Negli ultimi decenni si è registrato un aumento esponenziale degli interessi all’estero di varie nazioni, in particolare nel campo delle forniture energetiche. Alla maggiore messa in pericolo di tali interessi, ad opera di vari fattori, è seguita l’inevitabile necessità di un aumento della loro salvaguardia. Soprattutto nelle zone calde del pianeta. Nonostante le forti campagne di reclutamento avviate in diversi paesi, primi tra tutti gli USA, non è sempre facile supplire al fabbisogno militare necessario. Non sempre si hanno gli uomini giusti per ogni operazione. Le leggi dell’economia sono ferree: la nascita di un bisogno crea un mercato, nulla fa eccezione a questa legge. Neanche la guerra.
È così che inizia lo sviluppo delle compagnie militari private, o private military contractors (PMC). Addestramento delle forze militari e di polizia, supporto tattico e logistico agli eserciti regolari e funzione di scorta ad esponenti governativi in zone a rischio sono i principali compiti svolti da queste aziende. A questo si aggiunge la fornitura diretta di personale specializzato.
Particolarmente fiorenti negli USA, diverse compagnie possono vantare un cliente di spicco: il Dipartimento di Stato. Il governo federale ha infatti avviato dal 1994 una intensa campagna di outsourcing nel settore della difesa, subappaltando a società private interi pezzi delle sue funzioni. Largamente utilizzate sul fronte interno, dallo svolgimento di compiti di homeland security alla gestione di situazioni di emergenza (quali l’uragano Katrina), le PMC hanno conosciuto il loro periodo d’oro con lo scoppio delle guerre in Afghanistan e in Iraq.
È proprio in Iraq che, nel 2004, alcuni eventi portano i contractors alla ribalta della cronaca mondiale. Nell’aprile di quell’anno si verifica la presa in ostaggio, da parte di un gruppo di miliziani iracheni, di quattro italiani che si trovavano a Baghdad. Tra i loro compiti ufficiali figurano l’istruzione del personale di sicurezza locale e la protezione di personaggi di spicco e di strutture d’interesse strategico, quali gli oleodotti. Pare che i quattro, benché assunti dalla Presidium Corporation, una compagnia fondata da italiani, stessero in realtà operando al servizio dell’esercito americano. I rapitori si offrono di rilasciare i prigionieri in cambio del ritiro dall’Iraq dei 3000 militari impegnati nella missione “Antica Babilonia”. Il governo italiano rifiuta l’accordo. La vicenda si conclude col rilascio di 3 dei sequestrati e con l’uccisione, documentata da un filmato, del quarto: Fabrizio Quattrocchi.
I fatti che coinvolgono gli italiani avvengono subito dopo che un primo evento, ancor più cruento, ha calamitato l’attenzione mondiale verso il fenomeno PMC, sollevando varie polemiche. A Falluja, città poco distante da Baghdad, vengono uccisi, bruciati, mutilati ed esposti alla pubblica offesa quattro operatori di sicurezza. Sono tutti dipendenti di una delle principali compagnie private statunitensi: la Blackwater. Pare che la società – in quel momento firmataria di un contratto del valore di 21,3 milioni di dollari – avesse il compito di garantire la sicurezza del personale dell’Autorità Provvisoria di Najaf, diretta dagli USA. Secondo la versione ufficiale le vittime dell’attacco stavano scortando un convoglio di rifornimenti. Patrick Toohey, un dirigente della Blackwater, sostiene che gli uomini sono stati attirati in una trappola da alcuni membri della Guardia Civile irachena, ritenuti amici. Si pensa ad impostori travestiti infiltratisi nell’apparato di sicurezza iracheno. Nelle settimane successive all’evento le famiglie degli operatori uccisi denunciano la Blackwater. L’accusa è che i loro congiunti siano stati particolarmente esposti al rischio a causa delle numerose anomalie operative attuate, volte ad economizzare l’operazione a discapito della sicurezza individuale.
Sempre a Najaf, poco tempo dopo, un folto gruppo di miliziani sciiti attacca il quartier generale statunitense. A rispondere al fuoco sono 8 commandos Blackwater. A parte un singolo marine ferito, sul campo non c’è traccia dell’esercito USA. Ci si inizia a rendere conto di come il ruolo attivo svolto dalle forze di sicurezza private possa essere qualcosa più di un evento saltuario imposto dalla necessità di autodifesa.
