Il 16 luglio 1782, al Burgtheater di Vienna, va in scena un Singspiel, intitolato “Die Entfürung aus dem Serail”. L’autore della musica è il ventiseienne Wolfgang Amadeus Mozart da Salisburgo. La vicenda narra d’una giovane spagnola, Konstanze, che insieme alla sua cameriera, Blonde, è nelle mani di Selim Pascià. Il suo fidanzato Belmonte vorrebbe liberarla per ricondurla in Occidente, ma non sa come fare. Dopo tre atti di parole e musica, Selim, il turco buono, rendendosi conto che Konstanze non l’ama, concede a lei e alla cameriera la libertà e perdona Belmonte ed il giannizzero Petriglio che han tramato alle sue spalle, risparmiando loro la vita.
L’opera, perciò, si conclude nel gaudio generale.
L’Austria, così come l’Europa, non ha più paura dei Turchi e l’assedio di Vienna di soli cent’anni prima è un incubo ormai lontano.
IL TRAMONTO – L’Impero ottomano è ormai entrato nella sua fase discendente e tutto l’Ottocento è caratterizzato da continui smembramenti del vasto territorio e falliti tentativi di riforma dello stato in cui l’elemento turco è ben distinto dalle altre componenti etniche e religiose che lo compongono.
I primi ad andare per la loro strada, non senza sofferenze, sono i Greci, seguiti dagli altri popoli balcanici: serbi, romeni, bulgari.
Poi anche il Nord Africa, investito dall’imperialismo europeo abbandona Istanbul.
Il Sultano rimane un leader religioso perché concentra nella sua persona,oltre al ruolo politico, anche il titolo di Califfo, ossia “principe dei Credenti”.
Si arriva, così alla Prima Guerra Mondiale: la Sublime Porta s’allea con gl’imperi centrali (Austria-Ungheria e Germania) e, quando la guerra finisce paga a caro prezzo le conseguenze della sconfitta: il trattato di Sèvres (1920) decreta la definitiva dissoluzione dell’impero ed assegna al Sultano il governo dell’Anatolia e della Tracia Orientale. La susseguente guerra coi Greci fa emergere la spaccatura tra il monarca e l’esercito che riesce a difendere la parte europea dall’attacco ellenico che vorrebbe reimpossessarsi di Costantinopoli.
LA REPUBBLICA – Di conseguenza, il 29 ottobre 1923 il governo repubblicano insediato ad Ankara fa deporre l’ultimo sovrano Maometto VI E proclama la Repubblica.
A capo dell’esecutivo vi è un brillante ufficiale dell’esercito che ha contribuito notevolmente alla vittoria sui Greci ed alla salvezza della Turchia europea.
Si chiama Mustafa Kemal (1881-1938): più tardi ribattezzato Atatürk, ossia “Padre dei Turchi”.
Nei 15 anni del suo governo il Paese è rivoltato come un calzino: è varata una costituzione semidemocratica, riorganizzato il bilancio dello Stato, l’esercito, la legislazione penale e civile; Lo Stato e la religione musulmana son rigorosamente separati.
Alfabeto, lingua, cognomi, abbigliamento… Nulla sfugge allo zelo riformatore del “Padre dei Turchi”. Il Paese non partecipa alla Seconda Guerra Mondiale; nel ’45 è uno dei fondatori dell’ONU e più tardi entra nella NATO.
IL DOPO ATATÜRK – I suoi successori s’assegnano il compito di seguire la via tracciata dal leader riformatore.
Il ruolo di sentinella del kemalismo se l’assume, in primo luogo, l’esercito che non esita a prendere il potere con la forza tutte le volte che riterrà in pericolo o la laicità dello Stato o la sua unità; in secondo, il partito fondato da Kemal, denominato Repubblicano del popolo, che governerà per molti anni.
I FANTASMI DI ANKARA – Si può dire che tre siano le grandi ossessioni che affliggono la Turchia di oggi:
1. d’esser visto come uno Stato musulmano;
2. d’esser diviso al suo interno in tante componenti etnico-religiose.
