È Natale col sangue quello nei campi attorno a Moissala, in fondo al Ciad, al confine col Centrafrica. Allevatori e agricoltori si battono per il raccolto: i primi devastano i campi per nutrire le mandrie, i secondi difendono il loro miglio e la loro vita. Gli allevatori non lasciano tregua di notte e di giorno e così la guerra della terra si ripete imperterrita ogni anno nella regione del Barh Sara. È diventata ormai una tradizione. Delle peggiori. Del resto si tratta di una storia millenaria che la Bibbia ci ricorda bene fin dalle gesta di Caino, agricoltore che fa fuori suo fratello pastore Abele (Gen 4).
La nostra gente dorme nei campi minacciata dalle mandrie dei buoi che da un momento all’altro possono entrare nel campo e fare piazza pulita. Dorme per modo di dire. Bisogna vegliare e ora fa freddo, serve una coperta che non c’è o un fuoco che deve essere alimentato. E che non lascia tempo ad un sonno prolungato. A volte la forza della disperazione è accompagnata da qualche arma e il conflitto degenera in lotta per la vita. Feriti e, a volte, morti, si contano ogni anno. Questo è Natale? Alcuni finiscono in prigione, ma chi ha i soldi per pagare esce dopo solo pochi giorni. I contadini difendono a denti stretti l’unico modo di vivere che hanno… altrimenti è fame e un’altra e peggiore lotta. Quella per sopravvivere. Parlare loro di nonviolenza è doveroso anche se tremendamente difficile e profetico.
Ma Natale qui è così. Visto che è in ballo la loro vita, minacciata nel vivo. Dire loro che si devono denunciare le invasioni, chiedere i danni e si deve lavorare per la giustizia è quanto mai necessario anche se deve fare i conti con la realtà. Denunciare le ingiustizie alle autorità quasi non serve: i mandriani sono solo delle povere vittime al soldo di grandi proprietari di bestiame che stanno in capitale, seduti in Parlamento e in posti chiave. Quindi ogni protesta che arriva a loro cade nel vuoto. Così il Nord tiene in scacco il Sud. Ma chi difende i poveri e gli oppressi? Quale strada trovare per mettere fine a questa barbarie?
Dobbiamo, e lo stiamo facendo, parlare con le autorità che hanno il dovere di proteggere la popolazione. Ma ci dicono che il lavoro è impeccabile, che fanno del loro meglio. Parole di politici. Dobbiamo inseguire la strada della pressione internazionale… ma anche lì quanti potenti stanno facendo affari con il presidente e il suo entourage per il solo petrolio! La nostra sembra una lotta del piccolo Davide contro il gigante Golia… Ma non ci arrendiamo! Qui Natale non è poesia, presepi belli e pranzi sfarzosi. Qui è lotta per la vita. Nonviolenta, coraggiosa. Ma comunque lotta.
Certo si prova anche a tentare la normalità e la resistenza. La gente prova a far festa comunque. Qui sofferenza e gioia sono sorelle inseparabili. E per far festa sono degli specialisti. La gente nonostante tutto si riversa per le strade, canta e danza. Soprattutto il 25. Felici perché Natale è comunque la nascita di Gesù di Nazaret, amico dei poveri e loro liberatore. Al mattino la chiesa di Moissala si riempie. Le “filles danseuses” (le ragazzine danzanti) danzano lungo tutto il corso della celebrazione, i canti non finiscono più. La Messa può durare 3-4 ore e nessuno fa una piega. Anche perché chi ha fame esce e si compra qualcosa al mercato. Chi ha sete fa un salto al pozzo. Chi deve andare in bagno esce e si mette dietro un angolo. Con naturalezza. Per poi tornare e continuare a celebrare. Anche le piccole cappelline in mattoni cotti al sole e tetti in paglia dei villaggi si riempiono.
I cristiani dei villaggi attorno arrivano la sera della Vigilia a piedi presso la comunità che ha scelto di ospitarli. Si riuniscono per gruppi e celebrano assieme. Laddove non riusciamo ad arrivare per l’Eucarestia organizzano la Celebrazione della Parola. I nostri contadini laici, catechisti e leaders di comunità da una vita, preparano con il cuore omelia e tutto il resto. Ad animare ci pensa il coro, immancabile. Poi mettono assieme i soldi e preparano la festa. Ognuno sborsa qualche moneta e il gruzzolo aumenta. La forza dei poveri è davvero mettere insieme il poco che hanno. Il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci trova qui una sua bella concretizzazione (Mc 6, 30-44). Riescono a comprarsi un agnello.
Poi si dividono in gruppi di 6-7 persone, si lavano le mani (rigorosamente con acqua senza sapone) e fanno la preghiera tutti assieme. Quindi all’attacco con le mani. Dell’agnello, ben cucinato e ridotto a salsa, e della polenta di manioca o di miglio. Preparata nel grande pentolone che appoggia su tre mattoni cotti al sole. Sotto la legna che serve per cucinare. Basta poco alla nostra gente. Le pretese sono poche. Niente piatti, bicchieri, tovaglie e posate. Il tutto diventa allora vera festa di famiglia… ma all’africana e quindi allargata. Fino a comprendere tutta la comunità cristiana. Non si resta molto a tavola, anche perché la tavola non esiste e si mangia in ginocchio. E poi ci sono gli allevatori nei campi che minacciano. Di festoso oltre la compagnia c’è la carne.
Il resto è cosa di tutti i giorni. Quindi tutti (tranne i bambini anche se il fenomeno comincia tristemente a coinvolgerli!) al “cabaret” attorno al pentolone di bili-bili, tipica bevanda tradizionale a base di miglio fermentato. Un vero luogo di socializzazione non solo di ubriacature. Là si parlano, si raccontano la giornata, si scambiano idee e punti di vista. Là il tempo è azzerato: possono restare ore e ore a raccontarsi la vita senza che sia mai troppo tardi. Certo spesso si esagera e si passa il limite. A Natale c’è chi risparmia (parola che non esiste nel vocabolario Mbay e nella prassi della gente!) per devastarsi con l’alcool. E molti giovani e giovanissimi ci sono dentro. Poi non si reggono e il tutto degenera.
Ma chi sta ancora in piedi torna di nuovo per le strade a festeggiare. Finche ce n’é. Insieme ai piccoli, che non essendo passati ancora per il cabaret (per fortuna!) si divertono come matti correndo e facendo girare con un bastone vecchie carcasse di ruote in ferro arrugginite o anche pentolini. Basta che ruotino ed è già festa. Il loro unico giocattolo, del giorno di Natale e di ogni giorno, artigianale, autoprodotto. Sperando che nel frattempo gli allevatori, dopo avergli rubato il cibo, non gli portino via anche quello.
Filippo Ivardi Ganapini è un giovane missionario comboniano. Opera nella missione cattolica di Moissala, Ciad meridionale.