Si parla di aborto medico, in alternativa a quello chirurgico, e si riaprono vecchie dispute, dispute mai risolte nel contesto sociale nel quale viviamo, come se potessero esistere due fazioni di contendenti: l’una a favore della vita e l’altra a favore della morte! In realtà credo proprio di potere asserire, senza tema di smentita, che nessun essere umano in grado di intendere e di volere possa schierarsi contro la vita. Come di consueto, e forse per comodità, si tende a catalogare frettolosamente ciò che non è catalogabile nemmeno ponendo tempo in mezzo, si tende a passare l’informazione al di là delle storie, quelle autentiche, e si generalizza.
Io vorrei affrontare l’argomento raccontando, invece, una storia accaduta ai tempi dell’aborto clandestino (questa parola così carica di significati negativi parrebbe proprio una costante nel nostro Paese!), ossia prima della promulgazione della legge 194/78. Accolsi in studio una giovane donna affetta da una depressione reattiva piuttosto importante, depressione che fece seguito ad una sorta di “sentenza” clinica che la “condannava” alla sterilità, sentenza che le giunse dopo anni di peregrinazioni negli studi di medici specialisti, dopo svariati tentativi di fecondazione assistita andati male. Lei mi raccontò che nel 1977, quando, ancora minorenne, rimase incinta, affrontò un’interruzione volontaria di gravidanza… ovviamente in assoluta clandestinità. Oggi quella “sentenza” si è trasformata in una sorta di “castigo divino” perché, come mi scrive la signora in questione:
“Se avessi tenuto quel bambino che ho volontariamente eliminato oggi non mi ritroverei a piangere perché non posso avere figli… si paga tutto! Ora io devo pagare per i miei errori. In tutti questi anni ho pregato, ho pregato tanto, ho chiesto perdono, ma ora sono anche tra coloro che non possono fare la Comunione, come una peccatrice, come un’assassina, ma io non sono un’assassina! Avevo 16 anni e, attraverso un semplicissimo test di gravidanza fatto nel bagno di casa mia in compagnia della mia migliore amica, scoprii ciò che in quel momento proprio credevo non potesse essere: ero incinta! I momenti che seguirono la scoperta mi creano ancora ansia: il coinvolgimento dei genitori, la tragedia incombente sulle nostre famiglie (la mia e quella del mio fidanzato), il mio stato d’animo così strampalato, così altalenante di emozioni che ballavano tra un senso di gioia inspiegabile, la vergogna e la paura. Fu proprio la paura l’elemento discriminante, quello sul quale venne fatto leva da parte del raziocinio dei genitori: eravamo troppo giovani e non in grado di affrontare tale situazione, meglio eliminare il problema alla radice. Io non sapevo, ero preda degli eventi, non per questo voglio scrollarmi di dosso l’eventuale colpa per avere accolto il suggerimento di interrompere la gravidanza… ma, ero davvero molto, molto piccola, influenzabile, spaventata. Particolare da non sottostimare: l’aborto ai tempi era un reato, inoltre io ero minorenne… un bel casino, vero? Un’amica della mamma, un’ostetrica, brava persona dotata di buona apertura mentale, venne in soccorso alla disperazione incombente sulla nostra famiglia e ci suggerì di rivolgerci all’UDI (Unione Donne Italiane, te la ricordi questa organizzazione femminile-femminista pseudopodo del PCI?). Ai tempi l’UDI faceva davvero i miracoli per le donne che, per un motivo o per l’altro, volevano interrompere la gravidanza senza cadere nelle mani della cosiddette “mammane”; aveva un giro di ginecologi bendisposti ad offrire il loro aiuto in cambio, però, di ingenti somme di denaro; oppure riuscivano ad inviare “carichi” di donne a Londra, o comunque in Inghilterra, ove l’aborto era legale e si praticava in ambiente idoneo, ossia in clinica. Io mi ero accorta di essere incinta piuttosto in ritardo, avevo tempi molto stretti entro i quali dovevo “risolvere il problema”. In altro modo nemmeno il ginecologo più bendisposto mi avrebbe potuto aiutare. Per Londra, posto d’elezione, visto che era previsto anche un ricovero in ambiente ospedaliero, nessuna possibilità… troppo tardi; rimaneva l’opzione del ginecologo compiacente… trovato… a Milano.