3. d’esser considerato un Paese asiatico
MUSULMANI O LAICI – Chiunque faccia un viaggio, anche di pochi giorni in turchia, in particolare ad Istanbul s’accorge che la religione musulmana è presente nella società, non solo perché cinque volte al giorno s’odono i Muezin invitare i credenti alla preghiera, ma perché molti sono di fede musulmana e ne seguono i dettami. In pari tempo, altri vivono come qualunque europeo, seguendo altre scadenze ed altre regole.
Costoro ci tengono, nelle conversazioni private a farti sapere che la turchia è un Paese laico, dove la religione è rigorosamente separata dalla politica e dall’economia.
Poi, com’è avvenuto nel 2003 e nel 2007, l’AKP, il partito della Giustizia e dello Sviluppo, islamico-moderato, guidato dall’ex sindaco di Istanbul R. T. Erdogan, fa man bassa di voti e s’insedia al governo.
Almeno per il momento, i guardiani del laicismo di Stato, di fronte ai milioni di voti raccolti da Erdogan, non se la son sentita di rovesciarlo, come avevano già fatto più volte in passato.
UNA E INDIVISIBILE – Ankara, nel nome di Atatürk ha praticato negli anni una politica di rigida turchizzazione, proibendo l’uso di lingue diverse da quella ufficiale. Tale politica ha duramente colpito la minoranza curda – circa 15 milioni di persone – che, fino a pochi anni fa non poteva esprimersi in pubblico con la propria lingua. E’, ad esempio, famoso il caso dell’On. Leila Zana, arrestata dopo che aveva pronunciato un discorso incurdo in Parlamento. Negli ultimi anni queste norme così restrittive sono state mitigate, ma la questione dello statuto giuridico delle minoranze etnico-religiose non è del tutto risolta.
Ankara, peraltro, considera un affronto qualunque riferimento ai periodici massacri di Armeni avvenuti tra XIX e XX secolo. Ciò in omaggio alla dottrina dell’unità nazionale per cui il Paese è indivisibile.
Fino a pochi anni fa lo strumento per reprimere ogni forma di dissenso era l’art. 301 del codice penale che puniva ogni uso ritenuto improprio della libertà di parola garantito dalla costituzione.
LA MEZZALUNA BIFRONTE – Ankara è stata una delle prime capitali visitate da Barack Obama subito dopo l’insediamento alla Casa bianca.
Fin dalla sua fondazione, la NATO ha avuto nella Turchia uno dei suoi membri più rilevanti: si pensi che il suo esercito è il più numeroso dopo quello degli Stati Uniti. Ankara è sempre stata per l’Occidente una pedina importante nel nevralgico scacchiere balcanico-mediorientale, tanto ai tempi dell’URSS, quanto oggi. In più, il Paese è territorio di passaggio d’importanti oleodotti e gasdotti che provengono dalla Federazione russa, dall’Iraq e dall’Iran e terminano nei suoi porti mediterranei.
All’indomani, poi, dell’11 settembre 2001, si è trovato in prima fila nei conflitti che han coinvolto tutta la regione fino all’Afghanistan. In omaggio, poi, all’ideologia del grande Turkestan, Ankara accarezza da lungo tempo il sogno d’esser un punto di riferimento per tutti gli Stati dell’Asia Centrale, nati dalla dissoluzione dell’URSS, che sono musulmani e utilizzano lingue imparentate col turco.
In questo complesso quadro si comprende come la Turchia sia un po’ bifronte: da un lato rivolta verso l’Asia e dall’altro coinvolta nella storia d’Europa.
VERSO L’EUROPA – La Turchia, però, per entrare nell’UE deve superare l’opposizione franco-tedesca e risolvere alcuni problemi.
