Damiano Tommasi
Nell’asfittico e imbalsamato mondo pallonaro, dove c’è il campionato più noioso del mondo, dove gli scudetti sono monopolio di quelle due o tre squadre del Nord Italia che hanno alle spalle i più ricchi gruppi industriale del paese, con una presenza esagerata di giocatori stranieri, ecco spuntare dal nulla una faccia nuova, pulita, giovane, quella di un ex-calciatore, Damiano Tommasi, che a nome di un sindacato calciatori minaccia uno sciopero che impedirebbe l’inizio regolare del campionato.
Le rivendicazioni sono assai limitate, riguardano la possibilità per i giocatori in mobilità di allenarsi con la prima squadra e di non essere trattati come scarti da rottamare. Non si tratta dunque di soldi, ma di dignità, e da questo valore si può sperare che nasca qualcosa di nuovo in grado di incrinare il sistema padronale affaristico, con i presidenti delle squadre e la Lega che dettano legge sui veri protagonisti che sono i calciatori, che potrebbero finalmente aprire gli occhi e rendersi conto che tutto il potere è potenzialmente nelle loro mani (pardon piedi).
Il calcio oggi non è uno sport, ma è la massima espressione del potere capitalista che si è impossessato anche dello sport, lo piega alle sue leggi del profitto, dell’onnipotenza del denaro, ci fa anche politica e affari, ed educa (diseduca) ai suoi valori milioni di giovani e appassionati, che diventano sudditi del principe che caccia i soldi, e se si presenta alle elezioni lo votano pure. Nulla oggi è più funzionale della gestione del calcio all’accettazione culturale della società capitalista in cui i vincitori sono sempre i più danarosi e per i perdenti c’è solo frustrazione e marginalità.
Tutte le cose però possono essere gestite in modo diametralmente opposto. Invece di una tratta di carne da pallone e la fabbricazione di sudditi del “principe” presidente, si potrebbe fare delle squadre di calcio e della loro gestione una palestra di democrazia, dove le squadre diventano “public company” autogestite dai tesserati, dai sostenitori, dai calciatori, dove le cariche sono elettive, e dove il patrimonio calciatori si fabbrica in casa, facendo di ogni società sportiva una scuola di calcio.
La fine della immigrazione di calciatori stranieri per legge, con conseguente fine del mercato, restituirebbe questo sport agli appassionati e ai tesserati dove il denaro non sarebbe più decisivo per vincere il campionato, e il campanilismo per giocatori e squadra creati nella propria città avrebbe un senso, ben diverso dall’odierno tifare per una SPA. Se i calciatori volessero iniziare un percorso nuovo con questo segno, hanno il POTERE REALE di realizzarlo, perché soltanto loro scendono in campo e possono farlo da primi attori, pensanti, e non da comparse un tanto al chilo.
La faccia pulita di Tommasi mi ha fatto ripensare a questi miei sogni nel cassetto, e forse nel declino globale del capitalismo, e delle porcherie che produce, può esserci uno spazio per ripensare le cose e avvicinarsi all’etica, alla democrazia, al vero spirito sportivo, buttando nel cesso sultani, intrallazzatori e l’onnipotenza del denaro.
Paolo De Gregorio, nato a Roma, ha lasciato l'attività professionale e la grande città: oggi abita in Sardegna, dove ha realizzato un orto biologico. Partecipa alla vita politica e sociale pubblicando on line riflessioni e proposte.