Non ricordo affatto il nome del soggetto in questione, ricordo molto bene il suo lussuosissimo studio: grande sala d’attesa arredata con tantissimi divani bianchi in pelle (o pseudo-pelle, non so), quadri enormi e sontuosi arricchivano le pareti; il suo studio era talmente lussuoso da apparire “trash”: grande scrivania piena di ninnoli argentati, alle spalle del medico una libreria che pareva un enorme mappamondo tagliato a metà ed attaccato alla parete.
Entrammo io, la mamma e il mio allora fidanzato. La mamma consegnò una busta piena di soldi al camice bianco che all’immediatezza mi disse: “vai in bagno, fai la pipì e raggiungimi nello studio accanto, io ti aspetterò là”. Mi alzai con fare tremolante invischiata in una ridda di emozioni che andavano dalla timidezza, alla vergogna, alla paura (se non terrore), al desiderio di finire questa storia che mi stava facendo tanto male. Non dimenticherò mai quello studio ove il camice bianco eseguiva di sotterfugio gli “interventi riparatori”: una stanzetta buia, priva di finestre, un lettino ginecologico, una lampada… non c’era altro… entrai, mi sdraiai sul lettino e piansi. Lui con fare falsamente rassicurante, in realtà pareva recitasse una pappardella trita e ritrita somministrata in maniera asettica e per niente affettiva, mi disse: “non piangere, hai l’utero antiverso e sei come un coniglio, farai tanti figli al momento giusto che non immagini neanche. A te, vista l’anatomia, basta vederlo uno spermatozoo per rimanere incinta, quindi asciuga le lacrime e tranquillizzati, non c’è nessun pericolo”. Trattenevo le lacrime a fatica, ma la mente… quella no… andava, andava per i fatti suoi e non mi suggeriva bei pensieri.
Il ginecologo spruzzò un po’ di etere all’imboccatura dell’utero e… mi sentii squarciare… letteralmente squarciare, tanto fu il dolore, non so dire se fisico o psichico o tutti e due ben miscelati tra di loro, che mi assalì. Mi parve che strappasse un pezzo di uno dei miei organi vitali… io ero sveglia… vedevo, sentivo… non mi piaceva, come non mi piaceva lui, un uomo orribile, un orco cattivo che stava strappando per “pochi” spiccioli un pezzo di me. Quando, dopo pochi minuti che a me parvero un’eternità, mi disse di alzarmi in quanto era tutto finito, traballai e dolorante scesi da quel lettino che… chissà quanto era diverso dal tavolo di marmo che usavano le mammane per compiere clandestinamente la stessa operazione?! Ecco… fatto… tutti tranquilli, non era successo niente, anch’io dovevo convincermi che non era successo niente…. come togliere un dente, anzi meglio… mi fecero salire in auto e via, si tornava a casa, liberi da un carico troppo pesante per le coscienze di tutti.
