“L’integrazione é come l’amore: si fa in due”, sorride con ironia Alexian Santino Spinelli, musicista, compositore, cantautore, saggista, due lauree in Lingue e Letterature Straniere Moderne e in Musicologia presso l’Universitá di Bologna, Docente di Lingua e cultura romaní presso le universitá di Trieste, Torino e Chieti. “Quando ero ragazzo, conoscevo due modi di essere Rom: o emarginato (anche attraverso l’autoesclusione), o assimilato. Ho scelto invece di essere una persona attiva all’interno della societá maggioritaria, senza perdere nulla delle peculiaritá della nostra cultura, lingua ed arte. Sono un soggetto di confronto, non un oggetto di studio”. Eccoci a dare un’occhiata insieme alla schizofrenia moderna che proclama di abbracciare le differenze mentre le strangola nel silenzio. Il caso dei Rom, 12 milioni di persone in tutta Europa, é eclatante. Se il trattamento riservato a loro é uno dei parametri principali del grado di civiltá democratica di una societá, cosa sta succedendo nel nostro continente nel 2011? Andrea Tarquini, inviato di “La Repubblica”, punta l’indice contro “il nuovo autoritarismo liberamente eletto che cresce, emargina, censura indisturbato”. L’Osservatorio Balcani e Caucaso ricorda che la Francia di Sarkozy aveva anticipato i tempi promuovendo, un anno fa, l’espulsione collettiva di centinaia di cittadini bulgari e rumeni di etnia Rom, europei colpevoli di “soggiornare sul suolo francese da piú di tre mesi”. Alla condanna morale della UE non erano seguite sanzioni concrete. Queste, per tradizione, sono dirette contro le dittature. Cosa succede se dei regimi democratici europei tirano la corda della xenofobia violenta? Secondo La Repubblica (agosto 2011), in Slovacchia, il partito “Libertá e solidarietá”, integrante la coalizione di centrodestra al potere, ha presentato una bozza di legge per la “sterilizzazione gratis e incentivata da sussidi per i poveri”, essendo questa categoria un triste sinonimo per la popolazione Rom. Nell’Ungheria che ha acclamato l’ascesa al potere del partito Fidezs, la costituzione viene riscritta per istituzionalizzare le discriminazioni contro le minoranze etniche. Dove il partito neonazista Jobbik governa, i Rom sono i predestinati ai “lavori socialmente utili”, forzati s’intende.
L’interculturalitá nella musica europea
In quanto musicologo, Spinelli coglie metafore politiche negli incontri musicali. “Fortunatamente, con gli ebrei, non ci siamo solo incontrati nelle sale di tortura della Santa Inquisizione (quando fummo definiti “eretici”) o nei campi di sterminio nazisti (in quanto “razze inferiori”). In libertá, insieme, nell’Est e nell’Ovest dell’Europa, abbiamo prodotto arte. Il flamenco ne é una espressione. Ha una base ebraica, una base Kalé (i gitani di Spagna), cultura moresca, e cultura andalusa. Queste quattro culture, che avevano l’orientalitá come punto di riferimento comune, e un nemico comune, ossia la Reconquista cristiana, che spingendoli a sud li obbligava a convivere, crea una mezcla, un miscuglio. Che diventa movimento filosofico prima che movimento artistico. Nel ‘700, la borghesia spagnola se ne impossessa, praticando il flamenco all’interno delle famiglie.
Nella juerga o festa gitana, si suonava per stare uniti, per comunicare, per tramandare la tradizione, e allo stesso tempo per decontrarre le tensioni psicologiche del vivere in una societá inospitale e repressiva. Oggi la Spagna é conosciuta per la chitarra e per il traje (vestito tradizionale). La musica romaní é diventata musica tradizionale. E´successo anche in Ungheria, con il verbunkos: l’immagine della musica rapsodica ungherese é il violinista Rom. Avviene anche in Romania, in Bulgaria, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Serbia e in Russia. In questi Stati, la musica Rom é musica nazionale. Pensa al ‘400. Arrivavano i Rom di piazza in piazza, di castello in castello, di cittá in cittá, portando musica diversa. Quanto era importante per un musicista colto, arricchirsi con musica diversa, in un tempo in cui non esisteva la radio né i dischi! Dal Romanticismo in poi, una schiera infinita di musicisti hanno attinto a piene mani dalla tradizione musicale Rom: Liszt, Brahms, Schubert, Ravel, Tchaikovsky, Debussy, fino a Goran Bregovic. Questa musica é confluita in maniera naturale nel patrimonio etnofonico dei paesi ospitanti. Grande valorizzazione utilitarista, ma non riconoscimento di quanto i Rom hanno apportato alla civiltá europea”.
