Questo scriveva lo scrittore spagnolo Manuel Vicent nel suo Antitauromachia. Parole che, ovviamente, condividiamo appieno. E fa decisamente piacere che il Parlamento catalano abbia deciso di mettere al bando quella infamante e vigliacca “tradizione” rappresentata dalla corrida. Per motivi economici stiamo distruggendo le balene; le tigri stanno scomparendo dalla faccia della terra; muoiono milioni di animali soffocati dall’inquinamento e dal petrolio; uccidiamo quei pochi rinoceronti rimasti per strappare loro il corno che dovrebbe risvegliare il desiderio sessuale a dei maschi cretini sparsi per il mondo (speriamo che almeno faccia loro l’effetto contrario); ogni anno noi italiani “brava gente” abbandoniamo decine di migliaia di cani e gatti destinati a morte sicura e il governo da parte sua si adopera per dare sempre più discrezionalità ai cacciatori…
E come se non bastasse spacciamo per “cultura”, “tradizioni”, “folclore” delle pratiche che non solo fanno soffrire in modo indicibile degli animali che nulla possono, ma ne facciamo addirittura uno spettacolo trasmesso quotidianamente per televisione.
Evviva quei sessantotto deputati catalani che hanno coraggiosamente – sì, coraggiosamente, contro metà dell’opinione pubblica – deciso di cancellare, per lo meno dalla Catalogna – oltre dalle Canarie, che già aveva proibito quell’orrendo spettacolo nel 1991 – quella vergogna nazionale (altro che tradizioni culturali… provate a spiegarlo al toro!)
Come in tutte le questioni, come sempre, ci sono quelli a favore e quelli contrari. Normale. Ma poi, come sempre, ci sono anche gli imbecilli, che come ben sappiamo sono presenti a sinistra come a destra, tra i ricchi come tra i poveri. Sono quelli che dicono – vedi “La Repubblica” di giovedì 29 luglio – che quanti sono favorevoli all’abolizione della corrida dovrebbero essere anche vegetariani (io lo sono, ma questo non vuole dire niente): a parte il fatto che, per fortuna, la gente di solito non ritiene eroi nazionali macellai e insaccatori di suini, il problema di fondo sta, appunto, nella spettacolarizzazione delle torture inflitte al toro e alla sua successiva uccisione. Una parte del mondo si nutre sì di bistecche, di pesci e di salumi, ma non fa la coda al botteghino di un macello comunale. Non si diverte a vedere un buffone in pantofoline e giacchetta di lustrini sgambettare attorno a un animale sfiancato dalle ferite inflittegli dal picador e dalle banderillas.
Se la corrida è, come sostiene Mariano Rajoy – il leader dei conservatori spagnoli – “patrimonio culturale dell’Umanità”, consiglierei al sindaco di Roma Alemanno di ripristinare i combattimenti tra gladiatori al Circo Massimo. Non è forse anche quello un “patrimonio culturale” della romanità? E poi, sai quanti turisti in più vedremmo arrivare armati di telefonini e fotocamere digitali?
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.