Nei mesi successivi feci ciò che mi pareva l’inverosimile per convincermi che non era successo niente, tanto che i festeggiamenti per il mio 17° compleanno, che si festeggiò la settimana successiva l’evento, lo organizzai come una grande festa in campagna con tanto di giochi e cotillon, festa a cui parteciparono i miei compagni di classe. Mi “uccisi” di lavoro nei preparativi, mi sottoposi a fatiche assolutamente inadeguate, visto l’intervento che, seppur ambulatoriale, era pur stato un intervento chirurgico. Forse utilizzai la situazione per non pensare a ciò che avevo strappato dal mio cuore e forse mi aiutò a concludere il mio 17° anno di vita… come se gli ultimi quindici giorni non mi avessero cambiato l’esistenza appesantendomi di un senso di colpa, di una rabbia, di un’impotenza che mi caricavano l’animo di cento anni, anziché diciassette… Ma era tutto assolutamente normale: un’adolescente spensierata che pensa ai giochi di società, alle tartine, a “che vestito mi metto?”. Così tutto DOVEVA essere normale il giorno dopo e quello dopo ancora e… Ma per me niente era più normale perché un’esperienza del genere non può non cambiarti la concezione della vita, soprattutto se sei completamente sola ad affrontarla. Io ero completamente sola! Il mio fidanzato? Preferiva stare al bar a giocare a carte con gli amici piuttosto che starmi vicino. La mamma? Argomento tabù, già aveva fatto tanto organizzando e pagando la faccenda: con lei il silenzio! Ciò che mi ha sconvolto alle ultime elezioni politiche è stato che qualcuno abbia anche solo lontanamente concepito l’idea di fondare un partito politico contro l’aborto legalizzato, sapendo benissimo, a meno che non venga da Marte o che il suo cervello si sia trasformato in grasso, che quella “salvaguardia della vita” così come lui la proponeva, altro non è che la riapertura della clandestinità con tutte le conseguenze assurde cui le donne sono andate incontro negli anni passati, ma di che meravigliarsi? Il nostro è un Paese strano, oppure forse non lo è nemmeno più di tanto… Forse l’essere umano è strano, non so che dire, però io ero già pronta a scendere in piazza e, credimi, molto, molto incazzata per contrastare eventuali riaperture del caso in esame: ciò che è successo a me, che tra le altre cose è andata relativamente bene, non doveva succedere a nessuna altra donna per ciò che è possibile!”.
Una storia banale, come se ne sono sentite tante, una storia che non si è chiusa con quell’intervento, ma che, malgrado le cose potessero andare molto, molto peggio, come scrive la Paziente, ha lasciato una ferita che non vuole cicatrizzare soprattutto da quando la signora, pronta ad affrontare una gravidanza, si è ritrovata sterile, in barba alle “veggenze” del “genio” che intervenne sul suo corpo tanti anni prima. Nel 1978 venne approvata la legge che legalizzava l’interruzione di gravidanza e che bypassava l’agire, il più delle volte maldestro, dei personaggi più svariati che, comunque, intervenivano in “aiuto” alle donne che dovevano rinunciare al divenire mamme. Quella legge ha evitato tante morti, tante conseguenze mediche e chirurgiche. Quella legge, così tanto voluta dalle donne, o almeno dalla più parte di loro, era e rimane una legge civile, degna di rimanere lì dov’è se, davvero, il Paese che ci ospita è ciò che afferma di essere: democratico e civile, oltre che laico. Malgrado l’approvazione della legge 194 nel 1978, malgrado la conferma della volontà della netta maggioranza degli italiani (68%) espressa attraverso il referendum, il dibattito circa la legittimità di organizzare una pianificazione famigliare libera ed autonoma non è mai cessato nel nostro Paese. Dibattito che non avrebbe ragion d’essere in relazione alla proclamazione dell’ONU circa il diritto fondamentale delle coppie di decidere, come persone libere e responsabili, il numero di figli desiderati e il momento delle nascite, già 40 anni fa (13 maggio 1968) alla Conferenza internazionale sui diritti dell’uomo a Teheran. Il dibattito sostenuto a mio avviso più che da principi etici, da interessi faziosi e populisti, nonché preposti agli intrecci politici tra Stato laico e Vaticano si riaccende ogni qualvolta si intravede la possibilità di ricreare quel clima di proibizionismo così caro a certi esponenti del mondo politico. “Rigore e società”… uno slogan che vorrebbe funzionare, ma che trova spazio solo nei regimi totalitari; la destra politica propone restrizioni, mentre la sinistra le combatte categoricamente, come fosse una sorta di assioma di base al di là delle reali esigenze dei cittadini che, peraltro sono sempre meno prese in considerazione. Nel 2005, l’allora ministro della Salute del governo Berlusconi, nonché Francesco Storace, propose il coinvolgimento, nell’ambito dei consultori famigliari, di volontari delle associazioni antiabortiste per consigliare le donne propense ad interrompere la gravidanza, al fine di fare la cosiddetta “prevenzione degli aborti” (mi domando che significato rivesta nella mente di chi l’ha proposto il termine “prevenzione”).