La Blackwater (ora Xe Services), con quartier generale a Moyock, in North Carolina, forma nei propri campi d’addestramento circa 35.000 uomini all’anno. La società viene fondata nel 1997 da Erik D. Prince, ex-militare con trascorsi nel Navy SEAL, le forze speciali d’elite dell’esercito statunitense. Di convinta fede cristiana, tanto da arrivare a definirsi “crociato di Cristo”, Prince è un grande finanziatore del partito repubblicano. Nel suo curriculum anche un impiego alla Casa Bianca, durante la presidenza di Bush padre. È un convinto sostenitore della guerra al terrorismo. Come lui, buona parte del personale al servizio della Blackwater proviene dall’esercito USA.
Col passare del tempo la Blackwater continua a presentarsi periodicamente agli onori della cronaca. Nell’aprile 2005 un elicottero bulgaro abbattuto da un missile sparato dalla guerriglia irachena rivela avere tra i membri dell’equipaggio, tutti deceduti, sei uomini della compagnia della North Carolina. Uomini Blackwater vengono inoltre accusati di avere un ruolo negli avvenimenti che, la notte del 4 marzo, portano alla morte dell’agente del SISMI Nicola Calipari. L’agente italiano stava portando a termine l’operazione di salvataggio della giornalista de “il Manifesto” Giuliana Sgrena. Ogni coinvolgimento viene comunque negato. Nel 2006 un uomo Blackwater ubriaco uccide una guardia del corpo del vice presidente iracheno al Mahdi. La società risolve la situazione con un versamento di 15.000 dollari alla famiglia della vittima, riuscendo ad evitare il processo grazie all’attiva mediazione del Dipartimento di Stato.
È però solo nel 2007 che si apre quello che verrà definito il “Blackwatergate”. In ottobre Erik Prince compare davanti alla commissione della camera dei rappresentanti del congresso statunitense. Oggetto dell’audizione: il comportamento degli uomini della Blackwater in Iraq e i rapporti dello stesso Prince con l’amministrazione Bush. Elemento scatenante è un rapporto che indica come la sparatoria del 16 settembre precedente, dove gli uomini Blackwater uccisero 17 civili iracheni, sia stata solo l’ultimo di una lunga catena di “incidenti”. Nella maggior parte delle 195 sparatorie condotte fino a quel momento sembra infatti siano stati gli uomini della compagnia a fare fuoco per primi. Le regole di ingaggio che si applicano ai militari delle PMC consentirebbero loro di fare uso delle armi solo per difesa. Ulteriore elemento esplosivo della vicenda è il punto in cui si sostiene che i contratti ottenuti da Prince (che in quel momento hanno superato in totale il miliardo di dollari) non siano dovuti alla vittoria di gare d’appalto, ma a particolari favoritismi.
Negli USA l’occasione viene colta al volo: i democratici, sebbene in maggioranza al Congresso, non possono decretare il ritiro delle truppe né rinunciare all’utilizzo dei contractors. La Blackwater viene utilizzata come capro espiatorio, per criticare la guerra “alla Bush” senza doverne mettere in discussione ragioni e obiettivi. Lasciando di fatto inalterato lo status quo.
È a questo punto che nell dibattito si inserisce anche il premier iracheno Nouri al Maliki, pretendendo il totale ritiro degli uomini di Prince entro sei mesi. Chiede inoltre 8 milioni di dollari di risarcimento alle famiglie di ciascuna delle vittime della sparatoria del 16 settembre. Baghdad sottolinea inoltre in una nota ufficiale come la licenza della Blackwater in Iraq sia scaduta nel 2006 (in realtà l’agenzia di sicurezza terminerà di operare in Iraq solo nel 2009).
Gli eventi si svolgono sempre più velocemente. Pochi giorni dopo, in Afghanistan, dove le PMC sono ampiamente utilizzate, il presidente Karzai pretende il ritiro di tutte le compagnie private dal proprio territorio. Alcuni contractors sono stati accusati di possesso illegale di armi, rapine e omicidi. Nello steso momento a Baghdad Ivana Vuco, funzionaria dell’Unami (il programma sui diritti umani della Missione Onu di assistenza all’Iraq), dichiara che «il diritto umanitario internazionale si applica anche a loro». L’emittente al Jazeera sostiene che stia alludendo alla possibilità di accusare di crimini di guerra e crimini contro l’umanità i dipendenti Blackwater coinvolti negli omicidi. Dal 2003 è ancora immutata la direttiva che estende ai contractors alle dipendenze degli Stati Uniti l’immunità rispetto alla legge locale, al pari dei soldati regolari.
Eliano Ricci, classe '85, è laureato in Scienze della Comunicazione presso l'Università di Bologna, lavoratore mediamente precario e musicista. Si interessa di politica, cultura alternativa e pubblicità.