CIPRO – Dal 1974, dopo un maldestro tentativo dei colonnelli greci d’incorporare nel loro stato l’isola, i Turchi l’hanno occupata e vi hanno creato un microstato riconosciuto solo da Ankara. Finora sono stati vani tutti i tentativi di risolvere il contenzioso, cosicché, quando nel 2004 lo Stato greco-cipriota è entrato nell’UE, la parte turca ne è rimasta fuori.
I GASTARBEITER – Sono almeno 3 milioni i lavoratori turchi che vivono in Germania e altri si trovano sparsi per il continente: Berlino teme che, con l’ingresso nell’UE altri ne arrivino e li si debba trattare come i lavoratori tedeschi.
LA DELOCALIZZAZIONE – Oggi la Turchia è luogo d’arrivo di numerose imprese europee che vi aprono fabbriche, sfruttando il basso costo della manodopera e gli orari di lavoro prolungati: là si lavora sette giorni su sette. Lo sciopero, inoltre, è raro perché le autorità lo ostacolano.
DEMOGRAFIA E ISLAM – L’Europa, inoltre, teme che i 75 milioni di turchi, quasi tutti musulmani, sbilancino l’assetto d’un’unione già traballante e scossa da tensioni islamofobe.
Tuttavia, la Turchia fa parte, e non da oggi, della storia del nostro continente e, prima o poi, ci dovremo fare i conti fino in fondo.
Link e bibliografia
Principali quotidiani turchi:
Hürriyet http://www.hurriyet.com.tr/english/home/
È un importante quotidiano turco. Il suo nome significa “La Libertà”, e il ritratto di Kemal Atatürk troneggia sulla prima pagina. Nato nel 1948, cerca di attirare un pubblico più largo. Al tempo stesso, vuole interessare lettori più esigenti con editoriali solidi e impegnati. E’ disponibile, anche, una pagina web in inglese.
Milliyet http://www.milliyet.com.tr/ Quotidiano a grande diffusione, laico e aperto, è uno dei più importanti quotidiani del Paese.
Cümhüriyet http://emedya.cumhuriyet.com.tr/ Quotidiano laico e di sinistra, in turco
Turkish Daily News http://www.turkishdailynews.com È un quotidiano turco in inglese. Pubblicato ad Ankara dal 1961, si rivolge soprattutto a lettori degli ambienti universitari e diplomatici.
The New Anatolian http://www.thenewanatolian.com/ Quotidiano in lingua inglese
Today’s Zaman http://www.todayszaman.com/tz-web/ Versione in inglese del quotidiano “Zaman”, vicino alle posizioni del partito islamico-moderato AKP
Tv e radio:
Turkish Radio and Television http://www.trtenglish.com/ E’ l’ente radiotelevisivo di Stato: produce quattro canali TV e tre radiofonici a diffusione nazionale.
Start TV http://www.startv.com.tr/ La prima stazione televisiva ad infrangere il monopolio statale.
Show TV http://www.showturk.tv/ Privata, una delle stazioni più seguite.
Kanal D http://www.kanald.com.tr/ Privata, molto seguita.
CNN Türk http://www.cnnturk.com/ Canale di notizie, in turco.
Anadolu News Agency http://www.anadoluajansi.com.tr/ E’ la principale agenzia di stampa turca con pagina web in inglese.
In libreria:
A. Biagini: Storia della Turchia contemporanea, Bompiani, 2001
M. Ottaviani: Cose da Turchi, Mursia, 2008
H. Borsarslan: La Turchia Contemporanea, Il Mulino, 2006
[dal n.38 della rivista “Il Mosaico”: www.ilmosaico.org]
Pier Luigi Giacomoni è un insegnante di Lettere. Nato a Ferrara, vive da anni a Bologna. Negli anni Ottanta a fatto parte di una ONG di Cooperazione Internazionale. Dal 1994 è iscritto all'associazione "Il Mosaico" e cura, per l'omonima rivista, la rubrica "Cittadini del Mondo" con articoli riguardanti le grandi questioni internazionali.