Al contempo la sinistra partitica, i medici, gli insegnanti e tanti cittadini reclamavano il diritto di usufruire di un’adeguata educazione sessuale nelle scuole, nei consultori e comunque nei luoghi ove si potesse fare formazione, inducendo la popolazione ad utilizzare anticoncezionali, magari distribuendoli gratuitamente, quale reale ed efficace prevenzione al ricorso all’aborto. Io stessa mi sono ritrovata più volte in ambulatorio a parlare di sessualità, a consigliare metodi anticoncezionali, sino a distribuire preservativi ponendo tra le problematiche da affrontare, quale medico, anche la prevenzione dell’AIDS. Non va, poi, dimenticato che l’Italia è uno dei paesi che conta un’incidenza di ricorso all’aborto volontario piuttosto basso, si parla di un 10,3 per mille in donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni e a seguire la legalizzazione della pratica si è registrata un’ulteriore riduzione dell’incidenza; inoltre secondo l’American Psychological Association (APA), dopo avere effettuato la valutazione di più di 200 pubblicazioni scientifiche, sembrerebbe che le donne che interrompono una gravidanza non pianificata non mostrino un rischio maggiore di problemi psichici rispetto a quelle che portano la gravidanza a termine, ovviamente in regime di legalità e di protezione medica. In altro modo non credo che i dati sarebbero favorevoli, in quanto, come la Paziente che ho citato, il ricorso a pratiche abortive in un clima di illegalità si porta dietro un vissuto criminoso e denso di sensi di colpa che può sfociare in franche patologie psichiche, oltre che, in relazione alla qualità degli interventi clinici, problematiche di ordine organico. L’ attuale Presidente degli USA, Barack Obama, nei primi giorni del suo recente insediamento si è dichiarato favorevole alla sentenza Roe v. Wade con cui la Corte Suprema legalizzò l’aborto negli Stati Uniti, il 22 gennaio 1973 e, di conseguenza, ha revocato una direttiva del governo Bush che proibiva ogni sovvenzione alle organizzazioni impegnate nella promozione della legalizzazione dell’aborto nei paesi in sviluppo o che offrano anche loro stessi l’interruzione di gravidanza, nel contesto della pianificazione familiare. Le stesse organizzazioni che si “limitano” a fare formazione e consulenza erano colpite dall’ordinanza. Bush, nei suoi otto anni di governo, ha contrastato con le parole e con i fatti una disposizione di legge, oltre che la libertà dei cittadini: ritirando il denaro destinato alle organizzazioni di pianificazione familiare ha di fatto impedito la prevenzione di gravidanze non desiderate e ha messo a rischio la vita di tante donne che improvvisamente si sono ritrovate nella situazione di non potere abortire con il minimo dei rischi, in quanto protette dalle strutture mediche. In Europa nel 2008 l’Agenzia europea del farmaco, EMEA, ha rivalutato le disposizioni d’autorizzazione all’immissione in commercio della”pillola abortiva”Mifegyne (RU486) (1) uniformando le disposizioni e il termine dell’uso del farmaco (sino al 63° giorno di amenorrea) per tutti i Paesi dell’Unione Europea.
E in Italia che succede? Visto che noi abbiamo il grande onore di apparire sempre”speciali”, quale che sia l’emergenza in corso.
