Un giornale di annunci. Free press che passa di mano in mano tra viaggiatori in attesa del primo bus. Una lettura distratta alle inserizioni raccolte sotto l’etichetta “lavoro cercasi” basta per percepire i segnali di un cambiamento. Tra il succedersi di messaggi di persone che si offrono come badanti, c’è un numero inusualmente alto di signore italiane. Addirittura ragazze fresche di diploma.
Nasce così una piccola inchiesta per capire se questo lungo periodo di crisi abbia indotto le famiglie ad improvvisare ammortizzatori economici in settori prima quasi disdegnati, portando le donne italiane sul mercato dei lavori “socialmente più umili”, quelli che fino a poco tempo fa solo gli stranieri erano disposti a fare.
Siamo a Bologna, città fra le più importanti d’Italia e discreto crogiuolo di culture ed arriviamo a CasaBase, un’agenzia di intermediazione che si occupa anche di far incontrare domanda ed offerta nel ramo dei servizi alla casa ed alla persona. Qua giungono le richieste di assistenza per anziani bisognosi di cure così come le lavoratrici pronte ad accettare posti come badanti. Le parti vengono fatte incontrare, informate sulle normative vigenti e seguite nella stipulazione di regolari contratti. Insomma un buon osservatorio per capire se la nostra intuizione è fondata.
Incontriamo l’avvocato Alessandro Erriquez, esperto della materia, e gli chiediamo informazioni a partire dalle statistiche regionali che CasaBase stessa aggiorna.
Signor Erriquez, negli ultimi mesi è aumentato il numero di badanti di origine italiana?
Dunque, premettendo che questo è un lavoro dove gli italiani da anni ricoprono quote marginali, bisogna fare un distinguo tra numero di persone assunte e gente in cerca di occupazione. Se in due anni infatti il numero dei contratti, pur in aumento, non è riuscito a superare il 2%, solo negli ultimi due mesi la percentuale di aspiranti badanti italiane è raddoppiata, passando dal 3% al 6%.
Quindi sono raddoppiate le italiane che cercano lavoro in questo settore, ma non si sono parimenti moltiplicati le assunzioni, esatto?
Esatto.
Sfogliando le inserzioni, le signore sembrano sfoggiare la loro “italianità” come garanzia di un valore aggiunto al servizio che offrono. Le italiane chiedono condizioni lavorative e retributive diverse dalle straniere? E se sì, crede che sia in virtù della loro nazionalità?
Non so se nelle intenzioni di chi si propone ci sia questo convincimento, tuttavia le italiane spesso si prestano per mansioni diverse rispetto alle straniere, servizi più leggeri e più brevi, spesso inerenti alla compagnia piuttosto che all’assistenza totale. Attività per le quali cercano di contrattare retribuizioni orarie un poco più alte.
L’ultima indagine nazionale del Censis, pubblicata nel luglio 2010, rileva che le italiane percepiscono paghe orarie maggiori delle straniere. Dalla sua considerazione sembra di capire che sia perché si propongono per servizi differenti con diversa forza contrattuale: se sono le straniere a restare al fianco dei nostri anziani non-autosufficienti giorno e notte, le italiane svolgono turni molto più brevi a sostegno di persone ancora abbastanza indipendenti e per questo impiego, più saltuario e per cui le lavoratrici restano sganciate dalla famiglia dei datori, sono accordati compensi maggiori. Esatto?
Giusto. Direi quindi che la nazionalità va ad incidere sulle condizioni in cui le donne – in primo luogo – si trovano a vivere, che influiscono a loro volta sulle esigenze di impiego. Le straniere infatti sono vincolate alla ricerca di un alloggio e di un lavoro quali precondizioni imposte dalla Bossi-Fini per il rilascio del permesso di soggiorno. Questo le spinge a cercar lavoro nelle case di anziani non-autosufficienti perché quest’occupazione, perquanto dura, permette loro di risolvere un doppio problema Così, mosse anche dalla scarsità di alternative, accettano di prestare servizio 24 ore su 24, 6 giorni a settimana per uno stipendio che si aggira intorno alle 1000-1100 euro nette al mese.
Le donne italiane invece non solo hanno una casa dove stare, quella in cui vivono con al famiglia, ma non sono neppure disposte a lasciarla per giorni e notti interi. Quindi si propongono per servizi più corti e leggeri per lo più al fianco di anziani ancora autosufficienti e – come tutti i lavoratori che non hanno bisogno di vitto e alloggio – chiedono una retribuzione oraria un po’ più alta.
Tuttavia non tutte le italiane che si propongono per queste mansioni trovano assunzione. Perché?
Be’, di solito le persone che decidono di cercare una badante si trovano con l’acqua alla gola, con parenti anziani che non sono più in grado di stare da soli, bisognosi di assistensa continua… La richiesta verte quindi su persone disponibili tutto il giorno e pronte a far da sentinella anche durante la notte e questo è il profilo delle lavoratrici straniere. I servizi offerti dalle italiane sembrano incontrare meno domanda. E poi c’è il lavoro nero.
Crede cioè che le italiane occupino ampie fette del mercato sommerso?
È probabile. A differenza delle straniere, che come ho detto hanno bisogno del contratto per vivere qui, le italiane hanno meno necessità di essere regolari, si pensa quindi che vadano a prestar servizio in nero, spesso accumulando più ore lavorate tra famiglie diverse.
Le statistiche nazionali del Censis mostrano una tendenza all’irregolarità molto più alta tra le italiane che tra le straniere, pari al 53,9% contro il 34,7%. Dal vostro osservatorio, riuscite a fare una stima delle badanti italiane che lavorano in nero?
In generale, il sommerso resta tale per definizione. Questo settore inoltre sfugge ancor più ai controlli perché resta nascosto tra le mura domestiche ed è quasi impossibile penetrare nei contesti famigliari. Plausibilmente però, dato che le donne che cercano impiego in queste attività stanno aumentando anche sul mercato regolare, si può pensare il loro numero stia salendo in modo ancor più forte nel mercato nero in cui – anche in virtù della mancanza di burocrazia – si crede sia più facile avere accesso, sottovalutando la carenza di garanzie ed i rischi in cui si incorre.
Il panorama di donne italiane che si propongono come badanti dunque si sta ampliando e va prevalentemente a riversarsi nel mercato nero, dove spesso è più facile sentirsi in una condizione temporanea, un momento di passaggio in attesa che i tempi migliorino.
Può non esser balzano quindi affermare che crisi e disoccupazione stiano spingendo le donne italiane a cercare di tamponare le difficoltà economiche proponendosi per lavori nei quali, fino a poco tempo fa, avrebbero fatto fatica ad immaginarsi.
Giada Oliva, giornalista, si è occupata a lungo di Paesi in via di sviluppo e di cooperazione internazionale. Attualmente lavora nell'ambito della comunicazione politica e continua a seguire ciò che accade dall'altra parte del pianeta.