PECHINO – Con volti dolci da eterne fanciulle, timide e sensibilissime al tempo stesso, dotate di una devozione orientale che molte donne in Occidente hanno dimenticato, le donne rappresentano in Cina una porzione demografica totale di almeno seicentocinquanta milioni, e il loro sviluppo sociale dovrebbero essere al centro dell’attenzione di chi pianifica lo sviluppo della Cina, o di chi lo osserva dall’esterno. Purtroppo la condizione della donna è spesso – e con incredibili differenze – arretrata, in un paese che da potenza finanziaria mondiale si appresta a diventare anche centro di ispirazione culturale.
Vestite in abiti eleganti e avvolte da sensuali profumi, a spasso per i centri commerciali di Pechino o Shanghai, o vestite in sudici abiti da lavoro e segnate sul viso da una vita di lavori massacranti, le donne godono, almeno formalmente, degli stessi diritti degli uomini, e le ingiustizie domestiche della Cina di “Lanterne Rosse” sembrano totalmente scomparse sotto il peso dello sviluppo industriale e culturale del ventesimo secolo. Il partito comunista fin dagli anni della guerra civile ha fatto dell’emancipazione della donna uno dei punti di forza della sua campagna per conquistare il favore della popolazione e garantirne lo sviluppo sociale. Anche oggi le donne sono celebrate dal partito come parte fondamentale della popolazione, ed elemento necessario per la costruzione di una “società armoniosa”.
Nelle grandi città le donne hanno accesso ad ambiziose realtà professionali, possono far carriera, e godono spesso di capacità manageriali che gran parte degli uomini neanche si sognano. Non sorprende che molti dei ristoranti di maggior successo siano gestiti da donne. Le università londinesi da cui sono passato (soprattutto le università Usa) sono piene di studentesse cinesi che, una volta tornate in patria, cominciano a far carriera in banche, multinazionali o istituti legali a Pechino, Shanghai o Shenzhen. Allo stesso tempo nella fredda e grigia desolazione dell’Heilongjiang i migliori ristoranti o i negozi di alimentari più forniti sono gestiti da donne dotate di un sorprendente senso affaristico.
Eppure, la donna incontra ancora spesso difficili situazioni di inferiorità e discriminazione. Il partito, che con un comitato centrale e cariche governative locali dominate da un sesso maschile della terza età, dimostra i limiti dell’emancipazione femminile maoista, sembrando di non essere in grado (ancorché perseguendolo formalmente) di arrestare i soprusi sulle donne tra le mura domestiche, tanto nelle campagne quanto in aree urbane. In una società dominata dagli uomini, non sorprende che molti matrimoni vengano ancora combinati tra amici e conoscenti. In qualche città può capitare di incontrare la domenica nei parchi pubblici gruppi di uomini che negoziano il destino matrimoniale delle proprie figlie.
Forse la tragica realtà di donne vendute come schiave nelle campagne del Shaanxi, fotografata con stile neorealista nel film “Mang Shan” (Blind Mountain, 2007), non è rappresentativa della cultura cinese contemporanea, né della vita della stragrande maggioranza delle province più ricche sulla costa, ma suona certo come un campanello d’allarme per un problema sociale in un paese che si prepara a esercitare un’influenza culturale sempre più forte (oggi il cinese è la prima lingua straniera insegnata nelle scuole americane, superando anche lo spagnolo).
Nella Cina contemporanea il ruolo della donna è simile a quello rivestito nella Cina antica, e funzionale al mantenimento dell’ordine sociale. Socialmente, la donna deve sempre seguire il volere dei genitori, dei fratelli o dei mariti, sposandosi giovanissima (anche se l’età si è spostata verso l’alto), mettendo al mondo un figlio (o più, se consentito), e rimanendo a guardia della casa e dei genitori anziani, vivendo a volte (capita spesso) separate dai mariti per ragioni lavorative. Mariti i quali, spesso costretti a vivere in un’altra città per esigenze lavorative, si costruiscono relazioni extra-coniugali (ufficialmente bandite), condannando le proprie mogli a una vita di solitudine e bugie. Mi è anche capitato di vedere (anche se – ci tengo a sottolinearlo – non spesso), donne prese a schiaffi dai rispettivi compagni, e la cosa che più disturba è che si trattava di studenti universitari ventenni. Le università di terza categoria (la peggiore) sono poi popolate in prevalenza da ragazze che, per una complessa serie di meccanismi familiari e sociali, si ritrovano ad avere un accesso più difficile all’educazione.
