Figura sempre più centrale del tessuto sociale del nostro paese, spina dorsale del welfare fai da te e sostegno cruciale per una popolazione che invecchia, il collaboratore domestico costituisce ormai una presenza stabile in moltissime case italiane. Secondo l’ultima indagine del Censis, condotta sul territorio nazionale, sono 2 milioni 412 mila le famiglie che ricorrono ai servizi dei collaboratori domestici e che hanno contribuito in questi ultimi anni alla crescita esponenziale di questa tipologia di lavoratori regolari arrivati, nel 2009, a quota 1 milione 538 mila, cresciuti anche per l’effetto regolarizzazione di 50 mila unità rispetto al 2008.
Donna, giovane, immigrata: è questo il profilo del lavoratore domestico che emerge dalla ricerca del Censis su un campione di 997 lavoratori.
Il 71,6% dei collaboratori è infatti straniero, proveniente in prevalenza dall’Europa dell’Est, Romania (19,4%), Ucraina (10,4%), Polonia (7,7%) e Moldavia (6,2%), ma sono numerosi anche i Filippini (9%). Più di 8 collaboratori su 10 sono donne, presenza che si mantiene costante sia tra gli italiani che tra gli stranieri, mentre con riferimento all’età, emerge un profilo piuttosto giovane soprattutto tra la componente straniera: il 15,8% ha meno di 30 anni, il 51,4% meno di 40 (tra gli stranieri la percentuale sale al 57,3% contro il 36,5% degli italiani) e soltanto il 17,5% è al di sopra dei 50.
Rispetto al titolo di studio colpisce la presenza di lavoratori in possesso di un buon livello di istruzione, anche con qualche punta di eccellenza: il 5,6% ha una laurea e il 33,6% un diploma superiore. È ancora una volta tra gli stranieri che si evidenziano le caratteristiche più interessanti, tanto che questi si dimostrano più istruiti dei loro colleghi italiani: il 37,6% possiede un diploma di istruzione superiore e il 6,8% una laurea (rispettivamente contro il 23,2% e il 2,5% degli italiani).
Sebbene la cui capacità contrattuale sia andata crescendo anche grazie alla massiccia crescita della domanda di lavoro da parte delle famiglie, il mercato risulta però ancora lontano dal riconoscere e apprezzare anche economicamente la crescita di professionalità di colf e badanti.
Analizzando le entrate nette mensili derivanti dal lavoro svolto, infatti, il panorama appare abbastanza articolato. Se la maggioranza si colloca sotto la soglia dei 1.000 euro netti al mese – il 22,9% guadagna meno di 600 euro, il 20,2% da 600 a 800 euro netti al mese, il 24,5% tra 800 e 1000 ‐ vi è una fetta consistente, il 32,4%, che sta sopra la soglia dei 1.000 euro, e di questi, il 14,6% supera i 1.200 netti al mese.
Gli stranieri guadagnano all’ora mediamente un euro in meno degli italiani (6,83€ contro 7,81€), il che deriva in primo luogo dalla differenza di mansioni svolte: disposte a passare giorno e notte al fianco dei nostri anziani le straniere ricevono compensi orari inferiori in cambio di vitto ed alloggio. Sotto il profilo contrattuale, l’irregolarità continua comunque a rappresentare una condizione estremamente diffusa. Malgrado le recenti sanatorie varate far affiorare l’occupazione del settore – che con l’intervento del settembre 2009 hanno fatto emergere circa 300 mila lavoratori – la maggioranza dei collaboratori domestici continua a lavorare in condizioni di semi o totale irregolarità.
Tra gli intervistati infatti, addirittura il 39,8% dichiara di essere totalmente irregolare mentre si attestano al 22% coloro che si districano in una giungla fatta di rapporti a volte regolari, altre no, o rispetto ai quali vengono versati contributi per un orario inferiore a quello effettivamente lavorato. A fronte di questa maggioranza, pari complessivamente al 61,8%, c’è invece un 38,2% che dichiara essere totalmente in regola.
Volendo calcolare quanto ciò incide in termini di evasione fiscale, si consideri che su cento ore di lavoro, sono soltanto 42,4 quelle per cui vengono effettivamente versati i contributi; il che significa che quasi 6 ore di lavoro su dieci risultano prive di qualsiasi forma di copertura previdenziale.
Tra le variabili che influenzano la condizione di regolarità del rapporto, non vanno trascurate anche quelle legate alle caratteristiche anagrafiche dei lavoratori. Infatti, il fenomeno dell’irregolarità colpisce maggiormente le lavoratrici giovani (è completamente irregolare il 56,3% dei giovani sotto i 30 anni) ed inesperte (48% dei lavoratori con meno di quattro anni di anzianità, ben al di sopra del 30% di chi ne ha almeno dieci).
Inoltre, sono le italiane ad essere maggiormente coinvolte nel fenomeno: lavora infatti completamente in nero il 34,7% degli stranieri e il 53,9% degli italiani. Dato questo che risente del fatto che tra gli italiani vi sono molti più donne che tendono a svolgere il lavoro domestico al servizio per più famiglie e soprattutto a viverla come un’attività secondaria, se non addirittura transitoria, strumento per tamponare la crisi. Il che comporta più frequentemente la tendenza ad accomodarsi su accordi retributivi informali che più o meno possano soddisfare entrambe le parti, lasciandole svincolate dagli obblighi, ma anche dai diritti che un regolare contratto porrebbe in essere.
Giada Oliva, giornalista, si è occupata a lungo di Paesi in via di sviluppo e di cooperazione internazionale. Attualmente lavora nell'ambito della comunicazione politica e continua a seguire ciò che accade dall'altra parte del pianeta.