Romfobia
L’Europa che predica al Medio Oriente e al Maghreb la democrazia é ancorata in un multiculturalismo che non interloquisce; ma nel caso dei Rom, i nuovi nazionalismi fremono dal desiderio di renderli il perfetto capro espriatorio in tempi di crisi. E´ la romfobia (con varianti frankesteiniane come la “zingaropoli islamica”). Il best-seller dell’atteggiamento razzista é lo stesso applicabile a tanti altri gruppi. La prima espressione consiste nel tentativo di imporre loro un appellativo esterno, magari avvelenato. Come gli italiani si autodefiniscono “italiani” e non “mafiosi”, per i Rom, “zingari” é un eteronimo, una definizione estranea, mentre “Rom” é l’etnonimo, la parola identitaria in cui si riconoscono con orgoglio. La seconda espressione é la selezione e la spettacolarizzazione dei fatti di cronaca in cui sono coinvolti imputati Rom. L’obiettivo é consolidare lo stereotipo antico della etnia criminale. Spinelli aggiunge: “La persona che sbaglia deve essere punita individualmente. La collettivitá di riferimento non c’entra. Nei fatti di cronaca, non si dice Tal dei Tali é imputato, ma “lo zingaro” o “un Rom” é colpevole. Una responsabilitá soggettiva si sposta ad un piano collettivo”. Nel giornalismo strumento del potere che discrimina, l’informazione sui Rom é unilaterale, non esiste contraddittorio. “Sono migliaia gli eventi culturali che riguardano i Rom in Italia: durante tutto l’anno, festival, concerti, presentazione di libri, mostre, teatro, cineforum. Eppure, nove pagine per i fatti di cronaca del ladro Rom, un trafiletto per l’artista Rom”. La terza espressione riguarda la determinazione esterna del ruolo del Rom. Li vogliamo ardenti e spensierati allo stile Gypsy Kings, non come cittadini impegnati: “Se io sono un artista virtuoso, va bene. Ma se difendo la mia gente politicamente, giá questo non passa piú”. Spinelli ha esperienza nel tenere testa ai paternalismi: “Sono professore universitario, e certi alunni vengono da me con la puzza sotto il naso. Come dire “questo zingaro, a me, che mi deve insegnare?”. Magari qualche collega professore mi chiama per nome, non per cognome, o non mi saluta. Succede anche alle donne, quando vengono chiamate “signorina” anziché “dottoressa”. Quando, alla fine del corso, i ragazzi hanno gli strumenti per decodificare questa cultura, per capire la bellezza della letteratura e della lingua, oltre che dell’arte e della musica, con profondo rispetto vengono a dirmi “grazie”. Mi chiedono in tantissimi di fare la tesi di laurea (sui Rom e gli organismi internazionali, sui diritti dei Rom, ecc.), e io devo frenarli perché non riuscirei a seguirli tutti”.