Per gli stessi principi di stabilità culturale, la prostituzione viene combattuta senza tregua, ma con ipocrisia, come elemento che rischia di danneggiare l’ordine sociale e i valori tradizionali cinesi. Ci si potrebbe pero’ chiedere chi, nella Cina di oggi, ha davvero i soldi per permettersi i prezzi delle squillo di lusso o le camere di albergo a cinque stelle con massaggi erotici, che sembrano essere i soli posti che sfuggono al controllo delle autorità.
Il pregiudizio sulle donne cinesi che si legano agli Occidentali è ancora troppo forte in un paese che vuole diventare il faro globale del ventunesimo secolo. Se molte delle occhiate rivolte sono solo sguardi d’invidia, in molti altri casi celano una ostile disapprovazione. La donna in Cina, per quanto fondamento della società stessa, è spesso discriminata e trattata con inferiorità dietro la logica sacralizzata dell’eredità culturale confuciana. Le donne che lavorano nei karaoke o nei locali notturni (strip club e bordelli sono illegali in Cina) vengono schedate dalla polizia e tenute in archivio come possibili vittime della trappola della prostituzione. Triste la vicenda di Meili, e forse molte altre come lei, prelevata dalla polizia in una camera d’albergo con il compagno e interrogata per ore per il sospetto di essere una squillo, legato soltanto al fatto di aver lavorato in un karaoke alcuni anni addietro.
Autorità che spesso mentono ai loro stessi cittadini, instillando timori o false credenze, come quella (assai ridicola, per chi ha dimestichezza con la vita della gioventù cinese), sentita con le mie orecchie, secondo cui i rapporti sessuali in Cina sarebbero proibiti in una coppia non sposata. Neanche nella Repubblica Islamica d’Iran, a meno di non voler far regredire la Cina verso un regno del terrore dei pasdaren (“ren” significa “persona” in mandarino). Gli studenti universitari dormono in giganteschi dormitori con camerate da 6/8 persone, e per le numerose coppie di giovani l’unico modo per avere un po’ di intimità è affittando una camera d’albergo nei fine settimana. Rapporti occasionali certo esistono, e non solo nelle grandi città, dove i costumi dei giovani sono più simili a quelli occidentali rispetto alle piccole realtà di periferia. Le scuole superiori, dove si può essere puniti per il semplice fatto di tenersi per mano, sono un luogo dove molti adolescenti, sfidando le rigide regole educative confuciane, hanno le loro prime esperienze sessuali, benché spesso deludenti, tristi o sporche.
In un universo culturale dove il peso della comunità schiaccia in modo soffocante l’individualità della persona, e dove tutto va valutato in termini demografici, la donna è semplicemente un elemento necessario per costruire socialmente la vita di un uomo. Necessario per realizzare la “società armoniosa” obiettivo socialista ultimo del politburo. Sebbene non misogina, la società cinese è basata sull’obbedienza della donna all’uomo, che negli equilibri familiari la vede costretta a privarsi delle stesse libertà professionali e sociali che a lui spettano. Alcune eccezioni forse si trovano solo tra le giovani delle grandi città, se fortunate abbastanza da poterselo permettere (la libertà purtroppo ha un prezzo), senza doversi legare a uomini che nelle campagne sono spesso alcolizzati o maneschi. Non sorprende che le donne cinesi si innamorino perdutamente delle maniere raffinate e del modo gentile con cui vengono trattate da (certo non tutti) gli Occidentali.
Viene dunque spontaneo chiedersi se la Cina del ventunesimo secolo, un paese da 1.3 miliardi di abitanti il cui orgoglio culturale e nazionalista cresce con la stessa intensità del suo PIL, tenga davvero lo sviluppo sociale al centro delle sue priorità. Il ruolo della donna dovrebbe essere migliorato, soprattutto se la Cina vedrà accrescere la sua influenza culturale sull’Occidente, e la popolazione cinese verrà esposta sempre più al contatto con il mondo esterno. Forse, solo allora l’universo femminile mandarino potrà emanciparsi del tutto…
Emanuele Scansani ha studiato scienze politiche internazionali dell'ex-URSS a Bologna e, in Gran Bretagna, a UCL e LSE, specializzandosi sui conflitti nei paesi comunisti e post-comunisti. Emanuele lavora al momento in Cina come Lecturer alla Harbin Normal University, nella Heilongjiang province.