Il 26 novembre 2009 il Senato pone un freno alla vendita della RU486, ritardando, di fatto, l’immissione sul mercato della pillola abortiva già autorizzata dall’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco). La Commissione Sanità di Palazzo Madama ha approvato a maggioranza (con 13 voti favorevoli di Pdl e Lega e 8 contrari del Pd) il testo finale dell’indagine conoscitiva sul farmaco (RU486) presentato dal presidente Antonio Tomassini (Pdl). Il documento esprime la volontà di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola abortiva in attesa del parere tecnico del ministero della Salute in riferimento alla sua compatibilità e la legge 194/78 in attesa del parere del governo al fine di evitare qualunque dubbio interpretativo. Il ministro del Welfare ha inviato al presidente dell’AIFA, Sergio Pecorelli, un parere in riferimento a quanto stabilito, in virtù di: “un attento monitoraggio del percorso abortivo in tutte le sue fasi, per ridurre al minimo le reazioni avverse… e per disporre di un rilevamento di dati di farmacovigilanza che consenta di verificare il rispetto della legge”. Concretamente la decisione della commissione Sanità del Senato blocca la possibilità per gli ospedali di usare la pillola come un normale farmaco, acquisibile regolarmente in Italia. Da rilevare che in Toscana, in Puglia, nelle Marche, a Trento, in Piemonte e in Emilia Romagna, sarà ancora possibile importare il prodotto dall’estero. L’approvazione finale dell’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva non ha ricadute su ciò che accade oggi negli ospedali italiani: dove non c’era, continua a non esserci, mentre dove si usava, si continua a usare, perché importata dall’estero.
Il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella pochi giorni fa ha dichiarato: “personalmente ritengo che la pillola abortiva sia un metodo più lungo, più doloroso e tutto a carico delle donne», ecco mi piacerebbe che le sue considerazioni, come quelle di altri autorevoli esponenti di governo, fossero supportate dall’adeguata competenza medico-scientifica. A volte ho davvero l’impressione che i nostro politici, più che dei rappresentanti della cittadinanza preparati tecnicamente e psicologicamente, siano più la rappresentazione quasi satirica della “comare di bassa lega”… a volte pagherebbe di più il silenzio ! Ed ancora di più… l’ascolto!!!
Occorre considerare che in Francia la RU486 è stata introdotta già nel lontano 1988 e in Europa sono oltre un milione e mezzo le donne che hanno usufruito dell’aborto farmacologico, evitando così un intervento chirurgico, mentre negli Stati uniti se ne contano 650 mila. Da sottolineare che già dal 2005, la RU486 è nella lista dei farmaci essenziali stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità. (2)
Il dr. Silvio Viale (responsabile IVG, Interruzione Volontaria di Gravidanza, presso l´Ospedale S. Anna di Torino, sperimentatore in Italia della pillola abortiva RU486) iniziò la sperimentazione nel settembre 2005 presso l’ospedale piemontese. Dopo un breve stop imposto dal ministro alla salute del primo governo Berlusconi, Francesco Storace, la sperimentazione proseguì alla condizione che le donne rimanessero ricoverate per 3 giorni. Nel settembre 2006 i lavori subirono un nuovo arresto, sempre per motivi di ordine politico, e questo dopo che il metodo farmacologico era stato praticato su 362 donne. Oggi, riaccesosi il dibattito, il dott. Viale è stato convocato dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica nel ambito dell’indagine conoscitiva sulla procedura di aborto farmacologico mediante mifepristone (3) e prostaglandine (4), percorso genericamente indicato come “pillola abortiva RU486” e valutazione della coerenza delle procedure proposte con la legislazione vigente; organizzazione dei percorsi clinici, valutazione dei dati epidemiologici anche in relazione agli studi internazionali sul rapporto rischio-benefici. Un intervento il cui spazio si è limitato a 15 minuti con diritto di replica di due-tre minuti, come se si potesse descrivere una sperimentazione che dura da anni in pochi minuti a persone, seppur autorevoli, ma non addette ai lavori. In