Fare la guerra per fare la pace. In realtà, fare la guerra per fare soldi. Un assioma che la storia ha riproposto in molte salse, ma sempre con la stessa conseguenza: morte e dolore tra i popoli più poveri, affari d’oro per i ceti più ricchi. Un macabro escamotage per fare business sotto la falsa effige della difesa della patria, della conquista dello spazio vitale o della caccia al colpevole. Fumo negli occhi di un’opinione pubblica da convincere.
Dalla Guerra dei Trent’anni all’armamento nazista, fino alle guerre più recenti, scoppiate dopo la tragedia dell’11 Settembre. Ultimo terribile capitolo, la guerra in Afghanistan, una guerra dichiarata contro un nemico invisibile, più volte annunciata come vinta, ma mai davvero conclusa. Una guerra che è costata, e costa tuttora, migliaia di vite umane, tra soldati e civili, e sulla quale si innesca un’altra macabra guerra: quella dei numeri. Sullo sfondo di una simile tragedia, lo scandalo dei fondi umanitari destinati al popolo afgano, tra i 23 e i 27 miliardi di dollari, soldi che non si sa ancora come siano stati spesi.
Un dubbio atroce, difficile addirittura da pensare: che questi fondi, stanziati per scopi umanitari, siano finiti ad ingrassare le tasche di qualche affarista e faccendiere negli stessi Paesi donatori, invece di andare ad aiutare chi la vita rischia di perdere ogni giorno. Secondo una relazione presentata all’Europarlamento, tra il 70 e l’80% di questi fondi finirebbero in mani diverse da quelle afgane. Sotto accusa non la corruzione delle autorità locali ma le organizzazioni internazionali che gestiscono gli aiuti: ONU, associazioni non governative varie, Banca Mondiale e Banche regionali per lo sviluppo.
Per questo motivo ho depositato, insieme al collega IdV Pino Arlacchi, responsabile della relazione, un’interrogazione parlamentare per chiedere a Catherine Ashton, Alto Rappresentante del Servizio Europeo di Azione Esterna, cosa stia facendo e cosa intende fare l’UE per accertare e, in caso, combattere una simile vergogna. Inoltre, come Presidente della Commissione Controllo dei bilanci, ho rivolto alla Commissione europea delle domande precise sull’attuale gestione dei fondi UE in Afghanistan. Pesanti le accuse: corruzione e speculazione lungo la catena della gestione degli aiuti umanitari.
Accuse che vanno verificate e, se accertate, punite pesantemente, non solo per il reato in se, quanto per il terribile scenario nel quale verrebbe commesso: un Paese, l’Afghanistan, in ginocchio dopo quasi 10 anni di guerra, un Paese dove oltre metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Uno sporco affare sul quale l’UE deve fare luce e l’Italia, che in Afghanistan grazie al Governo Berlusconi ha delle truppe, iniziare una profonda riflessione.
Luigi de Magistris, oggi europarlamentare IdV, nasce a Napoli nel 1967. Si laurea in giurisprudenza a 26 anni ed entra in magistratura. Lavora per 15 anni come pm presso i Tribunali di Napoli e Catanzaro, occupandosi di indagini delicatissime come Toghe Lucane, Why Not e Poseidone, incentrate sul legame tra politica, massoneria e criminalità organizzata in merito ai finanziamenti pubblici. Trasferito quando le inchieste arrivano a coinvolgere nomi di spicco del mondo politico italiano, lascia la magistratura per dedicarsi alla politica. Nel giugno del 2009, con quasi 500 mila preferenze, entra al Parlamento Europeo come indipendente dell'Italia dei Valori e viene eletto presidente della Commissione Europea per il controllo sui bilanci.