi facciano gruppo a parte nei locali e sulle pensiline della U-Bahn non viene letto come un grosso guaio, o indice di qualche guerra in vista contro i coetanei tedeschi. Il guaio – si conclude – è piuttosto quando la politica a qualsiasi livello dimentica o solo finge di spendersi per le fasce più deboli della popolazione. Farà comodo ricordare che questo vale esattamente per i turchi-tedeschi come per i tedeschi-tedeschi.
Angela Merkel lunedì si recherà in Turchia per la prima volta in quattro anni e i temi del giorno non sono i più semplici. Ad ogni modo la cancelliera si è sempre dimostrata piuttosto abile negli equilibrismi, anche con primi ministri decisamente distanti da lei. Stavolta dal cucù di Berlusconi dovrà passare alla faccenda del nucleare iraniano, e certe frasi di Erdoğan che avrebbe negato il genocidio degli armeni compiuto dall’Impero Ottomano.
Gabriele Merlini ha trentuno anni, lavora nell'editoria e collabora con testate e riviste online, occupandosi principalmente di tematiche inerenti l'Europa centrale e orientale. Cura dal duemilasette il sito Válečky: http://eastkoast.wordpress.com/