compenso Assuntina Morresi, consulente del ministro Sacconi, a sua volta già ascoltato dalla Commissione, ha avuto la possibilità di portare le motivazioni a supporto della tua tesi nello spazio di un’ora. Vorrei aggiungere, quale aggravante, nonché inquinante il prosieguo dei lavori, che la prof.ssa Assuntina Morresi fu coautrice assieme all’attuale sottosegretaria Eugenia Roccella di “La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola RU486”, libro evidentemente sfavorevole all’assunzione di RU486 (tanto da definirla “kill pill”). Il ministro Sacconi, nel corso del dibattito, insiste:”La coerenza con la legge 194 si realizza solo se c’è il ricovero ospedaliero ordinario per tutto il ciclo fino all’interruzione verificata della gravidanza. Un processo che se invece avvenisse al di fuori di questo contesto sarebbe una violazione della legge 194″e chiede un ulteriore esame della questione:”Questo significa che bisognerà dar vita ad un monitoraggio rigoroso, perché se nei fatti si verificasse l’elusione sistematica di quella disposizione, noi dovremmo sollevare il problema della incompatibilità strutturale tra la legge 194 e il processo farmacologico”. Nel frattempo l’opposizione, nella figura di Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera replica: “ Quanto accaduto in Senato è un grave atto di imperio della politica su una scelta che dovrebbe essere esclusivamente tecnica e scientifica. La furia oscurantista della maggioranza blocca la commercializzazione di un medicinale già utilizzato da milioni di donne, da molti anni. La procedura seguita fin qui dall’Aifa è stata corretta, tutti gli aspetti dell’adozione del farmaco sono stati valutati, compresa la compatibilità con la legge 194. Ma ancora una volta la violenza dell’ideologia prevale sulla valutazione scientifica, il tutto sulla pelle delle donne. C’è da immaginarsi come tutto questo apparirà incomprensibile negli altri paesi europei dove da anni le donne possono liberamente utilizzare questo farmaco e nessuno pensa di impedirglielo”. Il metodo farmacologico per l’interruzione della gravidanza è divenuto un’alternativa alla tecnica chirurgica con l’introduzione delle prostaglandine negli anni ‘70 e degli antagonisti del progesterone negli anni ‘80. (5)
Le donne intenzionate ad interrompere una gravidanza possono scegliere fra due procedure: quella chirurgica, che prevede ricovero, anestesia e intervento da effettuare entro le 12 settimane di gestazione, e quella farmacologica, che consiste nella somministrazione della pillola RU486 a base di mifepristone, entro sette settimane di gravidanza. Accertata la gravidanza a mezzo di esame ecografico, accertato il tempo di gestazione inferiore alle sette settimane, in regime ospedaliero viene somministrata la pillola RU486 che blocca i recettori del progesterone (ormone necessario a sostenere la crescita dell’embrione) sulla mucosa e sulla muscolatura dell’utero, favorendone la dilatazione del collo dell’utero. Sicuramente occorre fare chiarezza e distinguere la pillola abortiva RU486, che per via di un meccanismo inibitorio ormonale arresta una gravidanza in corso, “dalla pillola del giorno dopo” che, invece, impedisce, se presa entro 72 da un rapporto “a rischio”, la fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo o, se questa è già avvenuta, l’impianto dell’embrione. Il CHMP (European Committee for Medicinal Products for Human Use) ha considerato positivo il rapporto rischio/beneficio dei medicinali contenenti Mifepristone nell’indicazione interruzione medica della gravidanza intrauterina in regime sequenziale con un analogo della prostaglandina fino al 63° giorno di amenorrea. (6)