Infine, occorre suggerire una presunta estraneitá dei Rom alla comunitá nazionale, nonostante il 70% sui 110’000 Rom in Italia siano italiani. Questa invisibilizzazione della cittadinanza é intrecciata alla negazione del loro patrimonio culturale. Essi risultano nella bocca di tutti come “problema di sicurezza e di integrazione mancata”. Nessuno conosce una sola parola del mondo Rom, una sola tradizione Romaní, un solo titolo di una sola opera di un solo autore Rom. Dopo sei secoli di presenza in Italia. Il mondo Rom é composto dalla quotidianitá “clandestina” di migliaia di professionisti perfettamente integrati: infermieri, ristoratori, commercianti, impiegati, vigili, portavalori. Se dicessero di essere Rom, peró, forse perderebbero il posto o non lo otterrebbero come principio. Questa differenza é tollerata solo nella straordinarietá del talento: dai cantanti Elvis Presley, Carlos Santana e i Gipsy Kings, ai calciatori Ibrahimovic, Pirlo e Mihajlovic, agli attori Michael Caine, Charles Chaplin, Rita Hayworth, Bob Hoskins, Yul Brynner, al pittore Picasso, al ballerino di flamenco Joaquín Cortés… Ancora sconosciute ai piú le violenze subite da questi popoli nel corso della storia: dalle deportazioni alla grida milanese (e della Serenissima Repubblica di Venezia) del 1693, che decretava “ogni cittadino é libero di ammazzare tutti gli zingari impune e di levar loro ogni sorta di robbe, di bestiame e denari che trovasse”. Alla schiavitú in Romania durata cinque secoli e abolita solo nel 1858. Fino alla eclatante rimozione collettiva del Porrajmos (“divoramento”, il genocidio di mezzo milione di Rom e Sinti nei campi nazisti), equivalente della Shoah per gli ebrei. “Il fatto che il termine Shoah sia conosciuto universalmente implica una forma di risarcimento sociale, economico, culturale, psicologico, a noi negato”.
L’invenzione lucrativa dei campi nomadi in Italia
Spinelli spiega la mistificazione circa il “nomadismo” dei Rom. “Perché arrivano gli immigrati a Lampedusa? Per una vocazione nomade? Perché vogliono girare il mondo? O perché sono costretti da situazioni economiche, sociali, familiari? I Rom sono scappati a causa di persecuzioni e deportazioni. Sono nomadi i Berberi e i Tuareg del deserto, ed é una forma nobile, culturale di nomadismo. Ma nel caso dei Rom, si confonde la mobilitá coatta con il nomadismo. Quando hanno trovato le condizioni adatte, i Rom sono rimasti. Come i miei antenati, Rom abruzzesi”. Eppure, secondo Spinelli, i campi nomadi nascono in Italia dalla credenza della loro “cultura nomade”. Uno dei sostenitori di questa teoria, da oltre quarant’anni, é l’Opera Nomadi, finanziata dagli enti pubblici (470’00 euro solo dalla Regione Puglia). Vengono destinati 10 milioni di euro all’anno ad associazioni che “si occupano” dei Rom. Il meccanismo si ripete: si delinea un terreno dove i Rom hanno lo pseudo-diritto di stare, ma senza acqua e luce. Quando questi servizi vengono richiesti al Comune, la cosa comincia a diventare problematica. Poi arriva un’altra amministrazione e il campo viene smantellato, per essere collocato altrove, con le stesse dinamiche di impoverimento.
Con l’assioma Rom uguale nomadi, si consolida un consenso: noi non siamo razzisti, sono loro che vogliono autoemarginarsi nei campi nomadi. Non importa se si tratta di cittadini italiani da generazioni, o di cittadini dell’ex-Yugoslavia incendiata dalla pulizia etnica. La funzione dei campi nomadi non differisce da quella dei ghetti in cui storicamente sono state confinate le “minoranze” indesiderate: separando i Rom dalla popolazione maggioritaria, li si controlla e al contempo si esprime il pubblico disprezzo. Strano che gli intellettuali impegnati per tante battaglie democratiche nel mondo, tacciano su questa segregazione razziale. Inevitabilmente i campi nomadi diventano ricettacoli di attivitá illegali. Come qualsiasi slum metropolitana (Nairobi, Rio, ecc.), arida di opportunitá, i cui abitanti vengono colpevolizzati per la miseria in cui vivono. Un detto Rom dice “la danza sale dalla panza”: se non mangi, non stai bene. Bambini Rom hanno malattie che sono state ampiamente debellate dalla societá, proprio perché vivono in condizioni igieniche disumane. “Pensa ad un italiano che é senza lavoro, senza assistenza sanitaria, senza una casa e senza istruzione: cosa puó fare? Quello che fa qualche Rom dei campi nomadi! Si tratta di una questione sociale e di diritti. Non é “cultura”. L’economia di sopravvivenza che sfocia nell’illegalitá, legata alla vita del campo nomade, é un circolo vizioso specialmente per donne e bambini.
