Caro Domani, l’Italia del calcio non solo imbroglia, ma sprofonda nei conti in rosso: chi pagherà il miliardo di debiti per ingaggi e altre spese folli?
02-06-2011
di
Marco Comanducci, insegnante in pensione, provincia di Perugia
Come tifoso sono addolorato nel vedere Beppe Signori in manette: assieme a Doni e ad altri furbetti della domenica bisogna dire che se lo merita. Ma il problema del calcio italiano non sono solo le anime nere che prendono in giro l’entusiasmo di noi tifosi con scommesse truccate dagli stessi protagonisti. Un sistema insensato organizza spettacoli che costano oro e non sempre rendono come le spese potrebbero fare immaginare. Tra reingaggi, personale, viaggi di talent scout, premi partita, benefit e altre delizie, i debiti delle squadre superano ormai il miliardo di euro. Incassi in continuo calo.
Nell’ultimo campionato il bilancio è ancora una volta negativo: 2 miliardi e 97 milioni incassati, 2 miliardi e 267 milioni spesi. Ma chi li pagherà ? Il mio discorso è il discorso di uno sportivo non solo preoccupato dal malcostume e da intrighi arbitrali, sono i risultati che mancano. Siamo fuori dalle coppe europee e abbiamo visto cosa è successo ai campionati del mondo. Stiamo diventando i fanalini di coda che spendono di più. Non è solo colpa di atleti disonesti e amministratori pasticcioni: è la megalomania la degenerazione fatale al calcio italiano. Industrialotti di provincia o magnati di qualcosa pretendono di avere il fiore all’occhiello della squadretta o dello squadrone che permettono a chi paga (o si indebita) di andare in tv o finire sui giornali.
L’Italia è la sola federazione d’Europa ad avere 132 squadre professioniste, l’Inghilterra ne ha 92, la Germania 56, La Spagna che fa man bassa col Barcellona e ai campionati del mondo, appena 42. Francia ferma a 40. Per fermare il disastro si indica come medicina sicura gli stadi di proprietà delle squadre. Il dubbio è che si tratti di una colossale speculazione col doppio obiettivo: rimettere in moto l’edilizia in affanno e rilanciare (se ce ne fosse bisogno) la speculazione cementando le periferie di città già cementate. L’analisi di una ricerca fa sapere che per rientrare nei costi necessari alla costruzione di uno stadio, è “sufficiente creare un quartiere satellite con almeno 28 mila vani, da vendere o da affittare. Almeno un grande ipermercato o due supermercati medi”.
Insomma, calcio grande industria non ce la fanno e tutti dobbiamo dare una mano distruggendo campagne e città e pagando – oltre ai biglietti d’ingresso – le tasse comunali per l’urbanizzazione. Perché architetti e urbanisti che celebrano fiere ed incontri non scendono in piazza come i ragazzi senza futuro? Stiamo tutti stringendo la cinghia, ma ai presunti eroi della domenica continuiamo ad assicurare una dolce vita insensata, convinti di farla franca per disattenzione e stupidità della folla sportiva che non bada a spese quando i soldi sono degli altri e non sa che attraverso rivoli sotterranei saranno proprio loro a pagare la rapina.