Ma noi continuiamo a seguire il dibattito che si focalizza, almeno in apparenza, alla verifica di compatibilità e di coerenza con i principi e i parametri di sicurezza posti dalla legge n. 194/78; “il ministro del Welfare, nel corso della sua audizione, ha tenuto a precisare che nel caso della RU486 le questioni tecniche, cioè le modalità di somministrazione, la sorveglianza su eventi avversi ed effetti collaterali, i dati epidemiologici e il “follow up”, sono strettamente intrecciate alla “questione politica fondamentale”, cioè il rispetto della legge 194; per tale disciplina normativa, l’aborto legalmente praticato dovrebbe avere sempre natura”terapeutica”, nei confronti della salute materna minacciata, anche in base alla sentenza n. 27 del 1975 della Corte costituzionale. Quanto alle prassi applicative, il ministro ha osservato come il metodo chimico, in tutti i Paesi in cui è stato introdotto, presenti “uno scarto tra l’uso stabilito nei protocolli e l’uso reale, la prassi medica concreta”, in quanto “procedura lunga, soggetta a più verifiche, e affidata in gran parte alla paziente”. Le garanzie di ospedalizzazione, la sorveglianza degli “eventi avversi” dopo l’assunzione, il consenso informato: questi i principali “punti fermi” che vanno salvaguardati.” (7)
Pare proprio che la paura converga sulla possibilità che l’utilizzo della RU486 “privatizzi” l’esperienza abortiva, contro il dettato della legge italiana che vuole che questa esperienza avvenga sotto la tutela pubblica. La “privatizzazione” dell’aborto condurrebbe, secondo i sostenitori della causa sfavorevole all’uso del medicamento, ad una sorta di comportamento lecito ed accettabile quando, invece, si persiste nell’azione criminalizzante, senza considerare quanto per le donne sia gravoso da tollerare: dietro un’apparente atteggiamento protezionistico orientato verso la salvaguardia delle donne, si nasconde la loro criminalizzazione. É vero che l’assunzione dei farmaci deve essere controllata dai tecnici, ma questo dovrebbe valere sempre, al di là di ogni discriminazione ideologica. Perché, ad esempio, non ci si infervora tanto dinanzi all’uso/abuso di psicofarmaci nei bambini?
Note:
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http://www.medicitalia.it/02it/notizia.asp?idpost=106281
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http://www.corriere.it/cronache/08_febbraio_26/pillola_abortiva_aifa_ae32008c-e4a2-11dc-9486-0003ba99c667.shtml)
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http://it.wikipedia.org/wiki/Mifepristone)
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http://it.wikipedia.org/wiki/Prostaglandine
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http://www.xapedia.it/ginecologia/show.php?a=13614&l=g&w=Gemeprost
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http://www.xapedia.it/ginecologia/show.php?a=14364&l=g&w=Gemeprost
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http://www.toscanaoggi.it/notizia_3.php?IDNotizia=12129&IDCategoria=206
Laureata in medicina e chirurgia si è da sempre occupata di disturbi del comportamento alimentare, prima quale esponente di un gruppo di ricerca universitario facente capo alla Clinica psichiatrica Universitaria P.Ottonello di Bologna e alla Div. di Endocrinologia dell'Osp. Maggiore -Pizzardi, a seguire ha fondato un'associazione medica (Assoc. Medica N.A.Di.R. www.mediconadir.it ) che ha voluto proseguire il lavoro di ricerca clinica inglobando i Dist. del comportamento alimentare nei Dist. di Relazione. Il lavoro di ricerca l'ha portata a proporre, sempre lavorando in equipe, un programma di prevenzione e cura attraverso un'azione di empowerment clinico spesso associato, in virtù dell'esperienza ventennale maturata in ambito multidisciplinare, a psicoterapia psicodinamica e ad interventi specialistici mirati.
Ha affrontato alcune missioni socio-sanitarie in Africa con MedicoN.A.Di.R., previo supporto tecnico acquisito c/o il Centro di Malattie Tropicali Don Calabria di Negrar (Vr). Tali missioni hanno contemplato anche la presenza di Pazienti in trattamento ed adeguatamente preparati dal punto di vista psico-fisico.
Il programma clinico svolto in associazione l'ha indotta ad ampliare la sfera cognitiva medica avvicinandola all'approccio informativo quale supporto indispensabile. Dirige la rivista Mediconadir dal 2004, è iscritta all'Elenco speciale dei Giornalisti dell'OdG dell'Emilia Romagna e collabora con Arcoiris Tv dal 2005 (videointerviste, testi a supporto di documenti informativi, introduzione di Pazienti in trattamento nel gruppo redazione che oggi fa capo all'Assoc. Cult. NADiRinforma, redazione di Bologna di Arcoiris Tv).