L’economia agricola da sempre ha dovuto fare i conti con la sventura delle mafia; il lavoro nero, il caporalato, l’egemonia fisica sul territorio, sono tutti sintomi dello stesso oscuro male; nel corso del tempo la camorra ha mantenuto sempre intimi legami con le campagne in cui ritrova le sue radici più antiche, i casalesi, ad esempio, hanno sempre dimostrato di avere molto interesse nell’investire in aziende agricole. Le forze dell’ordine ben sanno che la zona del casertano, dove i casalesi esercitano l’indiscusso predominio criminale, è una sorta di piazza affari del crimine organizzato dell’agricoltura dove l’abigeato, il furto di animali, è un fenomeno in continua crescita, solo l’anno scorso è stato denunciato il furto di circa 100.000 animali da allevamento.
Al fascino degli animali, in particolare dei cavalli, non ha resistito nemmeno Francesco Schiavone, il boss casalese soprannominato “Sandokan”. Recentemente gli è stata sequestrata un’azienda di allevamento di cavalli, di bovini e alcuni caseifici. Solo in località Selvalunga, a Grazzanise in provincia di Caserta, il boss possedeva una sfarzosa villa con infissi di legno pregiato e stucchi alle pareti, 7 ettari di terreno, duemila bufali e dove nella scuderia venivano allevati cavalli di pura razza; questa proprietà rappresentava la sua gloria e il suo modo di ostentare la ricchezza a chi lo circondava. Quando, nel 2002, la Corte di Assise decise di confiscare la tenuta il boss, nonostante fosse in prigione ormai da quattro anni, diede ordine di dare alle fiamme tutto, preferì distruggere il suo gioiello piuttosto che lasciare che cadesse nelle mani dello Stato.
Le inchieste degli ultimi anni dimostrano anche l’intensificarsi delle attività criminali nel settore delle corse di cavalli. Non è raro sentire che a Napoli, soprattutto nella provincia a sud, una strada venga improvvisamente interdetta alla circolazione per permettere lo svolgersi di corse di cavalli clandestine con tanto di ricevitorie per le scommesse e stand alimentari al seguito. I cavalli vengono costretti a correre su improvvisati circuiti stradali, spesso durante le ore notturne, dopati oltre ogni misura per aumentarne le prestazioni. Come sempre l’interesse della camorra non è rivolto al benessere delle persone, tanto meno a quello degli animali, l’unico scopo è il lucro e poco importa se un cavallo muore di overdose al termine di una corsa illegale, è più importante poter partecipare ad un giro d’affari che oramai si stima si aggiri intorno al miliardo di euro all’anno. Tempo fa un cavallo morto, con ancora i bardamenti addosso, fu ritrovato nel giardino di una scuola del rione Salicelle, ad Afragola (NA), morto per una dose eccessiva di stimolanti dopo una delle tante corse clandestine che si disputano nelle campagne tra Acerra, Afragola, Caivano e Casalnuovo. Il sabato pomeriggio in Via De Roberto, a Napoli, è una orda di motorini che apre la strada per permettere le corse ippiche illegali. Le scuderie della camorra vengono difese con spavalderia, una delle ultime volte è successo in via Stadera, alla periferia orientale di Napoli, dove un manipolo di contadini voleva allontanare con le minacce le forze dell’ordine giunte per liberare gli animali.
Anche i cani rientrano negli interessi dei camorristi.
Paolo Di Lauro, il vecchio incontrastato ex boss di Secondigliano e Scampia più conosciuto come Ciruzzo ‘o milionario, era un amante dei cani: amava aggirarsi per le strade in compagnia del suo mastino napoletano di purissima razza che si mormora gli fosse costato quasi trecento milioni di lire.
Nel napoletano ultimamente si avvertono inquietanti segnali di ripresa del fenomeno dei combattimenti tra cani. Ritrovamenti di carcasse di animali morti e denunce in questo senso fanno temere il ritorno di un pratica che negli ultimi anni sembrava essersi ridimensionata di molto. Dalle ultime stime risulterebbe che il nuovo affare frutti alla malavita organizzata già circa cinquecento milioni di euro l’anno. Le razze di cani preferite per i combattimenti sono i pitbull e i rottweiller ma anche i boxer, i bulldog, i bull-terrier e perfino i san bernardo possono andare bene allo scopo, i cani randagi invece sono utilizzati per l’addestramento dei cani nella lotta. Gli allenamenti sono in realtà vere e proprie sevizie alle quali vengono sottoposti i cani, innanzitutto gli vengono mozzate orecchie e coda per fornire meno punti di presa all’avversario durante i combattimenti e poi li si sottopone a crudeltà e torture di ogni tipo per fare crescere la loro rabbia e incattivirli. Quando il cane sembra sufficientemente aggressivo viene liberato in una gabbia dove c’è un randagio, se fa a pezzi il cane è pronto per il ring. Prima dell’incontro il cane viene anche drogato con cocaina così che la follia sadica sia completa e gli animali si scatenino in lotte impressionanti e sanguinose.
I gruppi maggiormente coinvolti nel business sono i Di Lauro, i Licciardi, i casalesi, i D’Alessandro, i Mazzarella e anche i Nuvoletta che ultimamente si è scoperto tenessero un lager a Poggiovallesana di Marano, nei dintorni di Napoli, che ospitava cani pronti al combattimento.
Il luogo, la data precisa dell’incontro e la scelta del pubblico è frutto di un’accurata selezione che verrà resa pubblica solo circa una settimana prima dell’evento, tutto questo allo scopo di evitare spiacevoli “soffiate”.
A Castellammare di Stabia (NA) hanno inventato un’altra versione dei combattimenti tra cani: grossi animali imbottiti di droga vengono lanciati contro innocui bastardini, il divertimento in questo caso è solo la vista del sangue. I clan non guadagnano come negli altri casi con le scommesse clandestine, è ovvio chi sarà il vincitore, gli spettatori li pagano solo per il gusto di assistere alla macabra scena. La camorra anche nel proporre il divertimento si mostra in tutta la sua efferatezza, tutto si riduce a potere e apparenza.
Potere e apparenza sono anche le ragioni che si trovano alla base dello stravagante fenomeno di usare animali feroci a scopo intimidatorio per commettere rapine o minacce. Antonio Cristofaro, boss emergente di Orta di Atella e nipote di un boss ucciso un anno fa nella faida tra i clan Caterino e Mazzara, usava un coccodrillo per intimidire le sue vittime, obbligava gli imprenditori restii a pagar il pizzo ad assistere mentre lui nutriva l’alligatore con conigli e topi vivi.
Raffaele Brancaccio, soprannominato bambù per la sua passione per animali esotici, boss del quartiere Arenaccia di Napoli, teneva un leone come animale da guardia nella sua villa in pieno centro storico. Anche Vincenzo Mazzarella aveva un leone nel giardino di casa. In questi casi gli animali esotici erano veri e propri trofei, status symbol dei boss.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.