Eugenio Scalfari ed altri autorevoli commentatori considerano irresponsabili ed infondate le critiche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’argomento è sempre il solito (lo stesso usato in occasione del lodo Alfano): Napolitano non poteva non firmare. Con tutto il rispetto per Scalfari e gli altri, mi pare che questa affermazione sia semplicemente falsa.
Il rinvio alle Camere, potere previsto non casualmente dall’articolo 74 della Costituzione, non è un formalismo privo di efficacia. Quando un Presidente della Repubblica – che peraltro è la figura istituzionale che riscuote maggiore fiducia nel popolo italiano – si avvale del potere di rinviare al Parlamento un provvedimento palesemente incostituzionale, non è vero che non succede niente. Sarebbe invece un segnale politico fortissimo, che arriverebbe non solo all’opinione pubblica italiana. L’Europa, infatti, non può restare indifferente ancora a lungo rispetto alla deriva antidemocratica dell’Italia. Ha ragione Emma Bonino: il caso Italia andrebbe portato oltralpe.
Molti ritengono che, anche in questo caso, si debba invece chiudere un occhio (almeno uno), accettando la logica del cosiddetto “male minore” e mordendosi la lingua su Napolitano, “per non fare un favore alla destra”. È una preoccupazione comprensibile ma che non può giustificare una difesa acritica di Napolitano. Un Presidente condizionabile non è in grado di svolgere il più importante dei suoi doveri: garantire il rispetto della Costituzione. In una situazione così drammatica e pericolosa, se il Presidente vuol tenere la schiena dritta deve recarsi negli studi della RAI e rivolgersi a tutti gli italiani, spiegando le ragioni del suo comportamento, criticando severamente quei ministri, come La Russa, che hanno minacciato l’uso della forza (“siamo pronti a tutto”), e invitando i cittadini alla vigilanza democratica e, soprattutto, a tenere i nervi saldi.
Il vizio dei partiti del centrosinistra di accettare, di volta in volta, un presunto male minore (o, se preferisci, il “meno peggio”) ha permesso a Berlusconi di mangiarsi l’Italia. Oggi questi partiti (i cui dirigenti, in tanti anni e nonostante tutto, non sono cambiati) pregano in ginocchio gli elettori “non di destra” di votarli, turandosi il naso. Quante volte è accaduto negli ultimi vent’anni? Non avendo argomenti più convincenti (a partire dai programmi: chi conosce le proposte dei candidati alle regionali?), i partiti fanno appello al cosiddetto “voto utile”. Salvo poi, dal giorno dopo il voto, sbandierare i risultati elettorali come fossero un merito esclusivo dei dirigenti di quei partiti.
In altre parole: da quando Berlusconi è “sceso in campo”, sono sempre stati i cittadini a togliere le castagne dal fuoco ai partiti. Oggi la pazienza è finita: il trucco del voto utile non funziona più. Infatti i sondaggi parlano chiaro: l’astensionismo è in crescita e nessuno lo fermerà. L’esperienza delle elezioni politiche del 2006 – quando tutti ci turammo il naso credendo di sconfiggere Berlusconi una volta per tutte – non ha insegnato nulla a questi partiti. Non a caso in questi mesi si è parlato tanto di riforme, eccetto una: quella della legge elettorale. La verità è che il “porcellum” fa comodo a tutti, perché consente a dirigenti ormai squalificati e indifendibili di mantenere un potere che i cittadini – se potessero scegliere – non gli affiderebbero più.
Anche quando Berlusconi non ci sarà più, i danni arrecati alle istituzioni, alla scuola e in generale alla società italiana (vizi compresi: basti pensare all’evasione fiscale) purtroppo non scompariranno insieme a lui: il dopo Berlusconi, in queste condizioni, non è meno inquietante del presente.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)