Non avevo una buona sensazione. Razionalmente mi dicevo che sarebbe prevalso il buonsenso, ma l’istinto mi faceva temere il prevalere della paura. Assurda e immotivata, ma ben presente anche nella ricca Svizzera. La paura della diversità, della contaminazione, della perdita della propria identità. A guardar bene di motivi reali non ne esistevano: in tutta la Confederazione Elvetica ci sono – dicono tutti i quotidiani – solo 4 (quattro!) minareti e nessuno di essi viene usato per chiamare a preghiera i fedeli. Sono lì come i campanili cristiani e le torri laiche, senza peraltro far rumore, senza imporre nulla a nessuno. Esistono anche 200 moschee per una comunità islamica che è pari al 5% della popolazione (una ogni 1700 fedeli), una comunità ben integrata socialmente ed economicamente, si diceva fino a ieri. Ma ora gli Svizzeri hanno scelto di cancellarli dal paesaggio. Quei pochi esistenti non verranno abbattuti, si spera, ma di nuovi non ne verranno edificati. Verboten, interdit, vietato. Come le chiese e i campanili cristiani in alcuni paesi arabi, dicono alcuni per giustificarsi, peraltro dimenticando che la tolleranza religiosa è un principio fondamentale degli stati democratici, uno dei principi che l’Occidente pretende d’insegnare al mondo.
Niente nuovi minareti, dunque. Un problema risolto, pensa qualche sprovveduto. Al contrario, io credo che nuovi problemi avanzino. Perché – come non mi stancherò di ripetere – giocare coi simboli è sempre pericoloso. Il divieto dei minareti determinerà tensioni tra gli islamici, svizzeri e non, e il resto della popolazione, animerà gli estremisti sui due versanti ad alzare il livello dello scontro. Dopo i minareti potrebbe essere “logico” vietare le moschee e – perché no? – anche il professare la religione islamica. Non è difficile inmaginare che l’odio e l’intolleranza che questo voto esprime si riverseranno prima o poi anche su chi quel voto ha voluto. Spero di non essere un facile profeta, ma temo una spirale della stupidità.
A proposito… in questo panorama non potevano mancare le provocazioni leghiste. Roberto Castelli-in-aria ha voluto essere il primo a vaneggiare pubblicamente interpretando il voto elvetico come un passo verso le Crociate:
“Ancora una volta dagli svizzeri ci viene una lezione di civiltà. Il messaggio, che arriva soprattutto a noi che viviamo vicini a questa terra, è forte. Occorre un segnale forte per battere l’ideologia massonica e filoislamica che purtroppo attraversa anche le forze alleate della Lega. Credo che la Lega Nord possa e debba nel prossimo disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l’inserimento della croce nella bandiera italiana.”
Il delirio leghista si rivela in queste occasioni per quello che è: non solo una pagliacciata, ma un pericolo per la democrazia, per la convivenza e coesione sociale, per le stesse libertà fondamentali. Castelli-in-aria (ma non era un fautore della fantomatica Padania?) pretende oggi la croce sulle bandiere italiane, senza specificare quale debba essere il tipo di croce da lui desiderato. Spero solo che domani non proponga di mettere una mezzaluna verde sui vestiti degli islamici e dopodomani di internarli in qualche luogo protetto.
(Dal 15 dicembre sarà ondine in Germania un sito denominato www.aussorgeumitalien.de – Aus Sorge um Italien significa più o meno “preoccupati per l’Italia”. L’ho creato insieme ad alcuni amici italiani e tedeschi per sensibilizzare almeno una piccola parte dell’opinione pubblica tedesca sul pericolo per la democrazia europea di certe tendenze della politica italiana. Sito aperto a persone della cultura, delle scienze, della politica e del sindacato che condividano questa preoccupazione)
Antonio Umberto Riccò, ex dirigente scolastico, si è occupato per molti
anni della scolarizzazione dei figli di emigrati italiani in Germania
Hannover. Cura con altri amici il sito www.aussorgeumitalien.de. Ha
pubblicato presso l'editrice alpha beta di Merano i romanzi "Biscotti al
cardamomo" (sui profughi afgani in Italia, 2009) e "C'era in Germania un
Girasole" (sulla dittatura nella Germania Orientale, sett. 2010). Web:
www.antonioricco.it e www.antonioricco.eu