Ricordando i lati oscuri della ricostruzione dopo il terremoto all’Aquila (la disgrazia di qualcuno fa la fortuna di altri), Spinelli sottolinea che quest’anno solo a Roma, per beneficiare settemila Rom, sono stati stanziati 34 milioni di euro, di cui 24 milioni utilizzati. Eppure le condizioni in cui vivono, non cambiano. Lo sperpero di denaro pubblico arricchisce alcuni, mummificando i Rom nella loro riserva indigena. La maggior parte dei bambini Rom vedono il mondo gagé (non-Rom) con disillusione, frustrazione e amarezza, dal piccolo spiraglio del campo nomadi: secondo il Ministerio dell’Istruzione (2008), solo l’1,5% di loro accede alla scuola secondaria di IIº grado.
Integrazione e valorizzazione culturale
Anche se, per Spinelli, i peggiori nemici dei Rom sono le associazioni che lucrano in loro nome, non crede nemmeno in un “associazionismo Rom”: “E´ inutile alzare steccati etnici per rivendicare una diversitá quando il mondo si apre. E´ pericoloso. Bisogna creare movimenti interculturali. Tu devi crescere, confrontarti, anche scontrarti, ma devi crescere! Condividendo con gli altri. Non puoi isolarti. Di recente abbiamo fondato una federazione composta da 60 associazioni, FederArteRom, formata da una maggioranza di associazioni non-Rom, di accademie musicali che promuovono eventi culturali e artistici. C’é anche l’elemento Rom, assieme all’elemento africano, asiatico, ebraico. L’unico modo per far circolare progetti e influenzare l’opinione pubblica é l’arte. Non ci puó essere integrazione e affermazione dei diritti senza valorizzazione culturale.
Se continuano ad essere discriminati, i Rom attueranno delle forme di autoresistenza: l’atteggiamento pietistico, passivo e remissivo verso i gagé, contrastato dai valori dell’onore e dell’orgoglio all’interno del loro gruppo. Una strategia di sopravvivenza che peró rafforza il “muro” di discriminazione nella cui ombra vivono. Se invece viene data loro l’opportunitá di integrarsi, si comporteranno come tutti gli altri. Ma a questo va educato il Rom. Perché, dopo secoli di persecuzioni, il Rom sta sulle sue: conosce solo quel tipo di atteggiamento. Occorre scioglierlo, liberarlo, distenderlo psicologicamente. L’integrazione non avviene in un istante, o perché lo decidiamo a tavolino. Occorre un processo, innescare un movimento. Di controinformazione, per incentivare la politica a non legittimare i “Muri” (come i campi nomadi) contro esseri umani. Occorre passare dal becero assistenzialismo della confezione di riso alla solidarietá di progetti in cui i Rom possano scegliere il proprio modello abitativo, il proprio futuro, e un lavoro degno. Partire dal riconoscimento reciproco, per mediare i conflitti in un’ottica interculturale. I Rom possono e devono convivere con gli altri. Occorre creare un contesto di convivenza, non di segregazione. Il primo passo é una scuola che accolga positivamente, armonizzandola, la diversitá dei bambini Rom.
Oggi, il patrimonio linguistico, musicale, letterario dei Rom, é patrimonio dell’umanitá. E´giusto oggi che tutti lo conoscano. Altrimenti il sacrificio fatto dai nostri antenati, potrebbe per assurdo scomparire. Proprio nell’era in cui il mondo si apre nella globalizzazione, se noi continuiamo a chiuderci, questa musica sará distrutta…se non la suoneranno anche gli altri. Se la lingua romaní non sará parlata anche dagli altri, sará destinata a morte certa.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).