“La carità nella verità” è il titolo dell’enciclica di Benedetto XVI. In questa enciclica il Papa enfatizza la dimensione dell’amore: ” Desiderare il bene comune – ogni citazione è tratta dal testo originale – ed impegnare questo amore per esigere giustizia e carità “. Lavorare per il bene comune vuol dire preoccuparsi e utilizzare l’insieme delle strutture per regolare la vita civile, politica, culturale e sociale: configurare la polis, cioè la città. Amare il prossimo più efficacemente se uniti al prossimo ci si impegna per un bene comune che risolva le necessità reali.
Il documento rende omaggio a Paolo VI richiamando la sua Populorum Progressio ( 1967 ), una delle encicliche più progressiste degli ultimi secoli. Benedetto XVI afferma che “ la situazione del sottosviluppo non è frutto di casualità e di una necessità storica, ma dipende dalla responsabilità umana “. Ecco perché “ i popoli affamati si rivolgono oggi, con accento drammatico, ai popoli opulenti “. Paolo VI percepiva con chiarezza l’importanza delle strutture economiche e delle istituzioni, ma si rendeva cnto con la stessa lucidità che la sostanza di queste istituzioni dvevano essere in grado di garantire dignità e libertà “.
Detto che in Brasile ( e in ogni altra parte del mondo disuguale ) si parla di “ crescita economica “, Benedetto XVI ricorda che Paolo VI aveva una visione articolata dello sviluppo. Con la parola “ sviluppo “ voleva indicare tutti gli obiettivi che permettono ai popoli di liberarsi dalla fame, dalla miseria, dalla malattie endemiche, dall’analfabetismo. Nella prospettiva economica significa partecipazione attiva, in condizioni di uguaglianza, alla crescita economica internazionale. Dal punto di vista sociale, evoluzione di una società che diventa solidale e con un buon livello di formazione scolastica e professionale. Dal punto di vista politico, il consolidamento di democrazie in grado di assicurare “ libertà e pace “. Insistendo su queste indicazioni, Benedetto XVI critica il neoliberismo: “ L’obiettivo esclusivo del beneficio, quando ottenuto,, vuole essere il bene comune quale fine ultimo, mentre si sta correndo il rischio di distruggere le ricchezze e creare povertà (…). Bisogna però riconoscere che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere afflitto da “ deviazioni e problemi drammatici “ resi più manifesti dalla crisi attuale. Ci pone davanti a decisioni che minacciano il destino stesso dell’uomo il quale non può prescindere dalle necessità naturali. Gli apparati tecnici che muovono i rapporti planetari, gli effetti devastanti sull’economia reale di un’attività finanziaria male utilizzata, in buona parte speculativa, gli imponenti flussi migratori provocati da egoismi e speculazioni e non gestibili adeguatamente, lo sfruttamento senza regole delle risorse del pianeta, ci obbligano a riflettere sugli interventi necessari a risolvere problemi che non sono diversi dai problemi affrontati da Paolo VI, problemi che hanno effetti decisivi sulla vita presente e futura dell’umanità (…). La crisi ci obbligare a rivedere il nostro cammino, a darci nuove regole per cercare nuove forme di impegno appoggiando le esperienze positive e rifiutando con decisione le esperienze negative. In questo modo la crisi “ può diventare l’occasione per scegliere e definire un modo nuovo di rapporti con la realtà. Conviene affrontare le difficoltà del presente in questa chiave con speranza e non rassegnazione “.
L’enciclica denuncia che “ la ricchezza mondiale cresce in termini assoluti, ma aumenta contemporaneamente la disuguaglianza “. Nei paesi ricchi nuove categorie sociali impoveriscono. Nei paesi più poveri gruppi di pochi godono un supersviluppo volgare e consumistico: contrasta in modo inaccettabile con la situazione endemica di una miseria disumana. Continua lo scandalo della disuguaglianza provocatoria…”. Purtroppo , corruzione e illegalità saccopagnano il comportamento dei soggetti economici dei paesi ricchi, nuovi ed antichi, e dei paesi poveri, nuovi ed antichi. Il mancato rispetto dei diritti umani dei lavoratori a volte è determinato dalle grandi multinazionali ma anche da imprenditori locali Anche gli aiuti internazionali vengono deviandone le finalità sia per responsabilità dei donatori sia dei beneficiati (…).
Se qualcuno credeva che la teologia della liberazione fosse morta perché le miserie che voleva eliminare fossero finite, si sbagliava: impegni e principi riappaiono, addirittura, in un documento papale.
È una delle voci libere della Teologia della Liberazione. Frate domenicano, giovanissimo, è stato imprigionato e torturato dalla dittatura militare brasiliana. L'impegno umano, inevitabilmente politico, verso i milioni di diseredati che circondano le città e vivono nelle campagne del suo paese, lo ha reso pericoloso agli occhi dei generali che governavano il Brasile.
Ha scritto 53 libri. La sua prosa diretta e affascinante analizza l'economia e la politica, la vita della gente con una razionalità considerata " sovversiva " dai governi forti dell'America Latina, e non solo. Non se ne preoccupa. L'ammirazione dei giovani di ogni continente lo compensa dalla diffidenza dei potenti. Venticinque anni fa ha incontrato e intervistato Fidel Castro, libro che ha fatto il giro del mondo. Lula, presidente del Brasile, lo ha voluto consigliere del programma Fame Zero. Frei Betto è oggi consigliere di varie comunità ecclesiastiche di base e del movimento Sem Terra.
Ha vinto vari premi. L'Unione degli Scrittori Brasiliani lo ha nominato Intellettuale dell'anno. Il suo libro " Battesimo di Sangue ", tradotto in Italia, è diventato un film.