Paolo Bolognesi si dice sbalordito dalla quantità di parole incensanti pubblicate in questi giorni, dopo la morte di Francesco Cossiga, avvenuta il 18 agosto scorso. Il destino di questi due uomini si è intrecciato su una vicenda che ha segnato la recente storia italiana: la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. L’ex notabile democristiano era capo del governo quando esplose l’ordigno che uccise 85 persone e ne ferì più di duecento e in trent’anni si è pronunciato molte volte a proposito del più grave tra gli attentati terroristici che hanno cadenzato gli ultimi decenni. Pronunciato fino a giungere ad affermazioni incompatibili con le risultanze scientifiche delle indagini.
Con la morte di Francesco Cossiga, quelle affermazioni infondate sulla strage alla stazione di Bologna (l’esplosivo, forse palestinese, saltato per caso, il trasporto lungo l’Italia che non avrebbe dovuto avere conseguenze), potranno essere sfatate una volta per sempre oppure rischiano di rimanere inchiodate nel “si dice” della storia del 2 agosto 1980?
Quelle affermazioni erano già sfatate in partenza. Non dimentichiamo che il primo a tirarle fuori è stato Licio Gelli. Poi, in seguito, quella tesi fu ripresa anche da altri, ma occorre sempre ricordarsi chi l’ha formulata per primo, quale fu l’origine. A sfatare quelle parole del resto è la perizia balistica sull’esplosivo, nella quale si afferma che era inerte e che non poteva saltare per aria senza un innesco. La tesi di Cossiga, di Gelli, della commissione Mitrokhin si basa sul nulla.
Ma perché un uomo politico come Cossiga, con alti incarichi istituzionali, all’indomani della strage punta il dito contro i neri, ma poi cambia idea in modo così drastico arrivando addirittura a “riabilitare” gli esecutori materiali?
Questo non lo so. Si noti però che quando uscì la sentenza d’appello, quella che assolveva i terroristi condannandoli per la banda armata e che la Cassazione cancellò, Cossiga disse che si trattava di una sentenza coraggiosa. Noi gli rispondemmo che ci voleva proprio un bel coraggio a esprimersi in quei termini. Ma al di là di questo, tutte le tesi di cui si parlava prima, quelle che portavano alla pista internazionale e che da lui veniva appoggiate, hanno avuto un grande risalto.
In questi giorni la retorica del lutto è stata preponderante sui giornali. Tu come hai interpretato tutto questo cordoglio?
Ci possono essere fatti personali che hanno fatto valutare il personaggio come interessante, strano, originale. Del resto partecipava anche a trasmissioni radiofoniche in veste di ospite brillante. Attività del genere possono sembrare anche simpatiche. Se però lo guardiamo come uomo di Stato, non possiamo assolutamente dire che lo sia stato. Prendiamo l’indagine su Moro, una vicenda incredibile: dopo le sue dimissioni, avrebbe dovuto essere escluso dalla vita politica italiana. Non solo questo non è accaduto, ma lui è tornato poi a ricoprire cariche elevatissime, come quella di presidente della Repubblica, votato quasi all’unanimità. Questo andrebbe ricordato sempre: la quasi unanimità. È un fatto che non ho mai perdonato alla sinistra, prestarsi a un’operazione di questo tipo è inqualificabile. Altra considerazione: sui cosiddetti misteri italiani – ma dovremmo chiamarli per quello che sono: segreti, non misteri -, Cossiga ha fatto di tutto perché rimanessero tali.
Alla luce di quanto accaduto con il periodo delle stragi, Bologna compresa, sembrano dunque esistere uomini dello Stato che prescindono dalla salvaguardia dei cittadini?
Un servitore dello Stato non può affermare di credere più ai terroristi che ai magistrati. E non può dire nemmeno che i familiari delle vittime del terrorismo si comportano come fanno solo per soldi. Uno che si pone in un modo del genere, può essere considerato solo un cattivo servitore dello Stato. Quando il 2 agosto 1980 scoppiò la bomba a Bologna, lui era presidente del consiglio e i vertici dei servizi segreti appartenevano alla P2. Anche quelli erano servitori dello Stato? Se la risposta è sì, occorre prenderne atto e trarne le dovute conclusioni.
Come riscrivere la definizione di ragione di Stato?
Qui non esiste una ragione di Stato. Qui esistono ragioni particolari per tenere in piedi questo sistema che si adopera per evitare che arrivi alla verità. Si vuole fortemente che non si giunga ai nomi dei mandanti delle stragi e alle loro ragioni. Ecco, se ragioni ci sono, non hanno niente a che vedere con lo Stato.
In questi giorni però si è detto anche, proprio in conseguenza delle sue opere, c’è un aldilà che accoglierà Cossiga come si confà a un uomo misericordioso.
Ecco, io spero di non finirci, in quell’aldilà. Vorrei evitarmi un’eternità con lui, ma anche con Andreotti e Berlusconi. Se per loro c’è posto in paradiso, ecco, mi si prenoti un posto nel girone più profondo dell’inferno. In questi giorni ho letto molte frasi circolate su Internet a proposito della scomparsa di Cossiga e una mi ha colpito in particolare: “Facciamo un minuto di verità”. Ecco, altro che eternità, almeno in minuto di verità sarebbe un atto straordinario, davvero rivoluzionario.
Antonella Beccaria è giornalista, scrittrice e blogger. Vive e lavora a Bologna. Appassionata di fotografia, politica, internet,
cultura Creative Commons, letteratura horror ed Europa orientale (non
necessariamente in quest'ordine...), scrive per il mensile "La Voce delle voci" e dal 2004 ha un blog: "Xaaraan" (http://antonella.beccaria.org/). Per Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri - per la quale cura la collana "Senza finzione" - ha pubblicato "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell’informazione" (2004), "Permesso d’autore" (2005),"Bambini di Satana" (2006), "Uno bianca e trame nere" (2007), "Pentiti di niente" (2008) e "Attentato imminente" (2009). Per Socialmente Editore "Il programma di Licio Gelli" (2009) e "Schegge contro la democrazia" (con Riccardo Lenzi, 2010). Per Nutrimenti "Piccone di Stato" (2010) e "Divo Giulio" (con Giacomo Pacini, 2012)